Donald Trump cerca di arruolare i partner asiatici contro la Cina. I partner asiatici cercano di aumentare le partnership regionali per non dover essere arruolati. Le tendenze in arrivo dall’Asia orientale, e in misura più ampia nell’Indo Pacifico, dicono molto della contingenza geopolitica attuale. I repubblicani Usa flirtano con il decoupling (che, in ogni caso, difficilmente potrà essere totale) e la creazione di un fronte anti Pechino. Significativa in tal senso la presa di posizione dello scorso luglio sulle annose dispute nel Mar Cinese Meridionale. Ma agli attori medi alzare la tensione non conviene, anche perché non sono pronti a fare a meno del Dragone.
Il Giappone, con ambizioni geopolitiche ritrovate dopo i lunghi anni della stagnazione, si è fatto capofila di un tentativo di una creazione di un’alternativa indo-pacifica, con o senza gli Usa, nell’ambito di una competizione strategica che non metta, però, a repentaglio la sicurezza regionale e le opportunità commerciali. Una tendenza avviata da Abe Shinzo già durante il suo primo mandato da primo ministro, bruscamente interrotto per motivi di salute. Già nel primo decennio del nuovo millennio, Abe spingeva per un’integrazione strategica e geopolitica dei due oceani “asiatici”, Indiano e Pacifico appunto. Tendenza che ha portato alla creazione del Quad, quell’alleanza quadrilaterale tra Usa, Giappone, India e Australia che è finora rimasta un concetto più che una prassi.
La pandemia da Covid-19 ha accelerato molte tendenze politiche e geopolitiche già in atto. Giappone, India e Australia hanno avviato discussioni per il lancio di una trilaterale Supply Chain Resilience Initiative (SCRI) per ridurre la dipendenza dalla Cina, ha segnalato nella sua ultima newsletter l’Associazione Italia-ASEAN. E sono stati raggiunti accordi bilaterali all’interno di questo triangolo Tokyo-Canberra-Nuova Delhi, che proprio in questi giorni si riunisce nella capitale giapponese insieme a Mike Pompeo in ambito Quad. Abe ha inoltre lanciato il piano China Exit, con quasi due miliardi di dollari di incentivi alle imprese nipponiche per “tornare a casa” oppure delocalizzare nel Sud-est.
Nella la strategia nipponica, infatti, si inserisce in modo sempre più integrato il Sud-est asiatico. Qualche esempio? Negli scorsi mesi, il Myanmar ha dato il via libera al progetto di una nuova zona economica speciale nippobirmana nello stato Mon. Sempre in Myanmar, Aeon ha investito 180 milioni di dollari per il suo primo mall nel paese. Negli scorsi giorni, è arrivato anche il via libera per la costruzione di un terminal galleggiante di gas naturale liquefatto nelle Filippine. I soggetti coinvolti sono il fornitore di energia di Manila, First Gen, e la nipponica Tokyo Gas. I lavori costeranno circa 300 milioni di dollari. La cooperazione è anche in materia difensiva, come dimostrano i 348 milioni di dollari di prestito al Vietnam per la costruzione di unità navali. Un tema sensibile, se si considera che Hanoi è il paese Asean più deciso a fronteggiare la Cina sulle dispute nel Mar Cinese Meridionale, in particolare sulle isole Paracelso. Sempre col Vietnam si coopera anche a livello cinematografico, con la coproduzione Along the Sea che sta raccogliendo consensi in diversi festival. Segno che l’intenzione è quella di entrare anche nella sfera del soft power.
In realtà, nonostante la diffusione della Belt and Road Initiative, secondo un report di Fitch gli investimenti del Giappone nell’area Asean erano già superiori a quelli cinesi (367 miliardi di dollari contro 255). Una tendenza che fa comodo anche ai paesi Asean, che possono diversificare la cooperazione e cercare di non dipendere troppo da Pechino. Un’operazione in realtà molto difficile anche per lo stesso Giappone, che ha proprio nella Cina il suo principale partner commerciale con oltre 300 milioni di interscambio nel 2019. Senza contare la bilancia favorevole in termini di turismo e studio. Sono di più i cinesi che viaggiano o studiano in Giappone che non viceversa.
Cina, Giappone, Corea, Asean, elezioni Kirghizistan: pillole asiatiche extra large
In questo contesto, è arrivata la sostituzione di Abe con Suga Yoshihide, il quale potrebbe effettuare il suo primo viaggio all’estero, a metà ottobre, proprio nei due paesi chiavi dell’area Asean. “La (probabile) visita di Suga in Indonesia, al Segretariato ASEAN e in Vietnam si inserisce pienamente in una tendenza storica della politica estera giapponese”, ci spiega Valerio Bordonaro, direttore dell’Associazione Italia-ASEAN. “Che la si chiami Grande Sfera di Co-Prosperità o Strategia per un Indo-Pacifico Libero e Aperto non fa troppa differenza. Il Giappone dovrà sempre fare i conti con intese e alleanze nel Sud-est Asiatico per bilanciare l’influenza della Cina all’interno del Sistema Asia. Questo sistema, del resto, non è altro che un cubo di Rubik in moto perpetuo: i mattoncini non si separano mai gli uni dagli altri e si muovono lentamente, creando reazioni a catena, alla ricerca di un assestamento che non è mai permanente”, prosegue Bordonaro.
“Il cubo di Rubik rappresenta meglio di altri oggetti il concetto delle geometrie variabili a cui le medie potenze asiatiche devo rifarsi per tenere testa alla Cina”, conclude il direttore dell’Associazione Italia-ASEAN. “Non è uno scontro ma un confronto continuo su più fronti e più livelli. È la ricchezza di un sistema che non teme il disordine e aspira all’armonia rifiutando le egemonie”.
[Pubblicato su Affaritaliani]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.