“Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e Istituto Confucio di Milano. CineSerie è una rassegna ricca di contenuti cinematografici per conoscere i successi della Cina continentale e tenere in allenamento ascolto e lettura. In questo appuntamento parliamo del film “Il lago delle oche selvatiche”
|
|
Wuhan. Un microcosmo della metropoli da 11 milioni di abitanti. I salti temporali messi a punto da Diao Yinan – il regista – ci portano mano nella mano a conoscere e chiarire le dinamiche dell’incontro dei due protagonisti: lui – Zhou Zenong – viene coinvolto in un caso di omicidio e, braccato da bande rivali e dalla polizia, vive un’esistenza a tratti incosciente e quasi inconsapevole della vita che gli gira attorno, in una continua caccia al topo, cerca rifugio nella redenzione; lei – Liu Aiai – in fuga dal suo protettore, sembra fidarsi solo di Zhou Zenong. Tra poliziotti corrotti e bande criminali, Diao Yinan vuole esplorare i punti oscuri di una società considerata immorale e degenere: “solo guardando nel buio più profondo è possibile vedere la luce”. Ed è la stessa luce a rendere la fotografia impeccabile, permettendo al regista – con un lavoro portato avanti in perfetta sintonia insieme al direttore della fotografia – di giocare con il design luminoso, manipolando colori e sfumature. C’è una nuova visual idendity nel mondo dei film noir di Diao Yinan: ambientazioni pressocché notturne e giochi di luce al neon con rosa fluo e sfumature di blu.
Potente e aggressivo, Diao Yinan vuole farci immedesimare con il lato oscuro del suo protagonista. Il senso di vuoto che pervade Zhou Zenong sembra incolmabile. Pronto a scappare da tutto: dalla famiglia, dalla moglie, dai figli e da se stesso, fino al momento in cui realizza e mette a fuoco la morte, rendendosi conto di voler dare un senso alla sua esistenza, di voler lasciare un segno che fino a quel momento non era riuscito ad imprimere. È una crisi esistenziale a tratti leggermente forzata, ma necessaria affinché il protagonista possa redimersi e trovare il suo personale senso alla vita. Come sottolinea Diao Yinan durante un’intervista “il protagonista non è malvagio per natura. È spesso costretto ad agire da criminale, spinto dal destino avverso e influenzato dall’ambiente sociale”. Nei suoi film Diao Yinan mette costantemente in risalto la disperazione della natura umana.
Il film, uscito il 6 dicembre 2019, ha diviso la critica. Da una parte chi ha apprezzato lo stile visivo unico e peculiare, dall’altra chi lo ha criticato per il gusto anonimo, carente, privo di personaggi ben delineati e senza un focus specifico. I protagonisti dei film di Diao Yinan sono solitamente personaggi che si trovano al limite tra legge e moralità. Non possono essere considerati innocenti e neanche del tutto colpevoli. Attaccati e perseguitati sia dal mondo della pubblica sicurezza che da quello criminale delle bande. Adottando una chiave di lettura più filosofica, la domanda che sembra scuotere il protagonista è “come morirò?” ma soprattutto “come voglio morire?”. Questo nuovo stile di noir, secondo i critici, è evidente nella caratterizzazione dei personaggi e nelle rappresentazioni underground. Queste tecniche cinematografiche e i temi sociali legati agli abusi, alle violenze e alle persone che vivono relegate nelle periferie, ai margini della città e della società, sono tipici dei registi denominati della “sesta generazione”.
Questa definizione – dalla quale molti cineasti si allontanano preferendo termini come “generazione indipendente” o “underground” – indica quel gruppo di registi che hanno iniziato il loro percorso dopo il 1989 e che a causa della sensibilità/irriverenza – dipende dal punto di vista – dei temi trattati, hanno spesso subito una forte censura in patria. Allontanandosi dal panorama cinematografico mainstream, pongono l’accendo sulla loro visione artistica puntando la camera sul senso di perdita e abbandono, ansia e frustrazione nei confronti di una società in continuo cambiamento – sia urbanistico che morale. Un nuovo gruppo che entra nettamente in contrapposizione con la generazione precedente e che si schiera dalla parte dei più deboli.
Con il termine “sesta generazione” si fa riferimento ai cineasti laureati alla Beijing Film Academy e nonostante Diao Yinan non provenga dalla stessa accademia, rientra nella generazione underground proprio per i temi comuni ai suoi contemporanei. Gli stessi temi che ritroviamo anche nella sua produzione più famosa白日焰火 [Báirì yànhuǒ] “Fuochi d’artificio in pieno giorno”, vincitore de L’Orso d’oro al festival di Berlino 2014.
Laurea magistrale in relazioni internazionali e comunicazione interculturale all’università di Enna (Kore). Ha insegnato cinese ai bambini di una scuola dell’infanzia tramite un progetto in collaborazione con l’Istituto Confucio di Enna. Dopo la laurea si è trasferita in Cina, dove ha insegnato italiano ai cinesi, prima a Chongqing in una scuola elementare e poi a Chengdu alla Sichuan Normal University.