Il piano quinquennale e l’impegno ecologico della Cina

In by Simone

Numericamente è il dodicesimo, anche se con ogni probabilità passerà alla storia per essere stato il primo green oriented. La dirigenza comunista lo ha presentato al mondo come il punto di partenza per il nuovo modello di sviluppo verde che la Cina intende abbracciare.

Le aspettative degli analisti e degli esperti nei suoi confronti sono unanimamente alte e positive. Per il momento tuttavia, l’unica cosa certa del piano quinquennale cinese per il periodo 2011-2015, in questi giorni in discussione davanti all’Assemblea nazionale del popolo, sono gli impressionanti investimenti per la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico e le fonti alternative in esso previsti.

Ormai pienamente consapevole dell’insostenibilità del modello di crescita e produzione seguito fino a questo momento, il Dragone ha da tempo cominciato la sua trasformazione verde, destinando negli ultimi anni crescenti quantità di fondi alla ricerca di una via da seguire per il green development.

Alla fine del 2009 la Cina ha sottratto agli Stati Uniti il primato di Paese più inquinante al mondo. In base alle statistiche della International energy agency, quell’anno Pechino ha consumato l’equivalente di 2.252 milioni di tonnellate di petrolio, il 4 per cento in più di Washington, mentre le sue emissioni inquinanti avrebbero raggiunto il record assoluto di 7,5 miliardi di tonnellate.

Contemporaneamente, però, l’ex Impero di Mezzo è diventato, stando alle analisi condotte da Ernst & Young, una vera calamita per gli investimenti in energie rinnovabili, riuscendo ad attrarre capitali da ogni parte del mondo.

Inoltre, sempre nel 2009, ha sorpreso il mondo intero spendendo il doppio dello Zio Sam in green energy; 34,6 miliardi di dollari, quasi 14 volte in più rispetto ai 2,5 di 5 anni prima.

Secondo le indiscrezioni finora trapelate, il nuovo piano quinquennale vorrebbe ora trasformare quest’onda verde in un ecotsunami, con un investimento complessivo per l’ambiente di 3.000 miliardi di yuan, circa 450 miliardi di dollari. Sulla carta sono pronti finanziamenti per oltre 300 miliardi di dollari al risparmio energetico, una riduzione delle emissioni di CO2 del 17 per cento per unità di Prodotto interno lordo e un taglio al consumo di energia del 16 per cento. Misure che, nelle parole del premier Wen Jiabao, dovrebbero consentire al Paese di smettere di «sacrificare il benessere ambientale per ottenere una crescita spericolata», ossia non sostenibil.
Dal punto di vista economico, saranno quattro i macro obiettivi su cui il Dragone si concentrerà nei prossimi anni: riequilibratura del sistema produttivo, attraverso il potenziamento della domanda interna e la riduzione delle esportazioni; miglioramento della qualità della vita della popolazione, dell’assistenza sanitaria e dei servizi pubblici; riduzione delle sperequazioni sociali e del divario tra ricchi e poveri; sviluppo delle regioni occidentali del Paese, ancora arretrate rispetto a quelle centrali e costiere.

Il primo risultato è quello che preme di più a Pechino. Una crescita fortemente dipendente dall’export come quella che ha conosciuto il colosso asiatico negli ultimi trent’anni non è più in grado di garantire il raggiungimento della héxié shèhuì, la società armoniosa, concetto che si contrappone a quello di democrazia in senso occidentale e che è stato elaborato dal presidente Hu Jintao e approvato nel corso del Congresso nazionale del popolo nel 2005.
La Cina sta tentando da tempo di abbandonare il modello manifatturiero cui è stata legata a partire dagli anni Ottanta sostituendolo con uno incentrato sul settore dei servizi, in grado di garantire un maggior impiego di forza lavoro e dunque un incremento del reddito dei cittadini, utile ad aumentare i consumi interni.

Questa scelta è destinata ad avere ripercussioni indirette ma comunque significative sull’ambiente: i servizi richiedono una quantità di materie prime e di energia nettamente inferiore alla produzione industriale. Ciò vuol dire che nel prossimo lustro il consumo di carbone, petrolio e altre fonti fossili da parte del Paese della Grande Muraglia diminuirà.
Tra le riforme che verranno adottate ve ne saranno alcune specificamente incentrate sull’incremento del potere d’acquisto da parte degli agricoltori e l’introduzione di programmi per aumentare la produttività agricola, misure anch’esse volte alla crescita della domanda interna.

È logico supporre che gli interventi in questo settore porteranno all’introduzione di tecnologie e metodi di coltivazione e sfruttamento dei terreni all’avanguardia, a ridotto consumo di energia e basso impatto ambientale.

Come espressamente annunciato dai leader cinesi, il consumo interno sarà stimolato dagli investimenti nei nuovi settori strategici individuati da Pechino, noti agli analisti internazionali con il nome di “new magic 7”: materiali d’avanguardia, biotecnologia, informatica di ultima generazione, energie alternative, efficienza energetica, protezione ambientale e hi-tech. Rispetto agli “old magic 7” (difesa, telecomunicazioni, energia elettrica, petrolio, carbone, aeronautica, marina) è evidente una virata verso il verde, che testimonia che lo sviluppo sostenibile ormai non è più considerato dal Dragone come una semplice copertura di facciata politacally correct da mostrare alla comunità internazionale per evitare critiche, quanto piuttosto una vera fonte di profitto.

La riduzione complessiva del 40-45 per cento delle emissioni di anidride carbonica rispetto ai livelli del 2005 entro il 2020, annunciata dai leader cinesi durante la conferenza di Copenhagen, appare dunque un obiettivo teoricamente raggiungibile, a patto che alle linee guida tracciate seguano fatti concreti.

Al momento infatti la possibilità di vedere l’introduzione di una carbon tax in questo piano quinquennale resta per molti osservatori estremamente remota. Secondo Jiang Kejun, ricercatore presso il China’s energy research institute, centro strettamente collegato alla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, una simile tassa sarà presa in considerazione ma solo a livello concettuale. Altri sostengono invece che un’applicazione parziale di una simile imposta potrebbe aversi già nel 2013. Più probabile invece, in base a quanto emerso dai media cinesi, l’inserimento di un target di riduzione del 15 per cento delle emissioni di sostanze tossiche come piombo, mercurio, cromo, cadmio e arsenico, responsabili negli ultimi due anni di una trentina di gravi incidenti dentro e fuori il territorio cinese.

[Articolo pubblicato su Terra] [Foto China-Files]