Impotente e inerme: la letteratura ai tempi dell’epidemia

In Cina, Cultura by Redazione

Ho sempre dubitato che la letteratura di oggi abbia un gran significato, come invece si dice.

Sono due i motivi che mi inducono a fare una considerazione del genere. Innanzitutto, credo che la grande letteratura sia quel vasto oceano costituito dalle opere degli autori che ci hanno preceduto. Ciò che doveva o poteva essere scritto è già stato tracciato dalla penna dei grandi letterati del passato. In secondo luogo, la grande letteratura nasce in un’epoca consona alla sua creazione. La nostra è l’epoca di Internet e della tecnologia.

La letteratura ricopre un ruolo marginale, è un personaggio secondario. Dalla fine del settecento fino agli anni settanta del ventesimo secolo, la letteratura è stata, invece, protagonista indiscussa sul palcoscenico mondiale della cultura.

La creazione di grandi capolavori letterari appartiene ormai a un’epoca passata. Solo un autore geniale, con l’aiuto della provvidenza divina, riuscirebbe a scrivere grandi opere in grado di sconvolgere cielo e terra, andare controcorrente e valicare i confini dell’immaginabile.

Perlomeno in Cina, la creazione dei grandi capolavori della letteratura appartiene ormai al passato. L’epoca in cui viviamo non è favorevole alla produzione di grandi opere letterarie. La letteratura mondiale ha attraversato un periodo di grande prosperità, ha raggiunto l’apice della gloria e il massimo dello splendore nel corso degli ultimi duecento anni.

È lecito affermare che in quel momento storico l’intelletto umano ha contribuito allo sviluppo della letteratura mondiale, dando il meglio di sé. Al giorno d’oggi gli scrittori dovrebbero impegnarsi di più e fare in modo che questo personaggio ormai secondario possa brillare di luce propria.

In molti romanzi, film e sceneggiati, può accadere che un personaggio secondario offuschi il protagonista inondandolo di una luce più abbacinante. Si tratta di un imprevisto, un evento inatteso. Ma può accadere. Ed è per questo che continuiamo a indagare, a esplorare e a scrivere senza tregua, nella remota speranza di riuscire in quest’ardua impresa. Scriviamo per un’eventuale e inaspettata grandezza. Per la creazione fortuita di un’opera letteraria di successo.

Tuttavia siamo ben consapevoli della differenza sostanziale che sussiste tra il protagonista e i personaggi secondari, così come diversa è l’importanza che rivestono sulla ribalta della storia. Non ci facciamo illusioni.

Riconoscere e ammettere che la letteratura ricopre ormai un ruolo marginale non significa compiere un’azione riprovevole. Tutt’altro. Significa semplicemente riconoscere che nella nostra epoca uno scrittore altro non è che uno scrittore. Una simile presa di coscienza ci permette altresì di cogliere il divario tra ciò che uno scrittore vorrebbe fare e ciò che può fare.

Poi è sopraggiunta l’epidemia da Covid-19.

Come una guerra inattesa e indesiderata, ha riempito le nostre orecchie con il rimbombo degli spari. Non solo la città di Wuhan, la provincia dello Hubei e l’intera nazione cinese, bensì l’umanità tutta è stata trascinata in questo disastro, passo dopo passo.

Wuhan è una città nell’entroterra cinese oltreché epicentro dell’epidemia da coronavirus. Come la travolgente onda d’urto di uno tsunami, la tragedia dei contagi e della morte si è espansa ovunque facendo incetta di vite.

Probabilmente l’umanità non avrebbe mai immaginato che avremmo costruito “una comunità dal futuro condiviso” proprio in questo modo.

La storia dell’uomo è costellata di assurdità e di errori evitabili. Vite spezzate, lacrime di dolore, urla e lamenti strazianti riecheggiano per le vie delle città e rimbombano all’interno delle quattro mura.

In Cina decine di migliaia fra medici e infermieri si sono lasciati casa e figli alle spalle e, senza alcuna esitazione, si sono precipitati a Wuhan e nelle altre città maggiormente colpite dall’epidemia nella provincia dello Hubei per fornire cure mediche e coordinare i soccorsi. Hanno messo la propria vita a repentaglio per prestare aiuto ai contagiati e ad oggi tra le vittime figurano molti di questi eroi. A prescindere da dove abbia avuto origine il virus, non c’è ombra di dubbio che la diffusione dell’epidemia sia da attribuire alle caratteristiche della struttura sociale cinese.

Tuttavia, da quando è stata chiusa la città di Wuhan, l’intera Cina è divenuta un tutt’uno, come un ciocco di legno legato in una morsa rovente. L’abiezione della natura umana ci avvolge in una spirale di ignominia, come fumo nero che si leva da legna bagnata; mentre lo splendore e la purezza della natura umana è come una fiamma vivida, che col suo bagliore riscalda e illumina il mondo, il cielo e la terra, l’umanità intera e ogni inerme filo d’erba che a stento spunta e si affaccia tra la gente comune di ogni nazione.

È questa la forza del popolo.
E questa è anche la sua unica speranza.

