Il video – Blank Lands: searching for Zhuang Xueben

In by Simone

Pochi turisti conoscono il nord ovest cinese, sono luoghi in cui si rimane stupiti dall’immensità degli spazi, fortunatamente gli immensi plateau rimangono ancora spesso inesplorati. Un collettivo di giovani documentaristi però, ha caparbiamente seguito, nel corso di quattro anni, le orme del fotografo cinese Zhuang Xueben. Sono tornati nei luoghi dei suoi reportage, hanno conosciuto le persone che lo hanno apprezzato, immergendosi nelle Blank Lands e ridando vita alle sue fotografie.

Intervista a Federico Peliti

Puoi raccontarci come dove hai trovato il primo libro di Zhuang Xueben e come si sono sviluppati i primi passi di questa avventura?

La scoperta del lavoro di Zhuang Xueben è stata del tutto casuale. La prima volta che mi sono recato in Cina per motivi di studio, nel 2007, passavo molto tempo a girare per mostre e librerie, in particolare di fotografia che è sempre stata una mia grande passione. La prima volta che ho visitato il 798, a pochi minuti dalla chiusura sono entrato in una piccola galleria di cui non ricordo più il nome ma che mi colpì subito per le foto che vi erano esposte, e il piccolo bookshop. In particolare c’erano una ventina di libricini, chiaramente di una collana, attirarono subito la mia attenzione. Erano tante monografie su fotografi cinesi, di non più di 50 pagine ognuno.

Per settimane avevo cercato qualcosa del genere e ora che l’avevo trovata non avevo che pochi minuti per fare la mia scelta. Mentre venivano spente le luci nella galleria ne ho sfogliati una decina in un paio di minuti e ne ho scelti 3. Uno di quelli era il libro di Zhuang Xueben, una piccola selezione che veniva pubblicata dopo decenni sotto la cura di Li Mei. Qualcosa deve avermi colpito inconsciamente delle foto di Zhuang Xueben in quel momento, ma solo qualche tempo dopo mi sono realmente reso conto di cosa avevo per le mani.

Quando ho riaperto quel libro e visto che le notizie reperibili su Zhuang erano scarsissime mi ci sono dedicato con tutto me stesso e ho finito per scrivere la mia tesi di laurea su di lui, nel 2008. Nel 2012, dopo anni di ricerca prettamente accademica, quando nacque l’idea del documentario dall’incontro con gli altri elementi del collettivo (Alessandro Galluzzi, Ralph Kronauer e Luca Tommasini), sono ritornato a in Cina, e alla sede del Liangyou Huabao, il magazine su cui pubblicava Zhuang Xueben negli anni ’30, ho ottenuto il contatto del figlio Wenjun.

Da li è iniziato un percorso incentrato soprattutto a entrare in contatto con i protagonisti della sua riscoperta. è stato sorprendente il supporto che tutti ci hanno voluto garantire in questo processo: Li Mei ci ha praticamente adottati e introdotti a personaggi come il fotografo Luo Dan, un grande estimatore di Zhuang Xueben, e personaggi schivi come Lü Nan (fotografo della Magnum) ci hanno aiutati al di la dell enostre aspettative.

Zhuang Xueben ha vissuto una vita molto lunga e intensa, puoi raccontarci cosa ti ha colpito di più della sua storia personale e quali sono stati i momenti cruciali della sua vita dove si è espresso maggiormente come fotografo?


Il carattere genuinamente curioso di Zhuang Xueben è senz’altro l’elemento che ci ha colpiti tutti. Tutto il suo lavoro, come ha scritto egli stesso nei suoi diari, era volto proprio ad accrescere la conoscenza che i cinesi dell’epoca avevano dei “fratelli dimenticati delle minoranze”. Era riuscito a mettere da parte tutte le paure e i pregiudizi insiti nella società in cui viveva, e affrontare in modo innovativo e rigoroso un tema che nel clima drammatico dell’epoca era molto marginale.

