Il ritorno del tycoon visto da Taipei. Nomine tra Musk e Rubio. Le pressioni su difesa e chip. Lai Ching-te alle Hawaii? Xi Jinping a Dongshan. Tra consenso del 1992 e consenso 26. Il caso dell’arruolamento degli studenti. Taiwanesi oltre lo Stretto. Microchip. La Corte costituzionale stoppa le riforme. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
2 dicembre 2016. Donald Trump alza la cornetta del telefono. Dall’altra parte c’è Tsai Ing-wen. Uno è da qualche settimana il presidente eletto degli Stati Uniti, in attesa di entrare in carica nel gennaio 2017. L’altra è già da oltre sei mesi la presidente della Repubblica di Cina, Taiwan. È la prima e unica volta che avviene una conversazione del genere da quando i rapporti bilaterali tra Washington e Taipei sono stati recisi, vale a dire nel 1979. Quell’episodio sconvolge la Cina, quella guidata dal Partito comunista, e segna in parte l’inizio di un processo i cui effetti continuano a vedersi ancora oggi. Anche se, negli anni seguenti a quella telefonata, Xi Jinping riuscirà a esercitare una certa influenza e fascinazione su Trump, che ne loda a più riprese il metodo di governo autoritario e ne soffre la maggiore esperienza diplomatica nei due incontri di Stato ufficiali.
Otto anni dopo, si torna al punto di partenza. Ma, nel frattempo, il mondo è cambiato. Così come è cambiata la relazione a tre fra Stati Uniti, Repubblica Popolare Cinese e Taiwan. Ora Pechino prova a capire che fattezze assumerà l’imminente Trump bis. A partire dalla fase di transizione, dove si teme qualche nuovo brutto scherzo. Qualche preoccupazione anche a Taipei, dove la sensazione è che sia in realtà difficile una ripetizione del colloquio telefonico fra Trump e il leader taiwanese, che nel frattempo è diventato il più assertivo Lai Ching-te, che secondo Bloomberg aspirerebbe al bis di quella telefonata. Anzi, secondo diverse indiscrezioni il team dell’ufficio presidenziale di Taipei ha avuto serie difficoltà a mettersi in contatto con la squadra elettorale di Trump.
Nel primo mandato di Trump, l’isola ha costantemente vissuto in bilico tra un supporto più esplicito (favorito da alcuni componenti dell’amministrazione profondamente filo Taipei) e una sorta di potenziale “sacrificio” nell’ambito di un ipotetico “grande accordo” Trump-Xi. I timori non sono stati certo messi a tacere dalle ripetute dichiarazioni di Trump in campagna elettorale, tra le accuse di ricevere aiuti senza spendere e di aver “rubato” l’industria dei chip all’America. Il timore è peraltro legato anche alla combinazione di due figure con una forte retorica, Trump e Lai, il quale avrebbe più difficoltà a subire in silenzio le eventuali critiche del teorico partner.
Qualche segnale può arrivare dalle nomine, dove non figurano due nomi molto pro Taiwan come Mike Pompeo e Nikki Haley.
Taiwan dovrebbe accettare il modello “un Paese, due sistemi” come Hong Kong. Ma anche: “gli Stati Uniti dovrebbero ulteriormente rafforzare i rapporti con Taiwan per proteggerla dalle mire del Partito comunista cinese”. Gli autori di queste due affermazioni diametralmente opposte saranno presto fianco a fianco, componenti di punta dell’amministrazione Trump. Si tratta di Elon Musk e Marco Rubio, nominati dal tycoon nei rispettivi ruoli di capo del dipartimento di efficienza del governo e di segretario di Stato. A Taipei si chiedono a chi devono credere, mentre non mancano certo le incognite sull’approccio che il Trump bis adotterà sui rapporti con l’isola.
