Secondo la bozza di regolamentazione presentata lo scorso 2 agosto dalla Cybersecurity Administration of China, l’ente regolatore della sfera digitale nella Repubblica popolare, i minorenni non potranno navigare sul web dalle 22 alle 6, mentre durante il giorno i tempi di utilizzo dei dispositivi mobile saranno ridotti.
I RAGAZZI tra 16 e 18 anni potranno usare applicazioni e motori di ricerca per un massimo di due ore al giorno. Tempo che si riduce a un’ora per gli adolescenti tra gli otto e i 16 anni. Ai minori di otto anni verranno invece concessi 40 minuti di tempo di fronte allo schermo.
La misura rientra nel più ampio sforzo normativo con cui Pechino ha regolamentato il settore tecnologico in questi anni, con leggi dedicate alla protezione dei minori online e alla lotta alla dipendenza da social, considerati una «minaccia per la loro salute mentale».
Nel 2017, per esempio, il governo ha imposto la registrazione di account verificati con documento di identità per poter monitorare l’età degli utenti.
Dal 2021 ai minori è vietato partecipare a dirette sui social, i cosiddetti livestream, ed effettuare pagamenti online. Sempre lo stesso anno il Pcc ha vietato i videogiochi ai minorenni nelle ore serali e ridotto il loro consumo a tre ore in totale, relegate a weekend e festivi.
Sarà compito delle piattaforme tecnologiche fornire una «modalità per minorenni» con cui limitare l’accesso ai servizi web. Un’interfaccia automatica interromperà l’utilizzo delle app, mentre notifiche push «anti dipendenza» saranno inviate ai giovani utenti per suggerire una pausa dallo schermo.
L’ULTIMA PAROLA però resterà ai genitori. Superato il tempo massimo di utilizzo concesso dalla norma, sarà infatti necessario inserire una password pre-impostata da genitori o tutori, che potranno decidere se concedere ai ragazzi di continuare a usare il dispositivo.
In un Paese dove il 26,7% degli utenti internet ha meno di 19 anni, le prime a risentire di questo cambio di rotta saranno proprio le big tech. Per aziende come Tencent, Kuaishou, Byte Dance e le loro app, l’attenzione degli utenti è la nuova valuta dell’era tecnologica.
Meno ore a disposizione di un singolo utente significa maggiore competizione tra i diversi colossi e paradossalmente un maggiore incentivo a trovare nuovi modi di rendere la propria piattaforma in grado di trattenere gli utenti.
Ma il parental control del Pcc non termina qui. La norma si propone di «limitare l’impatto del consumo di informazione indesiderata» sui giovani.
PER FARLO impone alle piattaforme tecnologiche di «non utilizzare in alcun modo algoritmi per influenzare i minori», ma sottolinea anche che le big tech dovranno dare risalto ai contenuti di natura «educativa» approvati dal Partito, tra cui ninne nanne per i minori di tre anni e contenuti di stampo scientifico e artistico per i minori di 12.
Ai provider tecnologici si chiede inoltre di condividere contenuti che «promuovono i valori socialisti, la società rivoluzionaria e l’eccellenza della tradizione cinese» per forgiare un forte «spirito nazionale» tra i minori.
La linea tra moderazione di contenuti e indottrinamento culturale si fa sottile e Pechino aggiunge un’ulteriore arma al suo arsenale nella lotta contro il potere di influenza sulle masse delle big tech.
Mentre i media di Stato cinesi hanno elogiato l’iniziativa come esempio di cura e attenzione delle autorità verso i suoi cittadini più vulnerabili, sui social della Rpc è nato un dibattito attorno al tema, con gli hashtag dedicati che hanno raggiunto oltre 12 milioni di visualizzazioni nel giro di poche ore.
IN CONTRASTO a chi riconosce le «buone intenzioni della madrepatria» nel promulgare la norma, a distinguersi è stato soprattutto il filone di chi, nel trovare troppo stringente la proposta della Cac, ha approfittato per criticare le politiche per la famiglia e la natalità con cui Pechino sta provando a contrastare il calo demografico del Paese.
«Volete togliere internet ai minori? Io allora vedrò di non metterne al mondo di nuovi», ha commentato il capofila di questa posizione.
Con la nuova norma, aperta a commenti fino al 2 settembre, il Partito prova nuovamente a ergersi a genitore delle masse, consapevole del rischio che un approccio troppo severo possa creare insubordinazione tra i suoi figli più giovani.
Giornalista praticante, laureata in Chinese Studies alla Leiden University. Scrive per il FattoQuotidiano.it, Fanpage e Il Manifesto. Si occupa di nazionalismo popolare e cyber governance si interessa anche di cinema e identità culturale. Nel 2017 è stata assistente alla ricerca per il progetto “Chinamen: un secolo di cinesi a Milano”. Dopo aver trascorso gli ultimi tre anni tra Repubblica Popolare Cinese e Paesi Bassi, ora scrive di Cina e cura per China Files la rubrica “Weibo Leaks: storie dal web cinese”.