Pema Tseden (Wanma Caidan, in cinese) nasce nel Qinghai, regione del nord ovest cinese, studia alla Beijing Film Academy e da molti, in occidente, viene considerato il primo regista tibetano della storia contemporanea. Lui dipinge, però, un Tibet diverso, non ci sono monaci santi e templi dove ritrovare la propria essenza originale. Racconta del Tibet e del Nord ovest cinese di oggi, del rumore assordante delle moto, del fango e dei nomadi non più nomadi delle città montane.
In Old Dog (2011), esplora la relazione tra padre e figlio, e del loro mastino tibetano. Valori e bisogni di una famiglia, scombussolati dallo sviluppo economico feroce della Cina di oggi.
Pema Tseden è stato selezionato per Orizzonti al 72esimo Festival del Cinema di Venezia con Tharlo.
Oltre ad essere un regista, sei anche scrittore. Cosa hanno in comune queste due professioni e cosa le contraddistingue?
In realtà queste due professioni hanno molto in comune, specialmente tra gli autori di finzione e i registi di finzione, ognuno può trarre esperienza l’uno dall’altro. Ma da un altro punto di vista, la tipologia creativa è molto diversa. Ci sono idee o pensieri che è meglio esprimere con la scrittura e altri invece con le immagini. Nei miei lavori, sono sempre io scrivere la sceneggiatura, e Tharlo, il titolo del mio ultimo film, è un riadattamento di un mio libro di racconti.
Il Tibet, specialmente nei media occidentali, è spesso descritto come un paradiso esotico; questa discrepanza con la realtà potrebbe condurre gli spettatori a delle aspettative diverse. Come ti confronti con questo tipo di fraintendimento? Perché, a tuo parere, la rappresentazione veritiera del Tibet è importante al giorno d’oggi?
E’ la lettura che si fa del Tibet che è diversa, sono dissimili le prospettive. Io ho sempre preferito porre la mia attenzione sugli uomini, sulle donne, sulla gente che vive in questa terra chiamata Tibet. Ma soprattutto voglio scavare sulla loro condizione esistenziale, nel mondo di oggi, nel momento presente, e non riproporre una rappresentazione esclusivamente di facciata.
Lavori spesso con molti attori non professionisti, per quale ragione? Preferisci una produzione che si distanzi dal cosiddetto cinema “letterario”, oppure come nel genere neorealista ricerchi attraverso gli occhi e le modalità delle persone comuni, una narrazione non teatrale che porti ad una vicinanza con i personaggi?
Il mio primo lavoro (The silent holy stones) è stato tutto girato con attori non professionisti. Ho voluto scegliere i ruoli degli attori in base alla loro vita reale, cercando persone che facessero nella realtà delle esperienze molto simili a quelle che volevo raccontare nel mio film. Lavorare con attori non professionisti fa sì che si possa ritornare ad una condizione originaria sostanziale e di cura per le cose semplici. Devo dire, però, che lavoro anche con attori professionisti.
Tharlo, in proiezione al Festival del Cinema di Venezia, racconta di un uomo che ritrova se stesso. Ci puoi raccontare di più della fase della scrittura e del personaggio? Perché hai scelto Shide Nyima, famoso attore e poeta tibetano?
Tharlo, è una rivisitazione di un mio libro di racconti. Avevo una base forte su cui costruire una storia, e la fase di scrittura non è stata molto faticosa. Nella sceneggiatura ho voluto porre attenzione sulla condizione personale del protagonista. Nel film, sono molti gli ostacoli che deve superare, succedono molte cose, ma soprattutto, è la scoperta dell’amore ha dargli tutti gli stimoli costruttivi di cui ha bisogno. Tharlo è interpretato da Shide Nyima, un attore molto famoso, davvero molto diverso dal protagonista. Ma Shide Nyima, lo conosco da molto tempo e sono convinto che possieda comunque dei lati del suo carattere molto simili a quelli di Tharlo. Poi anche lui, non si è mai tagliato i capelli per diciassette anni, e usa tenerli raccolti in una lunga coda, una caratteristica molto simile a Tharlo.
Hai paura di essere etichettato come il regista tibetano? Hai in mente un lavoro che non ha a che vedere con il Tibet?
Sono tibetano, e questo è fuor di ogni dubbio, ma non voglio che lo si sottolinei troppo perché porge il fianco a tutto un altro significato. Io sono un regista e voglio girare dei lavori a modo mio, in una modalità che contraddistingue la mia persona, in modo da poter esprimere me stesso, come fanno tutti i registi al mondo. Quando ci saranno delle effettive opportunità girerò anche io un film che non ha a che vedere con il Tibet. Anzi, ti dirò, ho fatto già dei tentativi in questa direzione.
Quali sono i tuoi registi di riferimento e perché? Secondo te che caratteristiche deve avere un regista per riuscire a condurre il set senza troppe difficoltà?
Ammiro molto i registi con una grande creatività, che nonostante i vari momenti della vita, nonostante la crescita e maturazione, riescono comunque ad essere sempre originali. Il regista deve avere solamente una grande fantasia, un’abilità tecnica e deve stare bene in salute. Consiglio a tutti di vedere i classici del cinema, sono lavori che sebbene abbiano fatto il loro tempo, sono sopravvissuti a tutto e meritano di essere rivisti.