Il ritorno del tycoon alla Casa bianca presenta alla Cina parecchie sfide, ma anche qualche opportunità
“78 anni è l’età per sfondare”. Con un paio di emoticon di faccine sorridenti. Sui social cinesi, dopo aver parlato per mesi di “soap opera per ottuagenari” sull’ipotetica sfida fra Donald Trump e Joe Biden, in molti non mancano di sottolineare l’età del prossimo presidente degli Stati uniti. Si tratta di una “vecchia conoscenza”, con cui alcuni netizen sono convinti che nei prossimi quattro anni “ci sarà da divertirsi”. Difficile capire se anche nelle stanze del potere politico cinese ci sia voglia di sorridere, mentre ci si avvicina nel nuovo tuffo verso le incognite del Trump bis. O se forse si sarebbe preferita Kamala Harris e la sua promessa di continuità, seppure lo status quo sia lontano dai desideri di Pechino. In tarda serata, è arrivato uno scarno comunicato di complimenti da parte del ministero degli Affari esteri: “Rispettiamo la scelta del popolo americano ed estendiamo le nostre congratulazioni a Trump”. Nel 2020, ci erano voluti oltre otto giorni per fare lo stesso con Biden. Ma le “elezioni più incerte di sempre”, come recitava un hashtag virale su Weibo, si sono rivelate una sentenza più rapida del previsto.
Le opinioni sugli scenari sono discordanti. La sensazione è che nei rapporti con Washington possano prevalere i problemi e le sfide, mentre al di fuori degli schemi bilaterali ci siano anche diverse opportunità. Wu Xinbo, analista della Fudan University di Shanghai, traccia un quadro fosco su Jiemian News: “Le relazioni tra Cina e Stati uniti subiranno forti oscillazioni nei prossimi quattro anni, con un’escalation di tensioni, un’intensificazione del confronto e forse anche una grave crisi. Lo spazio per la cooperazione sarà drasticamente con l’amministrazione Trump, anche sul cambiamento climatico”.
In cima ai problemi, il commercio. Trump ha minacciato a più riprese l’imposizione di dazi monstre al 60% sulle importazioni dei prodotti cinesi. Secondo alcune stime, l’impatto sul pil di Pechino potrebbe arrivare fino al 2,5%. Una brutta botta per il Partito comunista, che sta provando tra mille fatiche a rilanciare un’economia ancora zoppicante. Non è certo un caso se ieri la reazione dei mercati alla vittoria di Trump sia stata negativa. In particolare, la borsa di Hong Kong ha chiuso in calo del 2,23%, coi principali titoli tecnologici che hanno bruciato oltre il 4%, compresa Alibaba. Il timore concreto è quello di nuove sanzioni e restrizioni sulle catene di approvvigionamento, seguendo il solco di quanto avvenuto sia nel primo mandato Trump con la “fatwa” contro Huawei, sia con la strategia “small yard, high fence” promossa dall’amministrazione Biden. Riduzione del rischio per la Casa bianca, disaccoppiamento mascherato per Pechino. Xi Jinping potrebbe reagire imbracciando il bazooka e approvando misure di stimolo più cospicue del previsto per l’economia. Sul piano diplomatico, potrebbe cercare di far valere il rapporto personale sbandierato dallo stesso Trump per titillare il suo ego di “uomo d’affari”.
Difficile che in qualsiasi “grande accordo” possa entrare Taiwan, su cui Pechino si aspetta nuove “provocazioni”. Nel 2016, Trump accettò la telefonata di Tsai Ing-wen, allora presidente taiwanese. Un episodio che mise in moto una serie di dinamiche osservabili ancora oggi, quando le tensioni con Taipei non conoscono spiragli di tregua.
I rischi di potenziali crisi fra lo Stretto e il mar Cinese meridionale restano, ma allo stesso tempo la Cina intravede qualche opportunità nel potenziale sfilacciamento del sistema di alleanze americano. Il pressing per chiudere la guerra in Ucraina potrebbe legittimare la posizione cinese e ridurre la pressione per i rapporti con Mosca, rimuovendo il principale ostacolo alla distensione con l’Europa. Lo spauracchio del disimpegno isolazionista, o quantomeno le prevedibili polemiche sulle spese di difesa con gli alleati, potrebbe invece facilitare il dialogo coi vicini asiatici. C’è poi un aspetto retorico: col Trump bis, Xi ha la seconda opportunità di presentarsi come “protettore” del multilateralismo e del libero commercio. In ogni caso, la competizione resta: le regole del gioco potrebbero cambiare.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.