I sospetti su Musk si sono amplificati nelle ultime settimane, dopo che SpaceX ha chiesto ai propri fornitori taiwanesi di spostare le sedi in Vietnam, Thailandia e altri luoghi. Con Taipei che cerca da tempo alternative a Starlink. Lo scenario di un Musk con un ruolo sotterraneo nei rapporti tra la Casa Bianca e la Cina potrebbe non essere così remota. Anche perché nelle postazioni chiave della diplomazia statunitense, Trump ha piazzato due falchi anti Pechino. Il primo è Rubio, che ha alle spalle un lungo curriculum di proposte di legge ostili al Partito comunista e favorevoli al rafforzamento dei rapporti con Taiwan (di cui ha anche incontrato l’ambasciatore in Paraguay) e alla sua inclusione nei consessi internazionali. Qualche mese fa, Rubio aveva dichiarato esplicitamente di aspettarsi sostegno a Taiwan da parte della potenziale amministrazione Trump di cui presto farà parte. Lai è stato tra i primi leader mondiali a fare i complimenti a Rubio per la nomina, con un post su X.
La nomina di Rubio è senz’altro una rassicurazione per Taiwan, dove però ci si aspetta di finire sotto grandi pressioni dell’amministrazione Trump su due fronti: difesa e microchip. Durante la campagna elettorale, il leader repubblicano ha avvisato Taipei: “Volete la nostra difesa? Ci dovete pagare”. Secondo il Financial Times, Taiwan starebbe valutando l’acquisto di un grosso pacchetto di armi statunitensi, tra cui il cacciatorpediniere Aegis, per dimostrare all’amministrazione Trump che è seriamente intenzionata a potenziare le proprie difese.
Nel dubbio, Pechino spingerà senz’altro la retorica per cui Trump potrebbe abbandonare Taipei, magari in un “grande accordo” personale con Xi Jinping, che il tycoon ha definito in passato un “amico”, elogiandolo per il “pugno di ferro” con cui governa.
La banca centrale di Taiwan ha intanto avvertito che vede un pericolo nelle politiche commerciali proposte dall’amministrazione Trump. In un rapporto al parlamento, la banca centrale ha affermato che se Trump seguirà le sue promesse politiche, si inaspriranno i conflitti commerciali in tutto il mondo e si soffocherà la concorrenza nell’industria tecnologica.
Un po’ di pareri, che tra gli analisti taiwanesi sono divisi sia sul fronte militare sia sul fronte economico. “Se Donald Trump intraprendesse una guerra commerciale con la Cina, Taiwan potrebbe ritrovarsi bloccata nel mezzo”, dice Liu Jia-wei, professore presso il dipartimento di pubblica amministrazione e politica dell’Università Nazionale di Taipei, “ed essere trattata come merce di scambio a favore di maggiori interessi americani”.
“Taiwan potrebbe trovarsi di fronte ad aspettative impossibili da parte del presidente eletto degli Stati Uniti, che ha chiesto all’isola di aumentare drasticamente le spese militari”, sostiene il South China Morning Post.
Secondo Michelle Kuo e Albert Wu, il problema principale per Taiwan potrebbe essere l’isolazionismo di Trump.
La politica dell’amministrazione Trump nei confronti di Taiwan è “altamente incerta”, secondo Amanda Hsiao del think tank International Crisis Group. “Da un lato, l’amministrazione Trump potrebbe condizionare il continuo sostegno americano a Taiwan al fatto che paghi di pià per la sua difesa”, dice all’AFP, “d’altra parte, Trump potrebbe decidere di elevare le relazioni a nuovi livelli in modo da aumentare significativamente le tensioni con la Cina”.
Difficile che Trump possa accettare, come d’altronde non ha fatto nemmeno Biden, la richiesta di Xi di “sostenere la riunificazione pacifica”, cosa che Pechino starebbe chiedendo come rassicurazione rispetto allo standard di “non supporto all’indipendenza di Taiwan”.
A Taiwan, intanto, si è parlato tantissimo del caso di una giornalista di Taiwan Plus, che parlando dei due candidati alle elezioni statunitensi ha definito Trump “condannato per crimini”. La piattaforma in lingua inglese è finanziata pubblicamente ed è stata invitata dal ministero della Cultura a condurre un’indagine interna sulla sua giornalista. Della vicenda si è parlato moltissimo anche sui social, dove si mette in dubbio l’opportunità di limitare la libertà di espressione per valutazioni di tipo politico.
