Il ponte più lungo del mondo, 55 chilometri, per un costo di 17 miliardi di euro, collega Hong Kong e Macao alla Cina continentale, alla città di Zhuhai. A inaugurare il ponte Xi Jinping, il presidente della Repubblica popolare cinese (che approfitterà dell’evento per visitare le zone del sud est cinese, da sempre motore dell’economia di Pechino) e la chief executive dell’ex colonia britannica, Carrie Lam.
Un ponte dai numeri record e dalle caratteristiche decisamente particolari: la guida sarà a destra – come in Cina e non a sinistra come a Hong Kong – sarà iper controllato da speciali telecamere che segnaleranno ogni segnale di stanchezza degli autisti (attraverso quelle che sono già state definite “video camere anti sbadiglio”), ma non solo.
Insieme alla scelta della guida a destra, il ponte sembra essere l’ennesimo gesto di prepotenza– o quanto meno di rappresentazione di forza – da parte della Cina su Hong Kong. «La gente di Hong Kong – ricorda il Guardian – avrà bisogno di permessi speciali per attraversare il ponte. I permessi a lungo termine per passare da Hong Kong a Zhuhai saranno concessi solo alle persone che soddisferanno criteri rigorosi, come il pagamento di tasse significative in Cina, la donazione di ingenti somme di denaro a enti di beneficenza nella provincia cinese meridionale del Guangdong, o per membri di varie organizzazioni politiche. Altri possono prendere un bus navetta privato. Non ci saranno trasporti pubblici sul ponte».
Tutto questo non ha creato un sentimento di grande passione da parte dei cittadini di Hong Kong nei confronti del ponte; del resto è difficile sentirsi coinvolti quando tutto sembra in mano alla Cina, come accade da molto tempo: «Un investimento così grande che usa i soldi dei contribuenti di Hong Kong… ma in fondo non lo possiamo utilizzare», si legge tra i commenti apparsi sul South China Morning Post.
Il ponte ha alcuni obiettivi specifici, oltre a celebrare la consueta grandeur dei progetti architettonici e urbanistici che coinvolgono la Cina: intanto mira a collegare un’area che nelle intenzioni dovrà diventare una sorta di regione iper connessa (prima della costruzione del ponte da Hong Kong alla Cina servivano 4 ore di tempo in auto, ora basterà mezz’ora circa) e che si ricollega anche a progetti di infrastrutture legate al trasporto ferroviario.
Secondo molti, specie per gli abitanti di Hong Kong, costituisce anche un ennesima conferma della volontà di cinese di rendere la città Stato completamente sottoposta al controllo del partito comunista.
Rimane il fatto che il ponte ha i consueti numeri cinesi: i lavori di realizzazione dell’infrastruttura sono durati 12 anni e come spesso accade hanno affrontato critiche di ogni tipo specie per quanto riguarda l’impatto ambientale. Il ponte, infatti, attraversa il delta del fiume delle Perle e comprende un tunnel sottomarino di 6,7 chilometri. Il tunnel – reso necessario per consentire la navigazione del fiume alle navi cargo – è collegato al ponte attraverso due isole artificiali.
Come ricordano i media dell’ex colonia britannica, i costi di realizzazione dell’opera sono stati ripartiti «tra i governi delle tre città in base alla valutazione dei potenziali benefici economici». Inoltre questa grande opera si inserisce all’interno di un più generale piano di sviluppo nazionale per la Grande Baia di Guangdong-Hong Kong-Macao che nei sogni di Pechino dovrebbe diventare una sorta di ennesimo contraltare alla Silicon Valley americana. Come annunciato dal governatore del Guangdong, Ma Xingrui, il piano prevede diversi progetti urbanistici decisamente rilevanti, cominciando dalla linea ferroviaria ad alta velocità Canton-Shenzhen-Hong Kong (Xrl), inaugurata questo mese, vero e proprio fiore all’occhiello della mastodontica rete dei trasporti cinese.
Un collegamento che analogamente al ponte appena inaugurato ridurrà drasticamente i tempi di percorrenza tra Canton e Hong Kong a soli 48 minuti e quello tra Shenzhen e Hong Kong a 14 minuti.
[Pubblicato su Eastwest]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.