Il video – La città senza notte

In by Simone

Da Tokyo a Catania il viaggio è lungo. Dieci mila chilometri di terra e mare possono servire a dimenticare una catastrofe come quella che ha colpito il Nordest del Giappone l’11 marzo 2011? Per qualcuno sì, ma non per Mariko. Lei ha bisogno di qualcosa di più. La Città senza notte, film di Alessandra Pescetta, presentato quest’anno al Festival di Taormina e da poco anche al Festival del cinema di Cork, racconta proprio del tentativo di superare un trauma, conseguenza di una delle più importanti catastrofi naturali dell’ultimo decennio. Affrontando un viaggio che è più di un qualcosa di puramente fisico, ma è soprattutto dell’anima e della memoria. Ne abbiamo parlato con la regista Alessandra Pescetta e la sceneggiatrice Francesca Scotti.

Da dove arriva l’ispirazione per la Città senza notte?

Alessandra: Nasce dalla voglia di dar vita a un’opera in cui poesia, musica, arte, letteratura, potessero dialogare, raccontare una storia a vari livelli, in vari linguaggi, creando unità e contraddizione. Il breve racconto La Pace di chi ha sete e sta per bere di cui Francesca diverso tempo prima dell’idea di fare un film mi aveva parlato e che poi avevo letto, mi era rimasto come un ricordo personale, o come un sogno che avevo fatto. Era davvero intenso, una storia così perfetta, semplice e allo stesso tempo ricca di paesaggi poetici, umorali, che senso avrebbe avuto essere trasposta in un film? Non averi saputo cosa aggiungere. Poi l’ascolto del meraviglioso album Movie dei Berserk! ha aperto porte in un immaginario a cui senza quella guida non sarei riuscita accedere.

E così abbiamo unito questi due mondi e ci siamo accorti che come in un’eclisse il sole e la luna erano perfettamente allineati. Poi gli incastri sono stati concatenati, Maya Murofushi è apparsa come una divinità e ci ha fatto vedere la possibilità di ampliare il progetto trasformandolo in un lungometraggio. La mano maschile di Giovanni Calcagno nella parte della sceneggiatura ha contribuito a fare in modo che quell’eclisse permanesse il più a lungo possibile. Le musiche erano suoni dell’anima dei personaggi.

Francesca: Il mio racconto breve, rispetto a quanto si vede nel film dove il respiro è ovviamente più ampio, si limita ad esplorare le difficoltà di comunicazione tra un uomo e una donna di origini differenti. Provo a indagare sulla distanza che resta tra i due nonostante la prossimità fisica, sull’insonnia come segnale di un disagio che non si riesce ad esprime in altro modo. Nonostante sia ambientato in Giappone l’ho scritto in Italia, riflettendo proprio sulla forza e sulla debolezza di un legame.

I due personaggi principali, Maya/Mariko e Giovanni/Salvatore, sembrano venire non solo da due Paesi ma da due pianeti completamente diversi. Come riescono a stare insieme?

Alessandra: La quotidianità molto spesso può allontanare il vero nucleo dell’amore, annacquandolo tra faccende e abitudini. Nel film i personaggi iniziano a scoprire che nel sogno tutto questo non esiste e che possono ritrovarsi, amarsi, parlarsi, in una sorta di mondo parallelo. Cercheranno di ritrovare questo equilibrio anche nella vita reale.

Francesca: Nel racconto riescono a stare insieme grazie al sentimento che non conosce la paura della diversità: il sentimento è la guida, il senso e la direzione anche se in alcuni frangenti sembra far costeggiare un baratro ai due protagonisti.

La comunicazione ha una parte fondamentale nel film. È scarna, essenziale. Sono le immagini – l’acqua su tutte – la musica, l’arte a comunicare più delle parole.

