Due sono gli elementi che dovremmo provare a osservare: il presidente Xi Jinping e lo sfoggio militare mostrato. Negli ultimi tempi Xi ha girato intorno a un concetto determinante per capire la Cina di oggi, chuxin, «l’aspirazione originaria». Con questa espressione Xi intende: servire il popolo, riscoprire il corretto e originario orientamento politico, realizzare il socialismo con caratteristiche cinesi e rafforzare il partito. Quando il primo ottobre ha ricordato che nessuno potrà ostacolare la Cina e impedirgli di raggiungere i propri obiettivi, Xi ha sottolineato un percorso, con un inizio e un suo progresso. Non a caso ha specificato che «il popolo cinese e i gruppi etnici della nazione hanno raggiunto grandi conquiste che hanno sbalordito il mondo» grazie ai suoi sforzi e a «una dura battaglia». Si è detto che tra le tante novità apportate da Xi va annoverato anche il ritorno della «politica»: dopo anni di leadership tecnocratiche, concentrate sulla gestione economica della crescita, con Xi è tornata l’importanza della forza ideologica del Pcc, il richiamo alla strenua riconquista da parte della Cina di un posto al mondo che per i cinesi è naturalmente «centrale» e la cui «origine» fu la rivoluzione comunista.
La Cina dunque ci chiede ascolto, ricorda il proprio passato e rivendica la capacità attuale di creare conoscenza, di sancire quanto è giusto e quanto sbagliato, fuori dai canoni occidentali. Ma naturalmente questa fermezza ideologica non basta; serve un deterrente, considerando che i pericoli per la Cina sono concepiti dalla dirigenza solo ed esclusivamente come «esterni». L’«interno» è infatti sotto chiave, da tempo.
Lo sfoggio di missili nucleari intercontinentali capaci di raggiungere gli Usa in meno di un’ora, è il secondo elemento di cui tenere conto. Lo show off militare è indirizzato chiaramente a Washington, in prima battuta. I missili hanno il compito di preoccupare l’allevatore dell’Ohio, quello che ha votato Trump e vede il suo presidente scherzare con il fuoco dei dazi nei confronti di Pechino, ma di fatto terrorizzano molto di più il manager di Taiwan, l’investitore di Singapore, il pescatore giapponese. La Cina, infatti, ci sta dicendo che il nostro mondo è ancora importante, ma ci invita a ricordare che entro il 2050 quattro delle prime cinque potenze mondiali saranno asiatiche. È ai vicini asiatici – capaci di comprendere molto più di un occidentale i tanti simbolismi presenti nelle celebrazioni dei 70 anni di Repubblica popolare – che la potenza cinese parla, mostrando una capacità militare che nella regione, ormai, non ha rivali.
Infine, le parole di Xi e i missili, sono rivolti al popolo cinese. Secondo il sinologo ed esperto di Pcc David Shambaugh, mettere in mostra la propria forza militare è principalmente un messaggio di natura interna, volto a fomentare una popolazione che nella «politica» deve coltivare la convinzione di avere una missione nel mondo, anche a fronte di problemi economici che toccheranno il gigante cinese. Qualche mese fa Xi aveva avvisato: «l’inverno sta arrivando»; arriveranno tempi duri e la festa della Repubblica tenta di tranquillizzare la popolazione (possiamo difenderci) e dare slancio a una nuova forma di «battaglia» (ecco che la «linea di massa» maoista torna centrale).
A noi la Cina ha ricordato che ostacolarla significa mettersi contro quei missili e la forza di un popolo; al contrario se la Cina verrà ascoltata, la sua «ascesa pacifica», come amano ricordare i funzionari cinesi, converrà a tutti. A quest’ultima ipotesi noi potremmo anche non credere, ma i cinesi ne sono convinti.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.