Era l’esempio vivente di una mentalità cinese moderna ancora in fase embrionale, che purtroppo non è mai potuta fiorire completamente. In un momento in cui la fotografia in Cina era concepita solo come prodotto estetico superficiale, praticata in studio da una piccola elite, ne aveva colto le potenzialità espressive e narrative e l’aveva fatta diventare il proprio mezzo di espressione personale. Non era un’agenda politica a muoverlo, ma la voglia di cambiare il suo paese in meglio. Ed è stato proprio questo a garantirgli di lavorare per il Minzu Huabao dopo il 1949 e proseguire con un ruolo diverso il lavoro che aveva iniziato nel 1934.

Parallelamente ha sempre continuato a fare fotografie fino alla sua espulsione dal Magazine durante la rivoluzione culturale, ma stilisticamente c’è un abisso tra la sua produzione prima e dopo il 1949: basta guardare una qualsiasi fotografia scattata nelle “terre bianche” tra il 1934 e il 1945 per capire che era guidato esclusivamente dalla sua sensibilità. I soggetti, i dettagli su cui si soffermava, lo stile stesso delle fotografie sono unici nei modi, colpiscono per lo stile moderno che li caratterizza e per la libertà espressiva.

Mentre dopo il 1949, per quanto esteticamente curate, le fotografie diventano più affettate, lo stile si allinea a quello ufficiale dell’epoca e la sua sensibilità non traspare più dalle immagini. Non è un caso che nel momento più drammatico della sua vita, quando fu espulso dal Minzu Huabao durante la rivoluzione culturale, avesse praticamente abbandonato la pratica della fotografia.

Da quel momento non ne ha più fatte. Perdere un talento del genere è stato gravissimo, per la fotografia in generale, ma soprattutto per la Cina. Mi chiedo spesso a cosa avrebbe potuto portare la sua dedizione al racconto delle minoranze etniche, unito alla sua sensibilità particolare, e mi riempie di tristezza pensare a quanto non sia mai stato ascoltato: nonostante la sua riabilitazione, arrivata nel 1975, alla sua morte (1984) non gli fu neanche permesso di scrivere sulla lapide che era stato un fotografo.

Blank Lands, il titolo del vostro documentario e un luogo senza confini determinati che include, per , popolazioni nel nord ovest cinese con delle specificità che sembrerebbero resistere al tempo. E’ così? Cosa avete trovato oggi nelle Blank Lands?

Data la vastità della zona la condizione dei gruppi etnici che vi abitano cambia radicalmente da zona a zona: nel distretto di Golok, nel cuore dell’altipiano tibetano, o ancora nella zona di Aba, nelle comunità Qiang, ci si pu imbattere facilmente in zone in cui solo le moto e gli smartphone tradiscono il passare del tempo! In quelle zone mi sono trovato a sfogliare i libri con le fotografie di Zhuang Xueben con persone non troppo sorprese di vedere certe immagini.

Non posso dire che gli ’80 anni siano passati senza lasciare alcun segno, ma nel complesso queste comunità sono state in grado di mantenere molte abitudini e tradizioni antiche. Altre sono state meno fortunate. I Monguor (Tu Zu) del Qinghai sono stati privati quasi completamente delle loro tradizioni. I vestiti tradizionali, i riti e i loro apparati sono scomparsi quasi del tutto dopo il 1949 e solo in anni recenti si sta cercando di ricostruire faticosamente questo passato spazzato via dalla storia. Nella cittadina di Guangting (Minhe Xian) è stato anche istituito un piccolo museo per preservare la cultura dei ricami caratteristica dei Monguor, e il direttore Mr. Deng si è commosso nel vedere le fotografie di Zhuang Xueben scattate li che non aveva mai visto prima.

