Il docu-drama del sud della Cina mescola fiction e documentario, un ibrido tra vita vera dei protagonisti e recitazione. Li Wen, nella pellicola come nella vita reale, è alla ricerca di una collezione di fotografie d’epoca della Rivoluzione culturale. East Lake (Donghu, in cinese) è il grande lago di Wuhan che ha ormai cambiato enormemente il suo paesaggio, a causa del pressante sviluppo edile che la città sta subendo da almeno dieci anni. Li Wen vuole incontrare un folle, un uomo che diffonde strane voci su un mostro che popola le acque del Donghu, e in questa ricerca incontra studenti, artisti, pescatori e semplici abitanti della città.
Li Luo, il giovane regista e produttore nasce a Wuhan, nel sud della Cina e studia regia in Canada. I suoi ultimi tre film, Emperor visit the hell (2012), Rivers and my father (2011), I went to the zoo the other day (2009) sono stati selezionati da importanti festival in tutto il mondo. Recentemente il suo ultimo lavoro, Li Wen at East Lake, è stato proiettato in molti festival, tra cui Rotterdam, al Vancouver Film Festival, al Singapore Film Festival e a Torino Film Festival.
Li Wen at East Lake è una commistione tra fiction e documentario. Puoi raccontarci come hai cominciato a sviluppare Li Wen, come personaggio del tuo film, e quali sono state le sue evoluzioni all’interno di tutto il lavoro? Come sei riuscito a integrare fiction e documentario in relazione alla sceneggiatura e ai personaggi?
Ho lavorato con Li Wen (l’attore) per la prima volta nel mio penultimo film Emperor Visit the Hell. Ho così avuto il modo di conoscerlo a fondo e ne sono rimasto affascinato. Nella preparazione di Li Wen at East Lake, il protagonista è totalmente basato sulla vita vera e vissuta da Li Wen. Molte delle storie e degli eventi che mi ha raccontato sono diventati la base del film. Il personaggio nel film è molto simile a lui nella realtà. Volevo fosse il più naturale possibile o che semplicemente fosse lui stesso. In questo modo è andato tutto molto bene e Li Wen è riuscito a improvvisare molte scene. Questo però non vuol dire che non ci sia stata recitazione, anzi, c’è n’è stata parecchia in tutto il lavoro.
La cosa complessa è stata comprendere effettivamente quanta recitazione era funzionale al tutto. A volte abbiamo dovuto ripetere più volte le scene per averle definitive. In generale è stato molto divertente e a Li Wen è piaciuto molto recitare. Oltre la parte di finzione, ho girato anche in modo più documentaristico alcuni aspetti della vita di Li Wen, ma facendo attenzione ad avere uno stile simile sia per la parte di finzione sia per la parte documentaristica. E quando è arrivato il momento dell’editing, ho dovuto selezionare attentamente le scene prese dalla fiction e del documentario e capire se effettivamente potevano coesistere l’una accanto all’altra. Poi, perfino nella vita vera, Li Wen recita: come ognuno d’altronde, a volte bisogna saper recitare, recitiamo tutti dei ruoli a seconda delle circostanze.
Donghu (East Lake) è un luogo storico nella città di Wuhan, dove anche Mao Zedong nuotava in estate. Ci racconti il cambiamento del lago durante questi ultimi anni? Cosa significa per te il lago e per gli abitanti della città?
Donghu è il lago all’interno di una metropoli più grande di tutta la Cina. Negli ultimi anni, con il rapido sviluppo economico, le sponde del lago sono state sommerse da cantieri edili. Il paesaggio è cambiato enormemente a causa dei nuovi palazzi che sono stati costruiti. Sono emersi i problemi ambientali, specialmente per l’inquinamento delle sue acque.
Quando frequentavo le scuole superiori con gli amici facevamo il bagno al lago. Negli ultimi anni, invece, ci ho passato molto tempo, passavo a trovare degli amici, o a fare ricerca per il mio progetto. È molto raro avere un lago così grande all’interno di una città. Per alcuni amici che ci sono cresciuti, è un simbolo della loro infanzia e giovinezza. Per gli abitanti di Wuhan, invece, è il biglietto da visita della città, qualcosa di cui andare fieri.
L’identità è solo uno dei temi del tuo film, ma possiamo affermare che il protagonista, Li Wen, ricercando il folle che diffonde strane voci sul mostro nel lago, è anche alla ricerca di una parte di se stesso che forse è già scomparsa? E come queste due parti rappresentano l’animo dei cinesi?
Concordo, il folle può essere interpretato come uno specchio di Li Wen, ma non penso che questa parte sia scomparsa. Probabilmente è stata repressa e potrebbe riapparire inaspettatamente nel bel mezzo della vita. Il personaggio di Li Wen è l’uomo comune nella Cina di oggi, simboleggia le persone che vivono una vita e un lavoro normale, sono alla ricerca di certezze, ma in qualche modo ansiose e insicure. Il folle è colui che non fa parte del sistema, vuole essere libero, ma anche questo è complesso e difficile.
Quali sono le caratteristiche per una relazione sana e utile tra produttore e regista? Come hai gestito fino ad adesso questo rapporto nei tuoi lavori precedenti?
Sono stato il produttore dei miei film, quindi non credo di essere in grado di parlare molto di relazione tra produttore e regista. Ma, penso che il produttore debba capire, tollerare e supportare le scelte creative del regista, con un’attenzione al budget e alla risorse che il produttore sta gestendo. Il regista, però, deve anche conoscere le difficoltà con cui il produttore si confronta. È importante una comunicazione positiva e aperta. Bisogna sostenersi a vicenda e se necessario fare compromessi. Nei miei lavori ho lavorato con quello che avevo, è possibile essere creativi con un budget, tempo e risorse limitate. E provo a vivere con i miei errori e rimpianti, i film non saranno mai perfetti.
Hai studiato regia e vissuto in Canada per più di dieci anni, qual è l’insegnamento che hai più apprezzato dall’Occidente e in cosa invece ha fallito?
La «lezione» che ho apprezzato di più nei miei anni in occidente è il valore che viene dato alle scelte individuali. Basta che non siano illegali e che non rechino danno alla società, sono estremamente rispettate. Puoi fare le tue scelte e esserne responsabile. Invece l’occidente non mi ha saputo insegnare, o magari sono io che non ho trovato una risposta, rispetto a ciò che chiamiamo l’altra faccia della libertà. Come le scelte individuali sono connesse ad una comunità più ampia? Come si bilanciano le nostre azioni oggi, dove il consumo e il bisogno di fare soldi sono l’ideologia dominante?