La Cina deve affrontare un momento delicato, una trasformazione economica gigantesca all’interno di una cornice internazionale complicata dalle tensioni crescenti su Taiwan e sulla guerra commerciale e diplomatica a bassa intensità con gli Stati uniti
La Cina di Xi si prepara al suo anno politico: a novembre il Plenum e a ottobre del 2022 il Congresso. Saranno due momenti decisivi per la Cina nuova.
La riunione politica preparatoria per il Sesto Plenum del 19° comitato centrale, (che si svolgerà dall’8 all’11 novembre) ha presentato un progetto per una «Risoluzione sui principali risultati e sull’esperienza storica della lotta nel centenario del Partito». Le Risoluzioni sulla storia del Partito sono state due e sono state entrambi fondamentali nel percorso politico del Pcc: nel 1945 toccò a Mao portare a casa la sua visione tanto della Rivoluzione da attuare, quanto di come sarebbe stato organizzato ideologicamente il Partito; nel 1981 toccò a Deng utilizzare la Risoluzione per cacciare tra gli errori la Rivoluzione culturale e parte dell’operato proprio del Grande Timoniere.
Oggi al potere c’è Xi, pronto a un terzo mandato da raccogliere tra un anno esatto, al 20° congresso. Il «sogno cinese» e il «ringiovanimento della nazione cinese» troveranno presumibilmente una loro sistemazione all’interno della struttura del pensiero del Partito e la Risoluzione balenerà un futuro prossimo non troppo roseo per aziende private, big tech e deviazioni dalla linea «della nuova era» di Xi.
Come sempre non mancano rumors sulla tesi fondamentale della Risoluzione, compresa la possibilità di una riabilitazione di quel famoso trenta per cento di Mao poco gradito a Deng Xiaoping. Non sarebbe una novità: difficilmente i documenti del Pcc costituiscono qualcosa di clamorosamente nuovo; piuttosto mettono in fila alcuni concetti espressi dalla leadership nel corso del tempo e Xi Jinping ha detto più volte che i primi trent’anni della storia del Partito non possono essere dimenticati o relegati solo tra le cose negative.
Anche perché la sua azione, almeno da un punto di vista teorico, sta portando proprio a un ritorno alla supremazia del Partito sullo Stato e a quella dello Stato sui privati, ma non solo.
La Cina deve affrontare un momento delicato, una trasformazione economica gigantesca all’interno di una cornice internazionale complicata dalle tensioni crescenti su Taiwan e sulla guerra commerciale e diplomatica a bassa intensità con gli Stati uniti.
Per questo Xi Jinping ha sigillato il suo mandato in nome della politica, relegata a elemento secondario da 40 anni di mera gestione economica da parte del Pcc. La politica – e con essa le strette sul controllo dei media e in generale di tutto quanto rischia di fare opinione all’interno del paese – è tornata centrale per colmare le probabili difficoltà economiche (crescita in calo, crisi energetica, crisi del settore immobiliare).
Xi potrebbe infatti dover mettere mano al welfare, dare avvio a una progressiva tassazione sulle proprietà immobiliare, proseguire nella sua opera di sistemazione del settore tecnologico, tenendo sempre al centro il Partito ed evitando pericolosi scossoni sociali.
E una Risoluzione può dare nuova linfa alla teoria del Pcc e incastonare ancora di più l’attività di Xi nel lungo processo, millenario, di costruzione di una Cina capace di essere forte all’interno e in grado di incidere sull’agenda internazionale.
Di simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.