In generale per i giovani sono quelli più esposti al pericolo di perdere le proprie tradizioni e identità. Nel caso dei Qiang e Monguor ad esempio, il fatto che non vi sia una lingua scritta, unito all’esposizione costante ai media cinesi sta minando lentamente il futuro delle culture locali dalla base: sempre meno giovani sanno parlare la propria lingua. Molto lentamente si sta per diffondendo una coscienza nuova delle proprie tradizioni, come dimostrano progetti come Plateau Photographers  di Xining che attraverso la fotografia documentano la realtà delle loro zone, e cercano di preservarne le tradizioni anche attraverso video e registrazioni audio, per esempio di canti. Questo mi da un po di speranza nel futuro, e mi piace pensare che mostrando le fotografie di Zhuang Xueben a molti giovani, in piccolo abbiamo contribuito anche noi.

Seguendo le orme di Zhuang Xueben, puoi raccontarci il momento (o i momenti) più significativi che avete vissuto tramite le persone che lo hanno conosciuto di persona?

Sono molto poche le persone ancora in vita che hanno avuto la fortuna di incontrarlo. Sicuramente l’incontro con Rongzhong, figlia di Suonang Renqing, l’uomo che aveva fatto da guida a Zhuang Xueben per molti mesi è stato emozionante. Nonostante l’età i suoi ricordi sono ancora molto vividi, e sentirla parlare di Zhuang Xueben, del tempo passato con lui, è stato come chiudere un cerchio. Anche se forse la sorpresa più grande è stata vedere come in qualche modo le fotografie di Zhuang avessero trovato modo di tornare ai luoghi a cui appartenevano: in una fattoria vicino Banma nel sud del Qinghai, abbiamo fatto una delle scoperte più sconvolgenti e inaspettate.

Ci trovavamo li per seguire una famiglia di pastori con cui avevamo fatto amicizia il giorno prima, e dopo la mungitura degli yak ci eravamo riuniti con loro attorno alla stufa, per riprenderci dal freddo dell’alba e consumare insieme il tipico stampa della colazione. Mentre Alessandro filmava tranquillamente a un lato, io mi ero avvicinato alla grande stufa per registrare al meglio l’audio delle chiacchiere mattutine e della moglie del pastore che preparava la colazione. Quando questa si è piegata in avanti per posare una grossa teiera sul fuoco, dal colletto della camicia le è scivolato fuori un medaglione che si è fermato ad ondeggiare a poca distanza dai miei occhi.

Su un lato la foto, moderna, di un uomo dalla folta barba, un santone del luogo morto pochi anni prima, e sull’altra una foto, sempre di un santone, scattata da Zhuang Xueben nel 1934. Per l’emozione sono saltato in piedi ed ho iniziato a farfugliare, sono corso a recuperare i grandi volumi con le fotografie di Zhuang Xueben che ci siamo portati dietro in lungo e in largo per la Cina per cercare di spiegarmi, con Alessandro e con la famiglia che mi guardava come se fossi un pazzo. Ho rovinato una scena, ma vedere, in un certo senso Zhuang Xueben diventare parte della vita delle persone che aveva raccontato è stata un’emozione troppo grande!

Il vostro collettivo: da chi è formato e come avete definito i ruoli specifici? Essendo stata anche un’esperienza di gruppo, cosa puoi raccontarci delle vostre relazioni e del modo di lavorare su tutto il percorso?

Nel collettivo siamo in 4. Oltre a me, che sono laureato in Studi Orientali e che dal 2010 lavoro nell’ambito delle produzioni audiovisive, anche tutti gli altri elementi hanno profili in cui accademia e fotografia o video si intrecciano. Alessandro Galluzzi ad esempio è laureato in Studi Orientali, si è concentrato su Giappone e Cina, dove ha anche vissuto, e da molti anni ormai lavora come operatore e nell’ambito dei documenatri. Luca Tommasini ha una formazione sociologica, ha lavorato per anni in varie ONG, soprattutto in Palestina, curando sempre la documentazione dei progetti con fotografie e video, attività che poi ha abbracciato completamente. Ralph Kronauer, il nostro elemento internazionale, ha fatto studi in Scienze Agrarie, occupandosi di problematiche come l’erosione del suolo in Nepal e in Sud America, e da sempre lavora come fotografo.

