Il potere in gabbia

In by Gabriele Battaglia

Bisogna ingabbiare il potere nelle leggi, dice Xi Jinping, il prossimo "imperatore" della Rpc. Potrebbe essere la volta buona che un’iniziativa seria contro la corruzione venga avviata, sostengono i principali media d’Oltre muraglia. Tanto che sarebbe pronto un piano quinquennale anticorruzione. Come un grillo di quelli che i vecchietti cinesi portano a spasso nei parchi, il potere è finito in gabbia. In un discorso ufficiale, ripreso da tutti i media del Paese, il leader cinese Xi Jinping ha dichiarato infatti che “il potere deve essere limitato da una gabbia di regolamenti”, di fronte alla Commissione centrale di ispezione e disciplina, massimo organismo anticorruzione. Così il nuovo concetto del potere “ingabbiato” entra a pieno titolo nella fraseologia del Partito, dopo la “trasparenza” più volte sbandierata negli ultimi tempi.

Sembrano fare sul serio, quelli del Partito: se le parole diventano formule, entrano poi nei discorsi della strada, quando negli hutong (vicoli) si incontrano anziani che discutono, con il ditino sollevato, a botte di citazioni: “Secondo l’idea di ‘società armoniosa’ del presidente Hu … in base allo ‘sviluppo scientifico’ teorizzato dal nostro grande Partito...”. Parole che diventano immaginario collettivo, da cui non si torna più indietro. Il Partito non può smentire se stesso. Se mai si va avanti, in un accumulo di formule che si susseguono nel tempo.

Potere limitato dalle regole e trasparenza, dunque, in un’accoppiata che avvicina (per ora teoricamente) la Cina all’Occidente. È la stessa agenzia ufficiale Nuova Cina a osservarlo, quando scrive che le parole di Xi “si collegano alle teorie di filosofi classici occidentali”. Attenzione però, non siamo alla “separazione” dei poteri di Montesquieu, bensì a limiti sanciti dalle leggi e specificamente inquadrati nella lotta alla corruzione dei funzionari locali. Detta in sintesi: funzionario, i tuoi abusi saranno d’ora in poi puniti.

Xinhua non esita a snocciolare cifre, nomi e cognomi: “Nel 2012, un totale di 4.698 funzionari a livello di contea o superiore sono stati puniti […] mentre 961 dipendenti sono stati trasferiti a organi giudiziari. […] Tra di loro c’erano Liu Zhijun, ex ministro delle Ferrovie, Huang Sheng, ex vice governatore nella provincia dello Shandong e Tian Xueren, ex vice governatore della provincia di Jilin.” Pezzi grossi, dunque, giusto per far capire che qui non si scherza.

Il South China Morning Post riporta che un dettagliato piano anticorruzione 2013-2017 potrebbe essere completato entro giugno. Il quotidiano di Hong Kong scrive anche che la Commissione centrale di ispezione e disciplina ha comunicato i settori in cui il giro di vite si concentrerà maggiormente: commercio, finanza, telecomunicazioni, istruzione, medicina e compravendita dei terreni. Ha inoltre ricordato che le amministrazioni devono “sottoporsi al controllo sia pubblico sia da parte dei media, nonché contenere le spese relative alle funzioni ufficiali, agli edifici governativi e alle visite di protocollo”.

Nel suo discorso, Xi Jinping ha anche connesso la lotta alla corruzione a un più generale “stile” di lavoro improntato alla frugalità, nemico di “edonismo e stravaganze” (leggi tappeti rossi, cene pantagrueliche e interminabili sfilate di auto dai vetri oscurati), perché “le pratiche indesiderabili, se non corrette, si evolvono fino a diventare un muro invisibile che separa il Partito comunista dal popolo”.

Contro la stravaganza, Nuova Cina si lancia anche in un editoriale “stravagante. Vi si legge, tra l’altro: “Si stima che il volume annuale di avanzi nei ristoranti cinesi sarebbe sufficiente a sfamare 200 milioni di persone per tutto l’anno. Mentre l’ostentazione degli avanzi a cene private è solo un vizio privato che deve essere corretto, la stravaganza e l’ostentazione inutile a banchetti ufficiali deve essere risolutamente fermato”. Chi sia mai stato in un ristorante cinese (in Cina, non in Italia), capisce al volo l’esempio.

Il problema, come in mille altri casi, è rendere effettive le buone intenzioni. In Cina le leggi sono spesso disattese quando devono essere applicate a livello locale. È questo il timore espresso da alcuni esperti intervistati dal South China Morning Post: “Tutto ciò è ben lungi dall’essere sufficiente – dice per esempio Chen Ziming, “studioso indipendente” – non esistono standard nei controlli a livello locale e il problema potrebbe risolversi in giochetti politici”.

Ma Huaide, vice direttore dell’Università Cinese di Scienze Politiche e Giurisprudenza, sostiene invece che l’idea di rendere visibile l’attività dei funzionari circola da anni, ma “dato che così tanti membri del partito sono corrotti, è molto difficile metterla in pratica”. Pane al pane: “La gente vuole che i dirigenti del partito rivelino i propri beni, è così semplice”, chiosa Chen.

[Scritto per Lettera43; foto credits: scmp.com]