Il tempo passa, la guerra in Ucraina e altre crisi dominano l’attenzione globale. E quanto accade in Myanmar sembra almeno parzialmente dimenticato, con segnali di un tentato riavvio dei rapporti con l’esercito golpista che guida il regime birmano. In collaborazione con Gariwo Onlus.
Seimila. Sarebbe questo, secondo un report del Peace Research Institute di Oslo, il numero dei civili uccisi in Myanmar nei primi 20 mesi successivi al colpo di Stato militare del 1° febbraio 2021. Un numero significativamente superiore rispetto a quello riportato dagli organismi internazionali, comprese le Nazioni Unite. Un numero che nasconde una situazione che resta terribile sotto tutti i punti di vista: politico, economico, sociale. Eppure, iniziano a intravedersi manovre per operare una “normalizzazione” della giunta militare sul piano regionale e internazionale. Il tempo passa, la guerra in Ucraina e altre crisi dominano l’attenzione globale. E quanto accade in Myanmar sembra almeno parzialmente dimenticato, con segnali di un tentato riavvio dei rapporti con l’esercito golpista.
La frustrazione dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN) continua d’altronde a crescere: l’accordo in cinque punti sulla fine delle violenze raggiunto oltre due anni fa non è mai stato implementato dal generale Min Aung Hlaing e dal Tatmadaw (il nome con cui è conosciuto l’esercito birmano). E anche in seno al blocco regionale del Sud-Est asiatico si intravedono le prime grandi crepe sull’approccio da utilizzare. Durante il summit di maggio, presieduto dall’Indonesia, i leader dell’ASEAN hanno chiesto la fine immediata delle violenze. Ma la Thailandia ha rotto il fronte proponendo di “impegnarsi nuovamente” a dialogare con la giunta militare del Myanmar. Con una lettera del 14 giugno, Bangkok ha invitato i ministri degli Esteri del gruppo a un incontro informale. Compreso il ministro degli Esteri nominato dall’esercito birmano. Indonesia e Singapore si sono rifiutati. In particolare, la città-stato ha spiegato che, non essendoci stati miglioramenti nella situazione in Myanmar, “sarebbe prematuro riprendere il dialogo con la giunta a livello di leadership o anche di ministro degli Esteri”.
Il precedente governo della Thailandia – al potere fino all’inizio di settembre e il cui primo ministro, Prayuth Chan-ocha, era salito al potere con un colpo di Stato dell’esercito – ha cercato in passato di riportare gli ufficiali militari del Myanmar nei colloqui informali con le controparti dell’ASEAN, mettendosi talvolta in contrasto con gli sforzi dell’Indonesia. Anche non riuscendo a riabilitare la giunta, l’effetto dell’iniziativa thailandese è stato quello di mostrare differenze all’interno dell’ASEAN e sostanzialmente vanificare le iniziative prese dal gruppo sul tema Myanmar, come il tentativo parallelo dell’Indonesia di mantenere il dialogo con tutte le parti, compreso il governo di unità nazionale ostile all’esercito. Un’organizzazione di politici del Sud-Est asiatico, la ASEAN Parliamentarians for Human Rights, ha definito i colloqui un “tradimento del popolo del Myanmar e un affronto all’unità dell’ASEAN”. Bangkok ha dichiarato di aderire alla cosiddetta politica di non interferenza dell’ASEAN, che impedisce ai membri dell’associazione di interferire nella politica interna di altri Stati membri.
La sensazione è però che, dietro le quinte, anche altri attori regionali abbiano sostenuto l’azione thailandese di normalizzazione. L’ormai ex vice primo ministro e ministro degli Affari esteri di Bangkok, Don Pramudwinai, ha dichiarato che “un certo numero di membri ha sostenuto l’appello al dialogo e alcuni sono stati disposti a prendere in considerazione l’ipotesi. E non c’è stata alcuna voce esplicita di dissenso”. Prayuth ha aggiunto: “Soffriamo più di altri perché la Thailandia ha più di 3.000 km di confine terrestre condiviso e un confine marittimo. Per questo i colloqui sono necessari. Non si tratta di schierarsi”. Ma il ritorno dei rappresentanti militari birmani agli incontri dell’ASEAN rappresenterebbe un passo dal quale non si potrebbe più tornare indietro.
Per ora, resta comunque un’ipotesi lontana. Mentre si attende di capire quale sarà l’approccio del nuovo governo thailandese al dossier Myanmar, durante il secondo summit annuale dell’ASEAN di settembre (nonostante una generale mancanza di progressi sulla questione) i paesi del gruppo hanno deciso di far saltare il turno di presidenza annuale di Naypyidaw previsto per il 2026. Al posto del Myanmar, a presiedere l’Associazione tra poco più di due anni saranno le Filippine. Manila verrà dopo il Laos (2024) e la Malesia (2025), che nel frattempo formeranno insieme all’Indonesia una sorta di “triunvirato” a cui è stato assegnato il compito di guidare il dialogo con la giunta militare birmana. Un tentativo di unità del blocco che si scontra però con le divisioni interne: il 13 settembre i capi dell’aeronautica miliare di cinque dei paesi ASEAN (Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam e Brunei) hanno partecipato a una conferenza organizzata dall’aeronautica miliare del Myanmar nella capitale birmana. Singapore e Filippine hanno mandato solo dei contributi video, mentre Indonesia e Malesia avrebbero scelto di non partecipare del tutto.
