Un po’ in sordina, dopo l’attacco terroristico di Kunming (33 morti) e durante l’escalation della crisi ucraina, si è svolta l’Assemblea Nazionale del Popolo a Pechino, il tradizionale appuntamento annuale di quanto in Cina è più simile a un parlamento. Un’analisi dei risultati delle "due sessioni" che stabiliscono le linee guida per l’anno a venire. Le «due sessioni» (liang hui) come vengono chiamate in Cina, stabiliscono le linee guida per l’anno a venire e provano a tracciare le rotte di quelle riforme messe a punto dal Consiglio di Stato e dal Partito. Quest’anno l’attenzione era rivolta alla gestione dei lavori da parte della coppia al potere, Xi Jinping e Li Keqiang, con quest’ultimo per una volta, in posizione preminente.
È stato infatti il suo discorso a scandire la linea, partendo da un’analisi del 2013, fino ad arrivare alle previsioni del 2014, che sanciscono all’interno del pacchetto di misure quel potenziale «restyling finanziario» che potrebbe davvero mutare la natura economica cinese. Il paese della Grande Muraglia è atteso al varco da un periodo che potrebbe essere piuttosto complicato: la crescita diminuisce, permettendo al paese alcuni aggiustamenti strutturali, ma c’è da concentrarsi su alcuni settori specifici.
Da un lato il mondo del lavoro, che comincia a dare segnali di instabilità, con la crescita di disoccupati tra i laureati che nel 2013 hanno raggiunto la cifra record di 7 milioni. Con il passaggio dalla quantità alla qualità, la Cina non dismette certo i propri polmoni produttrici del sud est, ma sta mutando pelle. Questo si traduce nella perdita di manodopera per aziende che delocalizzano e laureati che faticano a trovare immediata collocazione nel settore dei servizi, ancora non completamente esplosi. Da questo discende un ulteriore problema: per sviluppare questi settori è necessario aprire di più ai privati, che spingono da tempo per un ruolo più importante, specie nei settori strategici, a discapito delle grandi aziende di Stato.
Pechino ha così stabilito una serie di riforme di natura finanziaria, che finiranno per esporre a maggior rischi la stabilità del paese, consentendo però – dicono a Zhonghnanhai – un migliore equilibrio economico. Venendo al pratico, come amano fare i cinesi, per il 2014 sembra essere tutto piuttosto chiaro: l’obiettivo di quest’anno per la crescita è il 7,5 percento, mentre gli obiettivi di inflazione e offerta di moneta sono stati fissati, rispettivamente, al 3,5 per cento e al 13 per cento, che corrispondono a quelli del 2013, mentre si stima che il deficit di bilancio nel 2014 aumenterà fino a 1.350 miliardi di yuan (220 miliardi di dollari ) dai 1.200 miliardi di yuan attuali, secondo il rapporto presentato all’Anp. Secondo Chang Jian, capo economista per la Cina di Barclays Capital a Hong Kong, «la capacità dell’economia cinese di mantenere un obiettivo di crescita di circa il 7,5 per cento avrà un effetto positivo sull’economia globale nel suo complesso».
Secondo quanto riportato dal Global Times, «i ministri della finanza di 20 delle più grandi economie del mondo hanno promesso alla riunione del mese scorso a Sydney di puntare ad una ulteriore crescita globale del 2 per cento nei prossimi cinque anni, ma la ripresa economica globale probabilmente rimarrà instabile per il prossimo futuro, dicono gli analisti.
Mentre la Cina ha mantenuto invariato, rispetto all’anno scorso, il suo obiettivo di crescita, le altre nazioni Brics – Brasile, Russia, India e Sud Africa – hanno aumentato drasticamente i loro obiettivi per l’anno nuovo». Rallentare – ma non «drasticamente» – non significa dimenticare l’obiettivo categorico dello sviluppo: «Mantenere la crescita della Cina all’interno di un intervallo ragionevole salvaguarderà le riforme, invece di essere una contraddizione» ha spiegato Li Wei, economista di Shanghai presso Standard Chartered. Del resto, «lo sviluppo rimane la chiave per risolvere tutti i problemi del paese e dobbiamo focalizzarci fermamente sulla costruzione economica e sul mantenimento della crescita», ha spiegato il premier Li Keqiang nel rapporto presentato all’assemblea.