Alessandra:  Mi affascina molto la scrittura di Francesca. Quando vuole incarnare un personaggio spesso mette più in evidenza lo spazio in cui si muove per dar vita al suo stato d’animo. Così nel film ho cercato di far parlare gli oggetti come sottotitoli dei pensieri dei personaggi. Le grandi vetrate cui si affacciano diventano un acquario in cui non c’è ossigeno per le parole ma un lento processo verso l’isolamento, la separazione invisibile che c’è anche tra i due personaggi. Il colore delle lenzuola del loro letto durante lo scorrere del tempo cambiano colore e ci indicano l’umore del loro rapporto amoroso. All’inizio sono nere poi rosse e infine bianche.

Colori che comunque hanno un valore simbolico diverso in oriente e occidente. Salvatore non avendo parole per dimostrare il proprio amore a Mariko lo fa attraverso un comportamento materno, proponendole cibo che lei invece rifiuta e archivia in frigorifero. Solo attraverso la trasformazione di questo cibo Mariko può trasmettere a Salvatore il perché del suo rifiuto. Infatti con gli avanzi ammuffiti e conservati, modella una sorte di bazooka che diventerà protagonista di una serie di autoscatti che stamperà in grande formato mettendo in luce la minaccia del cibo.

L’acqua è l’elemento alleato e di ostacolo al film: l’onda che ha colpito Mariko in Giappone è intrisa di radiazioni e sembra seguirla ovunque, persino in Sicilia, travolgendo anche l’amato Salvatore. L’onda si accorda alla musica apocalittica composta dai Berserk! (Lorenzo Esposito Fornasari e Lorenzo Feliciati) che come l’invisibile radiazione si insinua per tutto il film tra gli interni e gli esterni dei luoghi, sostituisce i dialoghi, accende e spegne sogni e incubi. Più che una colonna sonora diviene un’esternazione di parole sotto forma di musica, di pensieri implosivi, di rabbia cullata.

Un elemento ricorrente nel film è il cibo – in particolare il pesce, crudo. Che ruolo ha nel racconto?

Alessandra: Nel momento in cui Mariko viene investita dall’onda dello tsunami, i pesci si scagliano senza vita anche sul suo corpo. Una memoria che si trasforma in ossessione e mette in guardia Salvatore esponendo la tesi dell’Accumulo Biologico. (vedi anche prossima risposta)

Francesca: Nel mio modo di raccontare e di osservare quello che accade il cibo è una lente fondamentale. Mi aiuta a raccogliere informazioni sui personaggi, sulle loro nevrosi. Con le sue luci e le sue ombre il cibo può trasformarsi da semplice nutrimento a momento conviviale, presa in carico, trascuratezza. Sono felice che Alessandra lo intenda e lo utilizzi in questo film in maniera analoga, facendone un simbolo pieno di riflessi, tanto luminosi quanto sinistri.

Anche gli spazi – il loft, la ferrovia, l’auto, il distributore di benzina, il sogno, l’allucinazione – sono luoghi non-luoghi. Cosa c’è dietro questa scelta?

Alessandra: La storia si muove tra spazi che impediscono ai protagonisti di vivere la loro intimità, metafora della loro relazione complessa. Nel momento in cui Mariko desidera qualcosa di dolce, in piena notte, Salvatore la conduce nell’ambiente più impersonale possibile, in un distributore aperto tutta la notte, dove la macchinetta distribuisce biscotti e cappuccino il più industriale possibile.

Una scelta di Salvatore per dimostrarle che solo lui può nutrirla con amore. Ma invece è qui che Mariko inizia a mangiare, segno del rifiuto del suo amore. Il loft in cui loro vivono è affacciato ad una stazione e i messaggi automatici che ripetono i divieti di attraversare i binari o annunciano gli arrivi e le partenze dei treni, mette i due personaggi in una condizione di non trovare mai un luogo fermo nello spazio, ma è come il loro rapporto che naviga tra onde anomale e invisibili.

L’automobile appunto sviluppa e prosegue la camera da letto, con la differenza che il rumore del motore si trasforma in una sorte di grembo materno che fa dormire Mariko placando superficialmente le sue paure. E’ anche il luogo del passaggio da uno stadio all’altro in cui approdano sul finale.