Mosca e Pechino contro ogni «ingerenza esterna» e azioni di forze esterne come le “rivoluzioni colorate”. «Difendere gli interessi comuni e sostenere l’equilibrio di potere internazionale e regionale». Megafornitura russa di gas alla Cina
Nuova era delle relazioni internazionali: nel motto scelto da Putin e Xi Jinping per siglare la loro rinnovata alleanza c’è tutto il peso della potente leadership di Xi (il suo pensiero, entrato nello statuto del Pcc al pari di Mao e Deng, è proprio «il socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era») e l’astuzia di Putin pronto a lasciare l’importanza delle parole a Pechino, a fronte di un riavvicinamento di cui sembra principalmente necessitare Mosca.
AL DI LÀ DELLE VALUTAZIONI su chi abbia più bisogno dell’altro, la dichiarazione congiunta rilasciata al termine dell’incontro di ieri a Pechino, poco prima della cerimonia di inaugurazione dei Giochi olimpici, segna un momento storico.
Che piaccia o meno, che si sia in accordo o meno, siamo in presenza di un «fronte» dichiaratamente contrario all’ordine mondiale americano e propugnato militarmente dalla Nato.
La Cina, prima che la Russia, assume così a un ruolo internazionale che mai dalla nascita della Repubblica popolare ha avuto, dimenticando anche quell’anticamera a Mosca che tanto spazientì Mao portando in pochi anni a un allontanamento della Cina dalla Russia in nome di una nuova amicizia con Washington.
Nel documento rilasciato dall’agenzia russa Tass si legge che «Le parti sostengono e difendono il sistema commerciale multilaterale basato sul ruolo centrale dell’Organizzazione mondiale del commercio, partecipano attivamente alla sua riforma, opponendosi agli approcci unilaterali e al protezionismo».
Mosca e Pechino inoltre affermano di voler rafforzare «il coordinamento della politica estera, perseguire un vero multilateralismo, rafforzare la cooperazione su piattaforme multilaterali, difendere gli interessi comuni, sostenere l’equilibrio di potere internazionale e regionale e migliorare la governance globale».
NEI DIALOGHI, COME riportato dai media cinesi, non sono mancate critiche all’Aukus (l’accordo tra Usa, Australia e Gran Bretagna), nonché alle «rivoluzioni colorate», vero spauracchio tanto per Putin quanto per Xi. Multilateralismo «vero» significa inoltre delegare ad alcuni organismi lo sviluppo di questo nuovo equilibrio mondiale più equo, nelle intenzioni di Russia e Cina: Mosca e Pechino intendono «resistere all’ingerenza di forze esterne, con qualsiasi pretesto, negli affari interni dei Paesi sovrani e si impegnano a rafforzare il ruolo dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean) come elemento chiave della sicurezza regionale.
Inoltre, Russia e Cina aumenteranno la cooperazione contro le azioni delle forze esterne che minano la sicurezza, comprese le cosiddette “rivoluzioni colorate”. Mosca e Pechino mirano altresì a rafforzare l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) e a potenziare il suo ruolo nel plasmare un ordine mondiale multipolare basato sui principi della sicurezza sostenibile».
UN DOCUMENTO che pare uscito direttamente della penna di Xi quando insiste sulla non ingerenza degli affari interni, ponendo in questo caso un dilemma non da poco – in realtà – alla controparte russa per quanto concerne l’affaire ucraino e quando riorienta la geopolitica sullo scenario asiatico, un leit motiv della narrazione cinese, tesa da tempo a sottolineare il carattere anti storico di istituzioni come il G8 che non corrispondono più agli effettivi equilibri mondiali.
Non manca poi un attacco diretto alla Nato, cucito nel documento per dare un’urgenza di attualità collegata alla crisi ucraina: «Le parti – si legge – si oppongono all’ulteriore espansione della Nato, invitano l’alleanza ad abbandonare gli approcci ideologizzati della guerra fredda, a rispettare la sovranità, la sicurezza e gli interessi di altri paesi, la diversità dei loro modelli di civiltà e storico-culturali e a trattare lo sviluppo pacifico di altri stati in modo obiettivo ed equo».
E ANCHE IN QUESTO SENSO rientriamo in pieno nella retorica sino-russa di relativismo rispetto ad alcuni temi concepiti come universali nella nostra parte di mondo. Interessante la critica all’approccio «ideologico»: anche in questo senso si ritrova l’eco di precedenti dichiarazioni, l’ultima proprio di Putin intervistato due giorni fa dalla televisione di Stato cinese, quando – annunciando proprio il documento congiunto – specificava che non sarebbe stato «ideologico».
Cina e Russia cercano, almeno pare, di uscire da una trappola di scontro di civiltà basando la propria «alleanza» su basi pragmatiche e realistiche, come a dire, è il mondo che va così, non dipende da come lo si guarda.
MOSCA IN QUESTO MODO ottiene un appoggio diplomatico di cui ha grande bisogno, proprio come avvenne nel 2014 seppure senza sancirlo con una dichiarazione congiunta di questa portata, e che ripaga con la «sorpresa» di cui si è fatto portatore Putin e annunciata nei giorni scorsi dall’ambasciatore russo a Pechino, ovvero un nuovo accordo energetico (a sottolineare come ormai energia e geopolitica vadano a braccetto): tutto sarebbe pronto, secondo quanto annunciato dallo stesso Putin, per un nuovo contratto per la fornitura di gas alla Cina per dieci miliardi di metri cubi all’anno.
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.