Per quanto riguarda il lavoro, Liha specificato tre obiettivi da raggiungere: la creazione di 10 milioni di posti di lavoro nelle aree urbane, mantenere il tasso di disoccupazione urbano registrato ad un livello massimo del 4,6 per cento, provvedere ad aumentare i redditi personali al passo con lo sviluppo economico. Sviluppare quindi il mercato interno, rimane la chiave degli obiettivi prefissati dal governo di Pechino. Una parte determinante delle riforme, è prevista nel campo finanziario: via libera alle banche private, con la possibilità per Tencent e Alibaba di diventarne soci (e del resto Alibaba già si sperimenta da tempo nel microcredito), anche se con tempi e modi ancora da stabilire.
A questo proposito interessante quanto spiega il Wall Street Journal: «tra le proposte finanziarie, una misura per istituire una assicurazione sui deposito bancari è stata la più significativa». Altre proposte di vasta portata hanno riguardato misure che consentiranno ai governi locali di emettere obbligazioni e allo yuan di fluttuare più ampiamente, «anche se la relazione davanti all’Assemblea Nazionale del Popolo – dicono gli analisti finanziari – ha offerto pochi passi audaci». Per ora.
Infine: è la tipica notizia che senza crisi ucraina avrebbe creato l’ormai consueto – di questi tempi – scontro mediatico tra Pechino e Washington. Invece, approfittando dell’attenzione guadagnata dallo scontro tra Russia e resto del mondo, la Cina un po’ in sordina ha annunciato i dati per le prossime spese militari.
Nonostante il rallentamento della crescita economica, la Cina aumenterà di oltre il 12 percento la propria spesa militare. Ormai la strada è segnata: in Asia, soprattutto, la Cina deve contrastare la strategia americana (pivot to Asia)e l’unica soluzione per Pechino è potenziare le proprie soluzioni di difesa. Siamo sempre all’interno del mantra pechinese della «ascesa pacifica», ma è chiaro che tra Usa e dispute territoriali, la Cina sente la necessità di non perdere di vista la forza e l’entità del proprio arsenale. Il Ministero delle Finanze cinese ha specificato che la spesa militare quest’anno è stimata intorno a 808,23 miliardi di yuan (131,58 miliardi di dollari) , in crescita del 12,2 percento dalla spesa dello scorso anno di 720,2 miliardi di yuan.
A sua volta c’è stato un incremento del 10,7 percento rispetto al 2012. L’esborso maggiore – fanno notare molti analisti – arriva nonostante un rallentamento della crescita economica, al 7,7 percento dello scorso anno e al 7,5 per l’anno prossimo. L’annuncio – hanno fatto notare i media nordamericani – è arrivato solo un giorno dopo la drastica riduzione di Obama ai livelli di truppe e un piccolo taglio nella spesa del Pentagono.
La mano di Xi Jinping, da tempo impegnato a sollecitare l’esercito popolare, si fa dunque sentire, con sommo rimprovero dei vicini più preoccupati da questo gigante economico, sempre più potente anche a livello militare, ovvero Giappone e Taiwan. La risposta del governo cinese è stata simbolica: «i nostri vicini vorrebbero che fossimo boy scout. Non lo siamo, come potremmo altrimenti garantire la pace nell’area?» Dalle parti di Pechino questo ragionamento non fa una piega. Del resto nei giorni scorsi la Cina ha avvisato la Corea del Nord: niente colpi di testa in quest’area. Ma se mai dovesse avvenire un capitombolo del Nord, la Cina vuole essere preparata, caso mai si trovasse a confinare da quelle parti, direttamente con gli Usa, alleati del Sud.
[Scritto per il manifesto]