A marzo di quest’anno era stata già organizzata a Bangkok una tavola rotonda sul Myanmar, per aprire ulteriori canali di dialogo. Vi hanno partecipato membri della giunta del Myanmar e rappresentanti di Cambogia, Laos e Vietnam, oltre a esponenti di Cina, India, Bangladesh e Giappone. Una seconda tavola rotonda è stata ospitata dall’India in aprile. Proprio Nuova Delhi è uno dei paesi più attivi sul dossier. E i rapporti col Myanmar non sono stati certo interrotti dopo il golpe. Anzi. Da quando la giunta militare ha preso il potere, le aziende indiane hanno spedito nel paese del Sud-Est asiatico almeno 51 milioni di dollari in armi, materie prime e forniture associate ai militari e ai commercianti di armi. Un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che un totale di 22 fornitori con sede in India hanno spedito armi alla giunta durante la violenta repressione del dissenso. Tra i fornitori vi erano entità statali, tra cui Bharat Dynamics, Bharat Electronics e Yantra India, e aziende private Sandeep Metalcraft e Larsen & Toubro. Il rapporto afferma che la continua fornitura di materiali al Myanmar da parte dell’India serve alla giunta militare per rafforzare la sorveglianza e per incrementare le scorte di artiglieria e missili. Oltre all’India, anche la Russia, la Cina, Singapore e la Thailandia avrebbero fornito supporto militare all’esercito del Myanmar per un valore complessivo di circa 1 miliardo di dollari, compresi esportatori privati e statali.
Il governo indiano, nonostante la visita di giugno del premier Narendra Modi alla Casa Bianca, continua a mantenere una linea di dialogo con la giunta militare, nell’ambito di rapporti complessi e sfaccettati che hanno profonde radici storiche.
Dall’aprile 2022, quando ha assunto l’incarico di ambasciatore indiano in Myanmar, Vinay Kumar ha guidato il processo di normalizzazione dei legami con il regime golpista e nell’ultimo anno l’India ha ripreso un regolare impegno da governo a governo con la giunta. In effetti, per tutti gli scopi diplomatici pratici, l’India ha ora chiaramente riavviato i rapporti con la giunta. Mantenendo eventuali relazioni con il governo di unità nazionale lontane dai riflettori. Angshuman Choudhury, del Centre for Policy Research di Nuova Delhi, ha dichiarato recentemente a The Diplomat: “Nel 2021, l’India ha enfatizzato nelle sue dichiarazioni bilaterali temi come il ripristino della democrazia e il rilascio dei prigionieri politici. Ma nell’ultimo anno, Nuova Delhi ha silenziosamente abbandonato ogni riferimento alla democrazia negli incontri bilaterali. L’esempio più lampante è stata la netta differenza nella lunghezza e nel linguaggio delle dichiarazioni alla stampa indiane dopo le visite dei due successivi segretari agli Esteri, Harsh Vardhan Shringla e Vinay Mohan Kwatra, in Myanmar, rispettivamente nel dicembre 2021 e nel novembre 2022. Shringla ha incontrato membri della società civile del Myanmar (molti dei quali si oppongono fermamente alla giunta) e si è sottilmente lamentato con la leadership del colpo di Stato per la sua incapacità di stabilizzare il confine tra India e Myanmar. Kwatra, invece, ha incontrato solo i vertici della giunta. La dichiarazione rilasciata dopo la sua visita non ha menzionato la questione del ripristino della democrazia o del consenso in cinque punti dell’ASEAN, attenendosi per lo più a questioni di impegno economico bilaterale”, spiega Choudhury, che aggiunge come “nei forum multilaterali, tuttavia, come nel Quad, Nuova Delhi continua a sostenere l’approccio dell’ASEAN al Myanmar”.
Ma l’India sembra ora concentrata sull’accelerazione dei suoi progetti di sviluppo in Myanmar e sulla facilitazione della ripresa delle relazioni commerciali regolari.
Anche la Cina, in una partita giocata con l’India anche sull’influenza in Myanmar, ha ripreso contatti più robusti con la giunta. A maggio, l’ex ministro degli Esteri Qin Gang è andato a Naypyidaw dove ha incontrato il generale Min Aung Hlaing. Pechino ha anche convocato colloqui di pace tra le organizzazioni di resistenza etnica e la giunta. Mentre il Partito della Solidarietà e dello Sviluppo dell’Unione (USDP), per conto dei militari, ha visitato la provincia cinese dello Yunnan. La Cina aveva sostenuto il ruolo guida dell’ASEAN nella risoluzione della crisi, ma la visita di Qin e altri segnali fanno ritenere ad alcuni osservatori che Pechino ha “declassato” il colpo di Stato da questione internazionale o regionale ad affare interno.
Min Aung Hlaing sta spingendo per la ripresa degli investimenti cinesi, che sono stati messi a repentaglio dall’instabilità birmana. Viste le sanzioni occidentali, la dipendenza della giunta da Pechino è aumentata – la Cina è il principale partner commerciale del Myanmar e il suo secondo investitore estero dopo Singapore – da quando il governo democraticamente eletto è stato rovesciato. Per la Cina, il Myanmar è importante per il corridoio che la porta sull’oceano Indiano aggirando lo Stretto di Malacca, nonché per le sue materie prime. Ecco perché la stabilità del paese è ritenuta fondamentale. E più passa il tempo più Pechino sente la necessità di normalizzare i rapporti con chi di fatto mantiene l’autorità, seppur frammentata.
Il tutto mentre anche diverse aziende internazionali, comprese alcune europee o di paesi come il Giappone, continuano a mantenere profondi interessi in un paese la cui economia dovrà far fronte a “danni permanenti” per colpa del golpe, secondo un rapporto della Banca mondiale. Un paese in cui migliaia di civili sono stati uccisi in poco più di due anni.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Gariwo]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.