Questa varietà di background e la passione comune per la fotografia sono stati sicuramente un elemento di ricchezza nello sviluppo del progetto, e le competenze complementari ci hanno fatto scegliere da subito di realizzare il progetto in modalità collettiva. Regia, scrittura, ricerca, tutti gli aspetti sono stati sempre gestiti come gruppo, anche sul campo. Il primo passo del progetto è stato condividere tutto quello che sapevo su Zhuang Xueben, cercando di farne capire l’unicità anche dal punto di vista storico a Luca e Ralph, la cui conoscenza della Cina era per forza di cose diversa da quella che potevamo avere io ed Alessandro.

Sono seguiti poi mesi di brainstorming per pensare agli elementi su cui volevamo concentrarci, e in parte anche a come raccontarli visivamente, culminati poi in una prima trasferta di 2 mesi nel 2013 in cui abbiamo viaggiato a Pechino, Shanghai, nel Qinghai e in Sichuan. Quella prima esperienza sul campo è stata caratterizzata da un lavoro molto più da detective che da ricercatori: di persona in persona, contatto dopo contatto abbiamo incontrato una dozzina tra fotografi, storici e persone che avevano a che fare con Zhuang Xueben.

Questo lavoro ci ha portato sulle tracce di due anziane donne che avevano incontrato ed erano state fotografate da Zhuang Xueben nel 1934, e allo stesso tempo è servito a gettare le basi per sviluppare l’approccio estetico al documentario. Con le immagini raccolte allora abbiamo ottenuto i primi fondi per sviluppare il progetto e sotto la guida della produttrice di Nacne Silvana Costa abbiamo scritto un trattamento del documentario che è stata la vera bussola e base per la missione decisiva nel 2014, in cui abbiamo completato le riprese del documentario.

Tutte le caratteristiche personali sono emerse in modo differente durante la lavorazione. Per quanto mi riguarda ad esempio, sul campo posso aver avuto un ruolo minore nella produzione delle immagini, ma al contempo ero il tramite di tutti per rapportarsi con le persone che abbiamo incontrato, dagli esperti a tutte le persone incrociate per strada.

Tutta la gestione del progetto in maniera collettiva è stato un esperimento affascinante, in cui assestare la chimica tra di noi è stata un’avventura di per se, non priva di incidenti, ma visti i risultati che abbiamo raggiunto finora assolutamente positiva. Speriamo tutti che il documentario possa essere la testimonianza migliore della bontà di quest’approccio.

Cosa differenzia il vostro lavoro da un approccio meramente antropologico alla ricerca di popolazioni perdute?

Senz’altro l’approccio. Non abbiamo nulla da insegnare con il nostro documentario, ma speriamo che possa rappresentare una piccola finestra su un mondo sconosciuto ai più, e che la ricchezza delle culture locali e la bellezza della vicenda umana di Zhuang Xueben possa incuriosire, e magari ispirare, chi avrà modo di vederlo.

Pensi esista un giovane Zhuang Xueben nella Cina di oggi?

D’istinto direi un secco NO. Tanto per l’unicità dell’approccio di Zhuang Xueben, tanto per le condizioni storiche in cui si è sviluppata la fotografia contemporanea cinese, in cui mi sembra sia sempre più preponderante l’influenza estetizzante e concettuale dell’arte contemporanea.

Ci sono per dei nomi che associo naturalmente a Zhuang Xueben, per le tematiche affrontate e l’adozione della fotografia di reportage come mezzo espressivo: Hou Dengke, morto purtroppo giovanissimo, per la naturalezza dell’uso della fotografia e l’approccio reportagistico molto personale. Lü Nan della Magnum, soprattutto i primi lavori, per la pulizia dello stile e l’interesse per tematiche marginali. Tian Lin, in particolare con la serie children of Yamulike Mountain, realizzata nello Xinjiang.

E infine Fu Yu, unico finora a stampare le i negativi originali di Zhuang Xueben, e con cui ha intavolato un dialogo silenzioso durato anni in camera oscura. Sebbene le sue fotografie siano tematicamente molto lontane da quelle di Zhuang, c’è un senso di intimità e una delicatezza dello sguardo che li accomuna al di la di ogni altra cosa.