Lai alle Hawaii
Attenzione alle visite. Alle elezioni di Palau è stato confermato il presidente uscente, sostenitore dei rapporti diplomatici con Taipei che di recente ha denunciato pressioni navali e diplomatiche di Pechino. Il leader dello stato insulare del Pacifico ha invitato il presidente taiwanese Lai Ching-te alla sua inaugurazione, in programma il 16 gennaio.
Se Lai dovesse andare, come sembra, è scontato un transito alle Hawaii a conferma della tradizione della “diplomazia dei transiti” dei leader taiwanesi, effettuati sul suolo statunitense in occasione delle visite tra Pacifico e America latina nei paesi che ancora hanno relazioni ufficiali con la Repubblica di Cina. Avevo già riportato in estate che Lai mirava a un transito americano entro la fine dell’anno o comunque prima dell’insediamento di Trump. Possibilità che pareva aver ricevuto reazione tiepida dai Democratici, mentre come detto ci sono state difficoltà a dialogare col team di Trump.
L’ipotesi delle Hawaii è meno sensibile politicamente rispetto a un passaggio sul “continente”, dove le possibilità di incontrare figure di rilievo sarebbero maggiori. Ma è anche vero che le Hawaii sono la sede del comando dell’Indo-Pacifico dell’esercito Usa.
Ma circola anche l’ipotesi di un transito anticipato, già a fine novembre o inizio dicembre, nell’ambito di un viaggio a Tuvalu e la stessa Palau. Secondo quanto risulta, Lai ci terrebbe a effettuare una visita ufficiale all’estero prima di fine anno, dunque durante il primo anno solare del suo mandato. Di certo, dagli Stati Uniti hanno fatto sapere che per ora le porte restano aperte proprio alle Hawaii e non sul “continente”.
Vedremo che cosa accadrà, senz’altro prima o poi un transito ci sarà e se sarà tra inizio dicembre e metà gennaio sarà in ogni caso prima dell’insediamento di Trump. Prevedibile in ogni caso una reazione di Pechino.
Tsai Ing-wen, reduce da un tour in Europa, è invece pronta ad andare in Canada nei prossimi giorni, ormai sempre più nella veste di “ambasciatrice” di Taiwan post ritiro dalla presidenza. Non è escluso che ne approfitti per un transito negli Stati Uniti, come ipotizzato anche da Politico.
Al summit annuale dell’APEC in Perù, per Taiwan è presente Lin Hsin-i, presidente di Taiwania Capital Management Corporation, che prende il posto occupato gli anni scorsi da Morris Chang, leggendario fondatore del colosso dei microchip TSMC. Secondo alcune indiscrezioni, sarebbe stata respinta l’ipotesi della partecipazione dell’ex vice premier Chen Chien-jen.
Le opinioni dei partiti sul Trump bis
Riporto qui le considerazioni di un paio di esponenti dei principali partiti taiwanesi sulle elezioni statunitensi, raccolte prima del giorno del voto. “La tendenza generale della politica statunitense che individua nella Cina una minaccia e un rivale non cambierà”, sostiene Michael Chen del Partito progressista democratico (DPP) al governo. Con Trump ci saranno più tariffe, si accelererà la costruzione di una nuova catena di approvvigionamento guidata anche da Taiwan, in particolare nel settore dei microchip. Con Trump ci sono più imprevedibilità ma il DPP continuerà a mantenere salda la sua posizione sulle relazioni intrastretto”.
Chance Xu del Guomindang, principale partito di opposizione, sostiene che con Trump ci sarà maggiore chiarezza strategica su Taiwan. “Noi vogliamo difesa e dialogo, il Guomindang può giocare ora più che mai un ruolo importante nella competizione tra Usa e Cina per ammorbidire lo scontro. Non a caso esponenti del nostro partito fanno frequenti viaggi sia negli Usa sia in Cina. Siamo l’unica entità che dialoga anche con Pechino”.
Xi Jinping a Dongshan
Nell’ultima puntata di Taiwan Files avevo raccontato e analizzato il primo discorso di Lai in occasione del Double Ten e la reazione di Pechino, con le esercitazioni Spada Congiunta 2024B. In questo mese sono successe alcune cose interessanti.
