Nuove mappe, confini mobili, e alchimie diplomatiche ad alta quota. C’è questo e molto altro dietro alle schermaglie che scuotono il confine sino-indiano da sette anni a questa parte. Ogni qualvolta India e Cina sono arrivate alle armi (o alle mani) le turbolenze lungo la frontiera condivisa hanno provocato riverberi nel vicinato himalayano. Stiamo parlando di Nepal e Bhutan, gli Stati cuscinetto che delimitano a nord-est il subcontinente indiano, tenendo a distanza la Repubblica popolare cinese.
Animati da personali amori e dissapori nei confronti dei giganti regionali, i due staterelli da secoli influenzano la geometria variabile delle alleanze sul Tetto del Mondo. Con il ritorno delle ostilità lungo la linea di controllo effettivo – la zona contesa che delimita il territorio della Cina da quello dell’India – per Pechino e Nuova Delhi conquistare la fedeltà dei due piccoli paesi è diventato un fattore di importanza cruciale per mantenere un vantaggio competitivo e difendere la propria sovranità dalle rivendicazioni della potenza rivale. Un’impresa resa più difficile dalle mosse di alcuni player esterni sullo scacchiere himalayano. Se un tempo erano gli invasori britannici a cambiare le carte in tavola – legittimando le pretese territoriali dell’uno o dell’altro a proprio piacimenti – oggi sono gli Stati Uniti a ricoprire il ruolo di terzo incomodo.
Per capirci qualcosa dobbiamo riavvolgere il nastro al giugno 2017, quando la costruzione di una strada cinese sull’altopiano di Doklam, incastonato tra Bhutan, Sikkim (India) e Tibet (Cina), innescò il primo confronto tra le truppe cinesi e indiane dalla guerra del 1962. Da secolo oggetto del contendere tra Pechino e Thimphu, l’area in questione non rientra tra i territori rivendicati da New Delhi. Ma possiede un valore geostrategico fondamentale. Chi controlla la vicina strettoia di Siliguri controlla l’unico passaggio stradale che collega l’India settentrionale all’appendice degli Stati del nordest: 27 km che per Nuova Delhi rappresentano l’unica via per spostare le truppe nell’eventualità di un conflitto con la Cina. Questo spiega perché davanti al pressing cinese il governo indiano abbia optato per un intervento armato, come previsto dal trattato di amicizia che dal 1949 attribuisce a New Delhi responsabilità difensive (fino al 2007 anche diplomatiche) nei confronti del Regno himalayano. Di più. L’accordo stabilisce che “nessuno dei due governi consentirà l’uso del proprio territorio per attività dannose per la sicurezza nazionale e gli interessi dell’altro”…. SEGUE SU EASTWEST
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.