“La democrazia è un modello, ma non l’unico possibile”, così commenta in una stanza tematica un giovane utente cinese di Clubhouse, il nuovo social che sta spopolando in rete.
Cos’è Clubhouse? Si tratta di una piattaforma digitale che permette la creazione di stanze – “room” – tematiche in cui i partecipanti possono discorrere tra di loro usando come mezzo solo ed unicamente la propria voce. Le conversazioni non sono in alcun modo recuperabili o registrabili, o riascoltabili in un secondo momento. Su Clubhouse non ci sono chat, né video, le uniche immagini disponibili sono quelle della foto profilo degli utenti. Per poter utilizzare il social, che è ancora nella sua versione beta, bisogna essere muniti di un dispositivo Apple e di un invito. La piattaforma segue infatti due formule di marketing ben note, ma sempre di successo: i principi di esclusività e di scarsità. Gli inviti che ha a disposizione ogni utente sono molto pochi, ma è solo grazie all’ottenimento di uno di questi che si potrà accedere al social. Tra gli effetti che ne sono conseguiti, vi è quello della messa in vendita degli inviti stessi (originariamente gratuiti) e non solo negli USA o in Europa, ma anche in Cina.
Qui il social sta spopolando, benché l’app non sia ufficialmente a disposizione di utenti Apple con account cinesi. I giovani utenti che ne fanno uso aumentano giorno dopo giorno, e le stanze che vanno a creare o nelle quali si trovano a partecipare variano nei temi. Si va da room in cui si parla di “come amare sé stessi”, fino a veri e propri KTV in cui i diversi utenti a turno si lanciano in esibizioni canore con il plauso del pubblico, sempre molto rispettoso a prescindere dalla resa della performance. Si passa poi per gruppi che parlano di femminismo, propongono tandem linguistici o nei quali ci si domanda se sia meglio tornare in Cina una volta ultimati gli studi all’estero o meno. I gruppi più nutriti e più frequenti però, sono quelli che trattano di politica.
Esiste per esempio il “Gruppo dei giornalisti politicamente scorretti” con centinaia di utenti provenienti da tutta la Cina e in particolare da Hong Kong, Taiwan, Singapore o da altri paesi occidentali in cui gli utenti si sono trasferiti per studio o lavoro. Qui si discute alternando toni più accessi ad altri più accomodanti, rispettando i tempi di 2 minuti a intervento misurati dal moderatore con una sveglia, e alternando donne e uomini così da permettere a tutti di avere le stesse possibilità di esprimersi. Uno degli argomenti più dibattuti riguardo la politica interna è il tema della “民主” – “democrazia” spesso citata durante i vari interventi. Va specificato, onde evitare fraintendimenti, che discussioni sulla democrazia esistono nel Paese e vengono portate avanti, ma con la consapevolezza che la declinazione di questo sistema in quello cinese non potrà avvenire seguendo le stesse modalità occidentali. La storia e la conformazione socioculturale cinesi non riuscirebbero a gestirla, almeno non ora, affermano diversi speakers durante la conversazione.
All’interno della stessa stanza un utente, il 6 febbraio, chiede un minuto di silenzio per l’anniversario della morte di Li Wenliang, avvenuta nella notte tra il 6 il 7 febbraio 2020. Per chi non lo conoscesse, il dott. Li è stato un medico oftalmologo che per primo constatò la propagazione di un nuovo virus simile alla Sars, ma che venne ripreso dalle autorità con l’accusa di star mettendo in pericolo l’ordine pubblico. Qualche mese dopo il suo appello, che fu poi costretto a ritirare, il dott. Li morì a causa del nuovo coronavirus. Il 6 febbraio è stato anche costituito su Clubhouse un gruppo intitolato “memoriale di Li Wenliang” a testimonianza di quanto questa ferita sia profonda nella società cinese. Nel gruppo si discute della vicenda del dottor Li e della grande risposta che aveva suscitato prima su Weibo e poi ha continuato a provocare nel dibattito pubblico.
Navigando ancora tra le varie stanze si può incappare in “gli hongkonghesi non possono davvero stare su Clubhouse a discutere di politica?” o ancora “in Xinjiang ci sono i campi di concentramento?”. Molte di queste conversazioni avvengono solo in lingua cinese, ma esistono anche dei gruppi in cui, data la presenza di diversi non-Chinese-speakers, gli interventi in cinese si alternano a quelli in inglese e molto spesso vengono tradotti da un moderatore nell’una o l’altra lingua. Quello che si va a creare in questi contesti è un vero spazio di dibattito internazionale sulla politica estera cinese, con la presa in considerazione di più punti di vista tutti ugualmente ascoltati e valutati.
Quello che questo social sta dimostrando è che il popolo cinese non è affatto privo di coscienza politica o un attore passivo all’interno del suo contesto sociale. Al contrario, il dibattito è acceso, vivo, rispettoso e aperto su più canali. Di nuovo, questo ci dimostra quanto l’equazione “PCC=popolo cinese”, sia semplicistica e pressapochista.
di Alessia Paolillo
Giovane sinologa in formazione, attualmente iscritta ad un master di secondo livello in “International Public Affairs” alla Luiss Guido Carli. Affronta la Cina a 360° su Instagram con lo pseudonimo “alessiainprogress”.