Subito dopo la fine delle esercitazioni, Xi Jinping ha fatto la sua prima apparizione pubblica sull’isola di Dongshan, affacciata sullo Stretto di Taiwan. Da qui sono state condotte più volte in passato delle manovre militari. E, soprattutto, l’isola è stata teatro dell’ultimo attacco di Chiang contro un territorio continentale, nel 1953. La visita pare dunque altamente simbolica. Da una parte potrebbe segnalare, soprattutto all’interno, che il Partito comunista è intento a “combattere” la sfida della “riunificazione”, rassicurando dunque i nazionalisti più impazienti. Dall’altra parte sembra invece dare un messaggio più morbido verso i taiwanesi, che Xi ha auspicato possano trovare maggiore spazio di cooperazione con le autorità locali e della provincia del Fujian, che gioca un ruolo importante in tal senso come avevo scritto tempo fa a proposito del piano di integrazione presentanto nel 2023. E sempre dal Fujian arrivano nuove misure.
Non è la prima volta che Xi fa visite simboliche dopo eventi turbolenti intorno a Taiwan. Nell’agosto del 2022, per esempio, riemerse dal ritiro estivo di Beidaihe (durante il quale si svolsero le imponenti esercitazioni di risposta alla visita di Nancy Pelosi) visitando Jinzhou. È da questa città oggi parte della provincia nord orientale del Liaoning che la guerra civile si incanalò verso la vittoria del Partito comunista. Qui i nazionalisti di Chiang Kai-shek subirono una sconfitta decisiva durante la campagna di Liaoshen del 1948, quando il Guomindang perse anche Changchun e Shenyang.
Taiwan tra droni killer e cervi
La risposta di Taiwan alle manovre militari ha seguito due direttrici. Già il giorno dopo, l’esercito di Taipei ha siglato due contratti con l’American Institute, l’ìambasciata statunitense de facto sull’isola. Come riportato dal South China Morning Post, i contratti hanno un valore complessivo di 5,27 miliardi di dollari taiwanesi (163,9 milioni di dollari statunitensi) e prevedono l’acquisto di due tipi di droni killer: per l’esattezza sono inclusi nel pacchetto 685 Switchblade 300, progettati per colpire il nemico, e 291 Altius 600M-V, droni da attacco anti-carro. I droni saranno dispiegati in luoghi strategici chiave, tra cui Taoyuan nel nord dell’isola, Taichung nel centro di Taiwan, Kaohsiung nel sud e Hualien nell’est. Una flotta che i funzionari militari ritengono possa servire a rafforzare le capacità di guerra asimmetrica, considerate cruciali con l’avanzamento delle tattiche da “area grigia” della Repubblica Popolare Cinese. Gli Switchblade dovrebbero essere consegnati entro la fine di novembre 2029, mentre gli Altius dovrebbero arrivare entro la fine del 2027.
Come sempre tempi piuttosto lunghi, dunque. Non è una novità. Da tempo, i funzionari della difesa lamentano ritardi nell’arrivo delle spedizioni. Alcuni pacchetti di armi approvati nel 2020 non arriveranno prima del 2025. La guerra in Ucraina ha provocato ulteriori rinvii. Negli scorsi mesi, il governo taiwanese ha anche segnalato alcuni problemi negli articoli consegnati tra novembre 2023 e marzo 2024, tra giubbotti tattici ammuffiti, munizioni imballate male e mitragliatrici senza imbottitura, come scrivevo qui.
Taipei ha comunque un enorme bisogno delle armi degli Usa. Oltre ai vari acquisti, nelle scorse settimane il presidente Joe Biden ha approvato un paccheto di aiuti da 567 milioni di dollari. Il valore degli aiuti è quasi doppio rispetto a quello del 2023, quando ammontava a 345 milioni di dollari. Per la seconda volta, il pacchetto deriva dal potere di “prelievo presidenziale” dalle scorte del Pentagono, già usato varie volte negli ultimi anni (seppur con cifre esponenzialmente maggiori) per l’Ucraina. Il ministro della Difesa promette maggiore discrezione sul dispiegamento di armi.