Ed ecco che dinanzi all’irrefrenabile incalzare dell’epidemia, ancora una volta abbiamo toccato con mano l’impotenza della letteratura rispetto a una catastrofe tanto furente. La letteratura, infatti, non può trasformarsi in mascherine da inviare nelle zone colpite dal contagio, né tantomeno può tramutarsi in tute protettive a uso del personale medico. Quando la gente ha fame e sete, la letteratura non supplisce alla carenza di pane e latte.

Quando sono necessarie verdure, la letteratura non sopperisce alla mancanza di ravanelli, cavoli e prezzemolo. Quando le persone si fanno prendere dall’ansia e dal panico, la letteratura non funge da placebo.

Per quale motivo parte dei media ufficiali cinesi e quasi tutte le persone pensanti, dotate di voce critica e riflessiva, hanno parlato della città di Wuhan dopo la sua chiusura come Auschwitz?

Perché c’è chi continua ad associare Auschwitz al concetto di “poesia”? Perché sia la città di Wuhan che la Covid-19 sono ormai diventati delle metafore. Perché in questa improvvisa calamità, la società cinese ha capito ancora una volta l’importanza di tollerare voci diverse. E ancora una volta, a scapito di migliaia di vite, ha dimostrato che pure ad Auschwitz finché si può scrivere poesia è raccomandabile che si continui a farlo.

Poiché le poesie scritte in questo momento non sono semplici poesie, bensì sono la testimonianza di una voce fuori dal coro, un messaggio di cui siamo i destinatari, simbolo di vita. Se ad Auschwitz ci fossero state persone ancora in grado di scrivere poesia e fare in modo che venisse letta, il delirio di Auschwitz non si sarebbe protratto tanto a lungo. Non ci sarebbero state tante vite innocenti mietute e calpestate dal regime autoritario alla stregua di inermi formiche.

L’ottusità più temibile ed esecrabile sarebbe se non ci fossero giornalisti di guerra disposti a rischiare la vita pur di diffondere un messaggio di verità.

Nel momento in cui l’umanità si trova dinanzi a una tragedia, l’assenza di voci fuori dal coro è una tragedia persino più devastante.

Al sopraggiungere di una guerra o di un’epidemia, vi sono scrittori disposti a diventare “belligeranti” e “giornalisti”. Le loro voci attutiscono il rumore degli spari. Sovente i loro proclami di dissenso riescono a impedire che l’avversario innesti la baionetta e a ovattare il rimbombo degli spari. Come Babel e Hemingway, Norman Mailer, Singer e Orwell.

Non vorrei essere frainteso. Non intendo dire che un bravo scrittore debba per forza di cose diventare giornalista di guerra. Voglio semplicemente sottolineare quanto sia crudele, assurdo e ridicolo che in tempo di guerra non si veda la morte e non si sentano gli spari. Ancor più assurdi e ridicoli sono coloro che vedono chiaramente la morte e sentono nitido il rimbombo degli spari, eppure descrivono i colpi e le fucilate come petardi di giubilo, presagio di un trionfo immediato.

Si tratta di pura follia. Un’assurdità simile e ancor più esecrabile della guerra e dell’epidemia stessa. Nonostante Kafka nel suo diario scrisse: “Oggi la Germania ha dichiarato guerra alla Russia. Nel pomeriggio sono andato a nuotare”, non dimentichiamo però quanto sia sensibile alla dimensione dell’assurdo. Nei suoi racconti è riuscito veramente a dar voce ai fenomeni più assurdi. E noi, invece, noi che confondiamo gli spari con lo scoppiettìo di petardi trionfali o che addirittura dimostriamo con la nostra penna la normalità dell’assurdo cercando disperatamente di dimostrare che i colpi dei fucili siano in realtà giubili scoppiettii di petardi in festa.

Nessuno ha il diritto di incolpare coloro che alzano le braccia e cercano di far sentire la propria voce tra grida assordanti e lamenti strazianti. Così come nessuno si deve arrogare il diritto di incolpare chiunque abbia voglia di fare chiarezza: poeti, scrittori, professori e intellettuali, costretti a operare negli angusti limiti del politicamente corretto, hanno sin da subito annunciato le proprie scelte, la propria posizione e il proprio parere.

Poche persone al mondo sono in grado di comprendere la fragilità, la debolezza e l’impotenza degli scrittori cinesi. Proprio come i pinguini dell’Antartide, fragili e inermi, possono sopravvivere solo al freddo. Questa è la medesima situazione in cui versano la popolazione e gli scrittori cinesi. Le circostanze spesso determinano la superiorità o l’inferiorità di uno scrittore rispetto a un altro nonché il netto contrasto tra diversi tipi di letteratura.

In Cina sicuramente c’è chi può esprimersi in questi termini, il problema è permettere agli altri di dire o non dire certe cose. In altre parole, credo che una grande opera letteraria sia di per sé una voce fuori dal coro senza la quale non ha neanche senso parlare di letteratura.

Permettere la coesistenza di voci diverse è molto più urgente e importante della fortuita creazione di una o qualche opera letteraria di successo.

