Washington accusa 10 agenti cinesi di furto di tecnologia
Il Dipartimento di Giustizia americano ha rivolto accuse formali contro un gruppo di agenti cinesi, sospettato del tentato furto di tecnologia ai danni di dodici società – di cui otto statunitensi – operanti nel settore dell’aeronautica, terzo caso del genere in meno di due mesi. Le operazioni sarebbero state portate avanti dal gennaio 2010 al maggio 2015. Il team coposto da hacker privati e membri dell’intelligence cinese, mette in evidenza come lo spionaggio commerciale “made in China” nasca dalla convergenza di attori statali e privati, spiega il Financial Times. La competizione sino-americana innsecata dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca pone una pietra tombale sulla tregua raggiunta dalle due superpotenze con un accordo siglato nel 2015 da Xi Jinping e Barack Obama. Guerra commerciale a parte, ora il vero pomo della discordia è il piano Made in China 2025, con cui Pechino punta a diventare leader mondiale in 10 settori hi-tech, tra cui proprio l’aeronautica.
Il radiotelescopio più grande del mondo è a corto di personale
Doveva diventare il simbolo delle aspirazioni cinesi nel settore della radioastronomia. Oggi, tuttavia, a pochi mesi dal lancio ufficiale, il mega telescopio FAST è a corto di personale. Costata 180 milioni di dollari, la struttura richiede il lavoro di almeno un’altra ventina di scienziati, ma secondo quanto riferito dal direttore del programma Zhang Shuxin al Science and Technology Daily “finora abbiamo assunto solo metà dei ricercatori di cui abbiamo bisogno”. Mentre la bassa paga e la collocazione del telescopio – incastonato nelle montagne carsiche del Guizhou – potrebbe aver contribuito a scoraggiare le candidature, il caso del radiotelescopio più grande del mondo mette in luce le difficoltà in termini di risorse umane con cui Pechino dovrà fare i conti nella sua lunga marcia verso la leadership globale. “Sono poche le persone in Cina con esperienza scientifica nell’utilizzo di osservatori radiofonici il che riduce il bacino da cui poter reclutare”, spiega al Scmp una fonte della Chinese Academy of Sciences
PwC: Cina ancora indietro nella ricerca
Mentre la guerra commerciale continua a fare vittime nel settore tecnologico (due giorni fa la Fujian Jinhua è stata sottoposta a restrizioni sull’export americano ), un nuovo studio di PwC attesta una netta sproporzione per quanto riguarda gli investimenti destinati dai due paesi alla ricerca e allo sviluppo. Le aziende americane continua a guidare la leadership globale – trainate da Amazon e Alphabet – spendendo oltre 5 dollari per ogni dollaro speso dalla controparte cinese. I giganti cinese Baidu, Tencent e Alibaba hanno stanziato meno di almeno altre 44 società, tra cui la giapponese Panasonic. Di contro le società con sede negli Stati Uniti contano per 329 miliardi dei 781,8 miliardi di dollari spesi a livello mondiale. Mentre i numeri trovano spiegazione nella recente nascita delle società cinesi rispetto ai competitor della Silicon Valley, la forbice è destinata a ridursi rapidamente nei prossimi dieci anni ora che Pechino spera di rilanciare l’economia cinese, puntando tutto sull’innovazione.
Sharp Eyes, dove tecnologia e spionaggio popolare si incontrano
Si chiama Sharp Eyes, come lo slogan utilizzato da Mao per incitare la popolazione al mutuo spionaggio durante la Rivoluzione Culturale. E’ il sistema di videosorveglianza messo in piedi da Pechino con scopi securitari quanto di controllo sociale. In Cina si stima ci siano 176 milioni di telecamere di sorveglianza pubbliche e private, con un’estensione che a Pechino include ogni isolato. E più si procede nelle zone rurali più la tecnologia diventa fino a riconoscere i volti e l’andatura di una persona. Tanto che ormai la Cina è pronta a superare la Gran Bretagna in termini di sorveglianza. Critiche a parte, il sistema ha già portato ad una drastica diminuzione di crimini e infrazioni lievi in molte zone del paese. Questo anche grazie alla partecipazione dei cittadini. Nei piccoli centri infatti le telecamere sono collegate a schermi pubblici, televisori, cellulari e persino altoparlanti così che non solo ognuno può partecipare alle attività di vigilanza. Ma i colpevoli sono anche disincentivati a ripetere le cattive azioni una volta messi alla pubblica gogna.
Troppo belle per essere vere
L’industria della bellezza in Cina propone standard irrealistici, volti perfettamente ovali, occhi grandi, colorito perlato, capelli lucidi come la seta. A veicolare questo messaggio sono le potentissime wanghong, le influencer cinesi, giri d’affari milionari per piazzare prodotti o pubblicizzare creme e make-up. Presentandosi come le ragazze della porta accanto, le wanghong, sono più spesso il risultato di ritocchi di chirurgia estetica, e di un uso smodato dei filtri dei selfie e delle foto editing app. Una foto può necessitare più di un’ora di maquillage fotografico e l’uso di diversi filtri, prima di venire pubblicata! Immagini irreali che propongono un’estetica da manga e si contrappongono al movimento no filter, no make- up che si è affermato nel resto del mondo.