Secondo Paul Huang, però, le unità missilistiche taiwanesi cedono le loro posizioni alla Cina continentale. “L’esercito taiwanese non si è adattato all’era dell’open-source intelligence”, scrive Huang.
Il governo di Taiwan ha offerto rari dettagli sul suo piano alimentare di guerra, affermando che sta effettuando inventari mensili di forniture cruciali come il riso e assicurandosi che siano adeguatamente immagazzinate in tutta l’isola in caso di blocco navale.
La guardia costiera di Taiwan ha dichiarato che offrirà ricompense del valore di migliaia di dollari per l’individuazione di attività cinesi in mare, comprese navi da guerra o sottomarini, affermando di voler sfruttare il “potere della gente” per potenziare la propria limitata forza lavoro.
Si è diffusa la voce che invece Taiwan potrebbe inviare in Ucraina alcuni sistemi anti missile di fabbricazione americana.
Se da una parte si arma, Taiwan lancia anche qualche segnale di dialogo all’altra sponda dello Stretto. In particolare, questi segnali arrivano dalla Straits Exchange Foundation, l’entità semi governativa che gestisce le relazioni “pratiche” con la Cina continentale. Il segretario generale Luo Wen-jia ha dichiarato a sorpresa che l’ente sta valutando la possibilità di offrire a uno zoo della Repubblica Popolare una coppia di cervi Sika chiamati He He e Ping Ping. I due nomi combinati formano la parola heping, che significa pace. I due esemplari, tipici di un isolotto amministrato da Taipei ma a pochi chilometri dalle coste cinesi, sarebbero destinati allo zoo di Fuzhou, capoluogo della provincia del Fujian. L’offerta ricorda da vicino quella fatta a suo tempo dal Partito comunista, che nel 2008 inviò allo zoo di Taipei i due panda giganti Tuan Tuan e Yuan Yuan. Anche in quel caso, i loro nomi avevano un significato politico: Tuan Yuan significa infatti “riunione”. Un messaggio non troppo sottile sull’obiettivo della “riunificazione”, o “unificazione” come la chiamano a Taipei.
Tra consenso 26 e consenso del 1992
Con un’altra mossa a sorpresa, Luo ha proposto un nuovo round di colloqui con l’Associazione per le Relazioni Intrastretto, sostanzialmente l’omologo semigovernativo supervisionato da Pechino. Sono proprio queste due entità che, più di 30 anni fam siglarono il controverso “consenso del 1992″ su mandato di Partito comunista cinese e Guomindang. Non è mai stato chiarito del tutto il contenuto di quell’accordo, da molti interpretato come un artificio politico utile a mantenere lo status quo. Secondo la versione di Pechino, il “consenso del 1992” riconosce l’esistenza di una “unica Cina”, con l’inclusione di Taiwan. Secondo la versione del Guomindang, riconosce sì l’esistenza di una “unica Cina”, ma con “diverse interpretazioni”, consentendo dunque la temporanea coabitazione tra Repubblica Popolare e Repubblica di Cina (nome ufficiale con cui Taiwan è de facto autonoma).
Ebbene, Luo ha avanzato l’ipotesi di un nuovo round di colloqui presso la “roccaforte Nangan 26”, celeberrimo avamposto militare nazionalista nell’arcipelago delle Matsu (qui un mio reportage del 2022), amministrate tutt’oggi da Taipei ma a soli 15 chilometri dal Fujian. L’obiettivo di Luo sarebbe quella di raggiungere un “consenso 26“, dal nome della roccaforte. Da Pechino sono arrivati segnali negativi. Il governo cinese ha più volte indicato (anche nei giorni scorsi) come precondizione al dialogo il riconoscimento del “consenso del 1992”, mai accettato dal DPP. Lai ritiene invece che le due sponde dello Stretto siano “due entità separare e non subordinate l’una all’altra”. Punti di vista apparentemente inconciliabili. Sul Quotidiano del Popolo è apparso un duro editoriale di Zhong Yiping che definisce Lai “indipendentista” e definisce la visione indipendentista un “cancro”.
