Domenica e quarto giorno di Shibada. Giusto puntare l’attenzione su temi domenicali, come ad esempio la capigliatura della leadership cinese, sempre pronta a sorprese. Da Jiang Zemin agli altri: una carrelleta. Ogni politico cinese nasconde un mistero: la tintura per i propri capelli. E buona domenica. Torniamo domani con nuovi update da Pechino
La canizie è l’anticamera della pensione, mai ai potenti del mondo conviene nasconderla e avere cura di sé. Anche Confucio, in fondo, la pensava così. Ed è proprio nel rispetto di questo principio che per, lo studioso canadese Daniel A. Bell, direttore del Center di filosofia politica internazionale all’Università Tsinghua di Pechino, tutta la nomenclatura del Partito comunista cinese (Pcc) ha una vera passione per i capelli così tinti da sembrare finti. Quasi lisciati con l’asfalto.
Trattasi, insomma, di un escamotage, per ribadire il mix di efficienza e testosteronico potere. Un calcio alla demenza senile, ancora lontana nel tempo. Mencio, numero due del confucianesimo, ammoniva: «Che particolare attenzione sia riservata all’educazione scolastica. E che vi siano inculcati soprattutto i doveri filiali e fraterni, di modo che non si vedano per strada uomini dai capelli grigi che portano pesi sulla schiena o sulla testa». Figuriamoci, poi, il peso dello Stato.
Tralasciando i lavoratori immigrati che, nella Cina contemporanea, trascinano fardelli qualunque sia il colore della loro chioma, il Partito comunista che ha dismesso Mao per rispolverare Confucio non può sottrarsi alla buona regola. Ai leader che vogliono restare in sella è fatto divieto di incanutirsi. e il comandamento è universalmente seguito alla lettera: dal presidente della Repubblica popolare Hu Jintao al premier Wen Jiabao. Allora via con la tinta, che è soprattutto d’importazione. Oréal Paris, che ha aperto un centro ricerca oltre la Muraglia, e Youngrace di Hong Kong vanno per la maggiore sul mercato cinese. Ma, secondo i bene informati, è una certa colorazione prodotta in Giappone quella prediletta dai leader politici. In questo periodo di tensioni per le isole Senkaku-Diaoyu, la diplomazia parallela passa forse anche da lì: dopo quella del ping-pong, ecco la diplomazia dei capelli.
Dalla trincea del 18esimo Congresso del Popolo, iniziato giovedì 8 novembre, sono balzate all’occhio tutte le variazioni sul tema capelli e sue sfumature. Se non proprio meches. Come quelle sul capo dell’86enne Jiang Zemin, eminenza grigia della Cina post-Deng Xiaoping. Più che grigie, rosse. Un Jiang pel di carota è infatti la versione più recente dell’uomo che ha preceduto Hu Jintao come presidente della Repubblica popolare e segretario generale del Partito: un pensionato che mal sopporta il successore e continua a imporre la propria agenda alla politica cinese. Semplice tinta sbagliata o ferrea volontà di distinguersi, affermare, ancora una volta, il proprio ruolo di primus inter pares? O forse, piuttosto, un semplice augurio a se stesso, visto che rosso è il colore della lunga vita? Le speculazioni si accavallano.
I rumors dicono che il sempiterno Jiang, dato per ‘morto’ un paio di volte nel 2011, abbia imposto la nomina di molti suoi protégé – la cosiddetta cricca di Shanghai – nel comitato centrale del Partito. Ma non si tratta solo del caso Jiang. Tutto il gotha del Congresso ha da tempo sposato la causa dell’hennè. E le foto scattate dall’alto non lasciano dubbi. Unica eccezione a conferma della regola, l’inedito cuoio capelluto di Zhu Rongji. Lui, un altro di quelli dalla chioma storicamente nero pece, questa volta si è mostrato al naturale. Il gesto a sorpresa dell’ex premier e governatore della banca centrale, in realtà, potrebbe essere interpretato come un indiretto attestato di solidarietà a Bo Xilai: l’ex leader di Chongqing caduto in disgrazia e prossimo al processo.
Bo Yibo, padre di Bo Xilai e tra i numi tutelari del Partito, era infatti noto per non tingersi mai i capelli. E forse Zhu vuole reincarnarsi simbolicamente in lui, per prendere le parti del nuovo Bo (per altro anch’egli tintissimo) finito male. Ma se, nella Grande Sala del Popolo di Pechino, il passato a tinte forti fa quasi tenerezza – la serena noncuranza del 95enne Song Ping e quella del 97enne ex sindaco di Pechino Jiao Ruoyu, decani con (pochi) capelli bianchi e casacca di Mao Tse Dong, hanno il sapore un bel «chi se ne frega» sbattuto in faccia a nomenclatura edonista e telecamere – il futuro sembra avanzare davvero lentamente.
Tra tanta canizie (vera o mascherata), la giovane Liu Yang, 22enne medaglia d’oro nei 200 rana alle Olimpiadi di Londra e iscritta al Partito comunista cinese dal 2008, è quasi un’anomalia. La componente femminile rappresenta solo il 23% dei membri del Congresso, anche se dalle 445 donne di 10 anni fa quest’anno si è passati a 521. I giovani sotto i 35 anni sono 114 e anche qui il trend è in crescita. Un passettino verso il giorno in cui i leader del Partito non dovranno più tingersi i capelli.
[Scritto per Lettera43]