La giunta militare birmana al potere ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale di cinque mesi con i gruppi armati etnici del Paese. Secondo l’Ufficio del comandante in capo dell’esercito, la deposizione delle armi sarebbe iniziata ieri per terminare a fine febbraio 2022.
Il cessate il fuoco è stato presentato dai golpisti come un «gesto di buona volontà» in vista del 75° anniversario della Giornata dell’Unione, in programma il 12 febbraio 2022, durante la quale i birmani festeggiano l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Tale scelta potrebbe però in realtà nascondere il tentativo di alleggerire la pressione sul campo dei militari, per l’inasprirsi della situazione.
A otto mesi dal colpo di Stato del 1° febbraio scorso, la resistenza nazionale è del resto sempre più forte e coordinata. Interessando attualmente anche regioni dove il conflitto era ormai un ricordo degli anni passati. A questo si aggiunge la chiamata alle armi del governo ombra di unità nazionale (Nug), che il mese scorso ha dichiarato un «guerra difensiva popolare» contro la giunta golpista, chiedendo a tutti i gruppi armati del Paese e a tutti i birmani pro-democrazia, grazie all’avvio di un vera e propria campagna di addestramento, di unirsi alle loro forze di difesa del popolo (Pdf) create a maggio.
La richiesta, a quanto pare, sarebbe stata accolta, anche a causa della brutale repressione del regime militare al potere, che ha iniziato a sparare sui pacifici manifestanti scesi in piazza in questi mesi a protestare contro i golpisti. O ad usare artiglieria pesante ed elicotteri contro i villaggi.
Molti dipendenti pubblici avrebbero deciso di abbandonare il proprio posto di lavoro, mentre i ribelli etnici (in particolare i Kachin a nord e i Karen e Karenni al confine thailandese a est) starebbero fornendo armi alle forze di difesa del popolo del governo ombra, convergendo verso queste ultime.
I loro attacchi sono così diventati coordinati, arrivando a colpire con maggiore forza anche avamposti militari e uffici governativi. Solo ieri, nella capitale Yangon, si sono contati due attacchi, altri sei nelle 24 ore precedenti. Cui vanno sommati quelli nel resto del Paese: a una nave militare (30 settembre a Mingin Township), ai convogli dell’esercito (il 29 settembre a Saw Township, il 30 nei pressi del villaggio di Kan Hla, ieri nel comune di Kawkareik) e ai posti di blocco governativi (ancora ieri a Monywa Township e Yesagyo Township).
Il portavoce del Kachin Independence Army (Kia), il colonnello Naw Bu, ha dichiarato a Radio Free Asia (emittente finanziata dagli Usa e almeno in passato direttamente dalla Cia) che l’esercito birmano sta «affrontando una crisi» che spera di risolvere in cinque mesi concentrando le proprie forze per «affrontare l’operazione militare nazionale lanciata dalle Pdf» del governo ombra.
A onor del vero va però evidenziato che analoghi annunci di cessare il fuoco, quasi sempre selettivi, si erano già succeduti negli anni, come anche negli scorsi mesi, ottenendo ben pochi risultati. Motivo per cui, secondo un analista che preferisce rimanere anonimo a causa del proprio ruolo attuale, potrebbe trattarsi di «propaganda rivolta ad altri attori internazionali», per «guadagnare quella legittimazione internazionale alla quale mirano da tempo».
Molto più concreto l’aiuto fornito ai ribelli dalla Cina, ma in questo caso di tipo sanitario. La pandemia da Covid-19, in Myanmar, sarebbe ormai fuori controllo. Al punto da essere ormai, per il direttore in loco del Programma mondiale alimentare dell’Onu (Wfp), Stephen Anderson, «uno tsunami che ha colpito questo Paese».
Il governo di Pechino, principale alleato della giunta militare ora al potere (visti i numerosi contratti commerciali in corso), dopo aver già fornito all’esercito birmano 13 milioni di dosi di vaccino, il 22 settembre ha annunciato l’invio di migliaia di fiale, personale sanitario e materiale per costruire centri di quarantena, anche alle milizie che combattono i golpisti.
Di Andrea De Pascale
[Pubblicato su il manifesto]