Inoltre, il Partito comunista sa che accettando le trattative darebbe al rivale DPP un grande vantaggio sulla scena politica interna taiwanese. Sull’isola, l’unica forza politica fin qui in grado di mantenere il dialogo con la Cina continentale è sempre stato il Guomindang. Dare spazio al DPP potrebbe dare un’arma retorica fondamentale a Lai, spesso criticato per la sua linea troppo chiusa al dialogo.
Il controverso ex magnate dei chip Robert Tsao ha dichiarato di voler citare in giudizio presso un tribunale di Taiwan alti funzionari cinesi per le sanzioni che gli sono state imposte. Qui un ritratto di Tsao.
Un po’ di analisi: intenzioni di Xi Jinping, arsenale non militare di Pechino (su cui intensifica la battaglia legale sulla risoluzione 2758 dell’Onu), Xia Liping sulle relazioni intrastretto, narrativa del Partito comunista su Taiwan, possibilità di conflitto “basse” secondo il rappresentante americano a Taipei.
Ennesimo caso sul fronte dell’intrattenimento (qui approfondimento sul tema), con il cantante di Hong Kong Andy Lau ha tenuto un concerto alla Taipei Arena, dove ha eseguito la nota canzone “Chinese People”. Pechino chiede ai media delle due sponde dello Stretto di promuovere la “riunificazione”. A proposito di media, come viene definita Taiwan su quelli internazionali?
La polemica sull’arruolamento degli studenti
Nelle scorse settimane è scoppiata un’accesa polemica intorno a una vecchia disposizione, mai ufficialmente revocata, che consente agli studenti delle scuole superiori di essere arruolati in tempo di guerra. In base alla norma approvata nel 2001, i minori possono essere mobilitati per i corpi giovanili non combattenti durante i conflitti e i disastri naturali. Fin qui, nessuno aveva mai fatto caso a quella disposizione mai applicata. Tutto è cambiato dopo che nelle scorse settimane i moduli di consenso per i volontari del corpo sono stati distribuiti agli studenti di alcune scuole superiori dell’isola. Dopo la diffusione della notizia sui media locali, i genitori hanno iniziato a protestare, temendo che i propri figli possano essere mandati a combattere in un ipotetico futuro conflitto.
Ne ho scritto nel dettaglio qui.
Taiwanesi oltre lo Stretto
Intanto, però, sono quasi tre milioni i cittadini taiwanesi che hanno raggiunto la Repubblica popolare per turismo, lavoro o studio nell’ultimo anno. I dati pubblicati venerdì 18 ottobre riportano 994 mila permessi per l’ingresso. Si tratta di un incremento del 14,5% rispetto all’anno precedente, nonché di una cifra maggiore rispetto ai dati del 2019. Nonostante le tensioni gli scambi aumentano e sarebbero favoriti, ha spiegato vice presidente dell’Istituto di ricerca su Taiwan presso l’Università di Xiamen Zhang Wensheng al South China Morning Post, “all’introduzione nel 2023 di 21 linee guida volte ad accogliere i taiwanesi a stabilirsi sulla terraferma”. Gli ingressi totali in Cina continentale nell’ultimo trimestre hanno registrato un aumento del 30, 1% per un totale di 160 milioni.
Microchip
La società di ricerca canadese TechInsights ha recentemente smontato almeno uno degli acceleratori di intelligenza artificiale di fascia alta del conglomerato di Shenzhen e, come rivela Reuters, ha scoperto un chip Ascend 910B prodotto dalla Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. Vale a dire la celeberrima TSMC, gigante dell’isola che da solo fabbrica e assembla oltre il 50% dei microchip a livello globale.
