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Il Turkmenistan dichiara guerra alle donne

In Sociale e Ambiente by Lorenzo Lamperti

Con Gariwo Onlus abbiamo parlato della difficile condizione delle donne in Turkmenistan, sempre più vittime di violenze e privazioni della libertà personale. Questa situazione è il termometro di un problema più ampio che investe tutta la società civile dell’ex repubblica sovietica, che vive sotto una dittatura di fatto, oggi guidata Serdar Berdimuhamedow, in uno dei Paesi più autoritari al mondo. 

Negli scorsi mesi, sui social è diventato virale un video di un uomo che picchia furiosamente la moglie dopo averla trovata in un salone di bellezza. Il dramma è che non si tratta di un caso di cronaca nato dal nulla. No, in Turkmenistan per le donne farsi una manicure è diventato quasi un atto di sovversione. E dunque quella violenza si inserisce in un contesto più che preoccupante.

Tutto è cominciato, senza annunci ufficiali da parte del governo, lo scorso aprile. Il servizio turkmeno di RFE/RL, Radio Azatlyk, ha riferito che le forze dell’ordine di Bayramali, una città della regione di Mary, hanno iniziato a mettere nel mirino i saloni di bellezza, chiedendo l’interruzione di servizi come il botox per attenuare le rughe, i filler per aumentare le labbra e le estensioni delle ciglia. Pratiche quotidiane ma che improvvisamente sono diventate non accettate. I proprietari dei saloni che violano il divieto rischiano di essere incarcerati per 15 giorni e i clienti che usufruiscono di questi servizi possono essere multati fino a 1.000 manat, circa 285 dollari.

Qualche giorno dopo, Current Time Asia ha riferito che le dipendenti di sesso femminile delle istituzioni statali e delle imprese della regione di Mary sono ora costrette a sottoscrivere un impegno, garantendo di smettere di usare cosmetici e coloranti per capelli, di smettere di fare la manicure, di non indossare abiti aderenti e di astenersi dall’uso di sostanze iniettabili, come il Botox. Inoltre, le donne devono impegnarsi a indossare abiti tradizionali abbinati a pantaloni ricamati. Secondo alcune testimonianze, delle donne sarebbero state fermate perché indossavano dei jeans. Il mancato rispetto dell’impegno comporta il licenziamento. Le donne turkmene si trovano di fronte a una scelta difficile nel resistere alle restrizioni imposte dalle autorità: dovendo scegliere tra la propria libertà e il posto di lavoro, tra il sentirsi donne o il rischiare di venire umiliate pubblicamente.

Come accaduto anche su altri temi, non sono stati fatti annunci ufficiali. Ma l’ordine diventa prassi prima ancora che legge. Le forze dell’ordine citano semplicemente un divieto non ufficiale di introdurre “oggetti estranei” nel corpo femminile. Un ordine di tipo patriarcale da seguire per non apparire “immorali” o addirittura anti patriottiche. Già in passato regole simili avevano poi lasciato posto a un’applicazione non sempre stringente. Ma stavolta, secondo quanto raccontato anche dall’Economist nei mesi scorsi, la polizia sta applicando le nuove regole con grande zelo con irruzioni nei luoghi pubblici e negli uffici, chiedendo alle donne di togliersi la maschera facciale per ispezionare le labbra alla ricerca di segni di miglioramento. Secondo testimonianze raccolte da giornalisti nella capitale Ashgabat, alle donne scoperte con accessori “proibiti” è stato imposto il pagamento di una multa di circa 140 dollari. Vale a dire circa la metà dello stipendio mensile di un turkmeno medio. Secondo alcuni media, ci sarebbero anche degli agenti che stanno invece usando i nuovi divieti per estorcere tangenti ai “trasgressori”.

Non si tratta dell’unico esempio di attentato ai diritti delle donne turkmene. In altre province del paese diversi testimoni sostengono che alle donne non è più consentito prendere posto davanti al conducente, sia nei taxi che nei veicoli privati. Nella provincia di Balkan i conducenti possono incorrere in una multa di duemila dollari se hanno una donna sul sedile anteriore. In Turkmenistan, alle donne è largamente proibito guidare, anche se il governo non ha mai emesso pubblicamente un divieto formale. Già nel 2018 era stata avviata una campagna non ufficiale contro le autiste donne, con il sequestro dei loro veicoli e la confisca delle loro patenti per motivi inconsistenti, come il fatto di non aver conservato tutto l’equipaggiamento necessario nelle cassette di pronto soccorso.

Le proteste e le critiche pubbliche alle politiche del governo sono estremamente rare in Turkmenistan, ma si sono verificate in passato manifestazioni spesso guidate proprio dalle donne. Solitamente per mancanza di generi alimentari. La nuova ondata di restrizioni non ufficiali è arrivata poco dopo la successione dinastica a capo del paese, tra Gurbanguly Berdymukhamedov e il figlio Serdar. Vista la sua giovane età (40 anni) in molti speravano che la sua nomina potesse portare a una parziale liberalizzazione anche culturale. Speranze che finora appaiono deluse. “In Asia centrale, l’elaborazione dell’unità nazionale, dell’autenticità e dell’identità si inscrive nell’idea di ritorno alla tradizione, affinché i nuovi Stati indipendenti si distanzino dalla campagna sovietica di emancipazione femminile”, ha spiegato il The Diplomat. Negli ultimi decenni il Turkmenistan ha puntato a “ri-tradizionalizzare” la società, compreso il ruolo delle donne. Sulle quali, inevitabilmente, oltre alle disparità in materia di salari e accessi a professioni o ruoli apicali, pesa anche un controllo “morale” che punisce quanto non è in linea con l’immagine che il Turkmenistan vuole dare e avere di sé. Senza annunciarlo, ma nella prassi quotidiana. Creando dunque un contesto socioculturale che rischia di diventare una cappa ancora più soffocante di un pezzo di carta.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il manifesto]