Nessuno può comprendere a fondo l’impotenza degli scrittori cinesi. Così come nessuno può capire il fatto che gli scrittori cinesi non apprezzano molto e non necessitano libertà di scelta e tolleranza per il diverso. Secondo la mentalità dei più quando fa freddo tutti hanno freddo e quado fa caldo tutti hanno caldo. Ma vale davvero per tutti? Anche perché quando arriva davvero il gelido inverno e le giornate cominciano a raggelare, gli scrittori possono godere di calde giacche imbottite regalate loro come premio o incentivo.

Questo è l’aspetto più subdolo, imbarazzante e affliggente della letteratura e degli scrittori cinesi odierni. Quando il popolo viene ricoperto dalla gelida coltre del manto invernale, la maggior parte degli scrittori ha a disposizione giacche imbottite per superare i rigori dell’inverno.

È pur vero che durante la prima e la seconda guerra mondiale non tutti gli scrittori sono andati al fronte e alla stregua di Babel, Hemingway e Orwell hanno sempre tenuto stretta la penna perfino quando erano circondati dai rimbombi degli spari. Ma penso che chiunque scriva sappia che se Tolstoj non avesse fatto il soldato, come avrebbe potuto scrivere Guerra e pace?

Se Remarque non avesse preso parte alla prima guerra mondiale e non ne fosse rimasto ferito, come avrebbe potuto scrivere Niente di nuovo sul fronte occidentale? Sono molti gli scrittori che rappresentano l’esistenza di una voce fuori dal coro, tra cui possiamo annoverare Joseph Heller e il suo Comma 22, Kurt Vonnegut e il suo La colazione dei campioni, ma anche Camus e La peste, José Saramago e Cecità.

Tra gli scrittori che hanno partecipato alla guerra, c’è chi è stato soldato o prigioniero dell’Aeronautica Militare; gli altri invece avevano una profonda comprensione delle malattief umane. Da questo punto di vista, adesso tocca agli scrittori cinesi scrivere qualcosa.

Tocca agli scrittori cinesi dar voce a coloro che si sentono afflitti e alienati, scrivere l’assurdità della storia, creando così opere originali. Gli scrittori cinesi hanno visto con i propri occhi, hanno assistito a fin troppe assurdità, morti e disastri nella realtà e nel corso della storia. Hanno visto la diffusione di epidemie che, dopo aver mietuto vite umane e una volta dimenticate, si sono ripresentate nella loro inclemenza.

Memori di queste esperienze, ci comportiamo forse come Camus o Saramago che si sono messi a riflettere sulla solitudine umana, sulla nostra memoria e sulla condizione dell’umanità? Come loro, affronteremo la realtà alla ricerca della verità e useremo forse la nostra creatività per scovare una verità più profonda? Ci decidiamo a scrivere oppure no? E se decidiamo di farlo, che cosa scriveremo?

A onor del vero, in Cina sono tanti gli scrittori che hanno talento da vendere. Il punto cruciale non è tanto cosa ci viene permesso o meno di scrivere, bensì il fatto che pur sapendo cosa dobbiamo scrivere c’è chi fa finta di niente. Vivere senza uno scopo per scelta è ben diverso dall’essere costretti a condurre un’ignobile esistenza. E ancora un’altra cosa è chi si rende conto della situazione ma persevera nella propria inerzia.

Trascinarsi nella propria esistenza per inerzia ed esserne felici e appagati è un atteggiamento mentale legato alla cultura della popolazione cinese dei giorni nostri. Una predisposizione genetica.

La letteratura è inerme e impotente. Eppure gli scrittori non solo non riflettono su questa impotenza, bensì hanno il coraggio di utilizzare la propria penna, voce e autorità per cantare inni di gioia volti a celebrare una realtà foriera di morte, assurdità e pianti disperati. Ciò che rende la letteratura non solo inerme e impotente, ma persino malvagia, è l’atteggiamento di coloro che calzano scarpe da eroe ma si limitano a camminare seguendo le impronte lasciate su un sentiero che conduce a un lugubre sepolcro.

Non ha neanche più senso parlare di letteratura.

Ciò che è esecrabile non è tanto la marginalizzazione della letteratura nel corso della storia, quanto il fatto che gli scrittori consci di questo problema si prodighino in scrosci di applausi per osannare festosi tale impotenza. Dopo aver spogliato la letteratura del suo ultimo brandello di dignità e di decenza, pensano di essere un modello esemplare il cui più grande merito è quello di aver salvato la letteratura, quand’invece sono stati proprio loro a vederla cadere a terra ed esalare l’ultimo respiro. È questo che accade in Cina oggi.

Sono gli scrittori i veri carnefici della letteratura. Il vero sconforto risiede nel fatto che quando il popolo è avvolto dalla gelida morsa del freddo, la maggior parte degli scrittori ha a disposizione giacche imbottite per superare i rigori dell’inverno. La soluzione è semplice: basterebbe che coloro che indossano una giacca in più se la togliessero. Altrimenti non c’è via d’uscita. La letteratura rischia di divenire futile, se non financo malvagia.

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