L’anno scorso in molti sono rimasti sorpresi quando Huawei ha svelato al mondo un nuovo chip per il suo nuovo smartphone Mate 60 Pro, presentato come il “più avanzato di sempre” di produzione autoctona in Cina continentale. I funzionari statunitensi hanno ripetutamente messo in dubbio la capacità di SMIC di produrre chip a 7 nanometri su scala e le prestazioni di tali componenti. Ora si scopre appunto che i microchip targati TSMC avrebbero continuato a fluire verso Huawei. Il produttore di chip taiwanese ha dichiarato di aver interrotto tutte le spedizioni a Huawei dopo il 15 settembre 2020. The Information ha riferito che i funzionari del Dipartimento del Commercio avevano già in precedenza contattato TSMC per sapere se l’azienda avesse prodotto chip per Huawei, sentendo solo secche smentite.
L’ipotesi sostenuta dall’azienda di Hsinchu, considerata probabile anche dai funzionari americani, è che le potenziali violazioni dei controlli sulle esportazioni siano state realizzate tramite l’entrata in azione di attori terzi, i quali avrebbero acquistato da TSMC per poi girare i chip a Huawei. Non a caso, il gigante taiwanese ha annunciato di aver sospeso le spedizioni a due aziende. Non è comunque certo il primo caso di cooperazione tecnologica tra le due sponde dello Stretto, che prosegue nonostante le tensioni politiche e militari, come ho scritto qui.
Gli Stati Uniti hanno intanto ordinato alla TSMC di interrompere le spedizioni di chip avanzati a clienti cinesi, spesso utilizzati in applicazioni di intelligenza artificiale. Il Dipartimento del Commercio ha inviato una lettera al colosso per imporre restrizioni all’esportazione di alcuni chip sofisticati, con design a 7 nanometri o più avanzati. Pechino critica Taipei per seguire il “disaccoppiamento” voluto dagli Usa colpendo anche le sue aziende.
Numeri più positivi del previsto per TSMC, spinti dal boom della richiesta dei chip per intelligenza artificiale.
Politica taiwanese e altre notizie
La Corte costituzionale di Taiwan ha stabilito che parti fondamentali delle riforme del parlamento, promosse dai partiti dell’opposizione, sono incostituzionali. A maggio il gabinetto di Taiwan aveva chiesto alla corte di rivedere la legislazione sulle riforme che aveva portato a scontri in parlamento e a decine di migliaia di manifestanti. Ora è arrivata la sentenza che accoglie in buona parte le richieste del governo, che ha peraltro di recente nominato alcuni dei 15 giudici della Corte.
Taiwan dice di essere stata snobbata da Sudafrica e Mongolia su richiesta di Pechino. Pretoria ordina il trasferimento degli uffici di Taipei fuori dalla capitale e Ulaanbaatar blocca alcuni eventi.
Taiwan ha respinto le nuove rivendicazioni di sovranità sul Mar Cinese Meridionale da parte delle Filippine e della Cina continentale.
Il governo riapre al possibile uso di energia nucleare per ragioni civili. Sarebbe una svolta legata a ragioni di economia e di sicurezza, secondo molti utile a limitare una grande debolezza di Taiwan.
Il ministero della Giustizia ha ritirato la proposta di aumentare le sanzioni pecuniarie per i reati legati all’aborto illegale dopo che molte associazioni di donne avevano espresso la loro opposizione.
Il tifone Kong-rey ha colpito duramente Taiwan, causando alcune vittime. Per due giorni tutto chiuso, tranne i karaoke.
Secondo le previsioni, Taiwan diventerà una “società super-anziana” nel 2025 e la sua popolazione totale dovrebbe scendere sotto i 23 milioni nel 2030, con un’età media di 48,7 anni, secondo un rapporto pubblicato dal Consiglio nazionale per lo sviluppo. Le autorità riconoscono che sarà molto difficile invertire la tendenza al ribasso sulle nascite.
Il Taipei Pride ha celebrato il suo 22° anniversario, con centinaia di migliaia di partecipanti che si sono riversati per le strade di Taipei per festeggiare e chiedere una società più inclusiva. Presente anche la vicepresidente Hsiao Bi-khim.
I residenti hanno chiesto al governo della città di Taipei di riconsiderare il piano di demolizione di un celebre ponte pedonale di quattro decenni fa situato vicino al Daan Forest Park.
Di Lorenzo Lamperti
Il bilancio dell’era Tsai, gli scenari dell’era Lai
Lo speciale sulle elezioni 2024
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.