Il fascino della storia. La collezione Sigg in mostra all’ArtisTree di Hong Kong

In by Simone

Sarà aperta fino al 5 aprile 2016 all’ArtisTree di Hong Kong la mostra «M+ Sigg Collection: Four Decades of Chinese Contemporary Art». Una rassegna che raccoglie oltre ottanta opere, tra dipinti, sculture, fotografie, installazioni e video arte, realizzate dagli artisti più rappresentativi del panorama artistico cinese contemporaneo e selezionate tra i 1500 lavori donati nel 2012 all’M+ Museum dal collezionista svizzero Uli Sigg. Curata da Pi Li, la mostra racconta quando è nata e come è divenuta contemporanea l’arte cinese.Una mostra può essere progettata anche solo per restituire la prospettiva storico-artistica di un fenomeno. Se il fenomeno in questione, poi, è l’arte contemporanea cinese, una scelta simile non solo è necessaria, ma è addirittura doverosa.

Si sa che l’arte è, per natura, espressione e testimonianza del contesto storico e culturale che la produce e negli ultimi quarant’anni l’arte contemporanea cinese si è affermata sulla scena artistica internazionale come uno dei trend più prolifici, proporzionalmente al divenire e consolidarsi della Cina come nuova potenza economica su scala globale. Ed è proprio l’arte generata in questo segmento temporale che la mostra in corso all’ArtisTree di Hong Kong espone, riconoscendola come uno strumento utile per indagare i profondi cambiamenti strutturali che hanno interessato la Cina dal lancio dalle riforme economiche nei primi anni Ottanta ad oggi.

Un’arte nata nel 1979, nel post Rivoluzione Culturale, durante una breve – ma intensa – primavera democratica in cui gli artisti furono parte attiva nel processo di rinascita culturale che interessò il paese e si mossero alla ricerca di nuovi stimoli che, presto, sarebbero divenuti il catalizzatore della nuova arte cinese.
Un’arte che, dal 1979 ad oggi, ha intrapreso tante sfide ed ha saputo interpretare le istanze di una società in costante ricostruzione e sviluppo, facendo della rottura, dell’ironia, dell’ambiguità e dell’ibridazione il nucleo concettuale della propria ricerca. E così facendo, si è guadagnata lo status di arte contemporanea, uno status che la lingua cinese designa attraverso termini differenti, ognuno con una propria sfumatura concettuale: xiandai yishu 现代艺术(arte moderna) in uso negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta; qianwei yishu 前卫艺术 (arte d’avanguardia) in uso tra il 1986 ed il 1987, in concomitanza con il diffondersi della corrente New Wave; shiyan yishu 实验艺术 (arte sperimentale) in uso nei primi anni Novanta e dangdai yishu 当代艺术(arte contemporanea) utilizzato a partire dalla fine degli anni Novanta.

Ciascuno di questi termini sottolinea sì la contemporaneità della nuova arte cinese, ma lo fa legando la produzione artistica allo spirito culturale di un preciso periodo storico.

Tuttavia, della complessità di questo fenomeno poco si riesce a cogliere se ci si affida a quel tipo di collettive che amano presentare una visione generalista dell’arte cinese. Per questo motivo la mostra «M+ Sigg Collection: Four Decades of Chinese Contemporary Art» ed il progetto congiunto «Chinese Whispers: Recent Art from the Sigg & M+ Sigg Collections» in corso a Berna sono molto importanti. Esse raccontano la genesi dell’arte cinese contemporanea e ne forniscono una visione d’insieme, restituendole una dimensione temporale che, spesso e volentieri, le viene sottratta.

«M+ Sigg Collection: Four Decades of Chinese Contemporary Art» è un’esposizione incentrata su un nucleo di opere che il curatore Pi Li ha selezionato tra i 1500 lavori facenti parte della collezione dell’M+ Museum di Hong Kong e donati nel 2012 dal collezionista svizzero Uli Sigg.

Imprenditore e diplomatico svizzero, Sigg giunge in Cina per la prima volta nel 1980 e subito intuisce il potenziale insito in opere realizzate da artisti ancora sconosciuti, ma che nel giro di poco più di un decennio sarebbero divenuti esponenti dello star-system internazionale dell’arte, cominciando a collezionarli in maniera sistematica.

Diviene in poco tempo il mecenate, il «missionario» dell’arte cinese contemporanea, come recita il titolo di un documentario diretto e prodotto da Patricia Chen e a lui dedicato. Della sua avventura nel mondo dell’arte cinese e di come abbia dato vita ad una delle più importanti collezioni al mondo se ne parla anche nel film «The Chinese Lives of Uli Sigg», diretto da Michael Schindhelm.

La sua collezione raccoglie 2200 opere realizzate da oltre 350 artisti, spaziando dalle prime sperimentazioni indipendenti del gruppo «Stelle» dei primi anni Ottanta, fino alle più recenti riflessioni sul mutato rapporto tra uomo e ambiente che interessano la ricerca artistica del XXI secolo. Di quelle donate all’M+ Museum, dove risiederanno una volta terminata la costruzione dell’edificio, l’ArtisTree espone fino al 5 aprile 2016 più di ottanta lavori, tra dipinti, sculture, fotografie, installazioni e video arte. L’esposizione si divide in tre sezioni e copre l’intero arco cronologico durante il quale l’arte cinese contemporanea è nata e si sviluppata, stando sempre al passo delle dinamiche trasformazioni economiche, sociali, e – da non molto tempo – anche ambientali.

Alcuni dei lavori esposti sono davvero iconici, come nel caso dell’opera di Wang Guangyi intitolata «Mao Zedong: Red Grid No. 2», o realizzati da artisti oramai storicizzati, come nel caso dei famosissimi (e quotatissimi) ritratti della serie «Bloodline» di Zhang Xiaogang.

Ci sono, inoltre, i personaggi-icona delle tele di Yue Minjun, con i loro sorrisi smaglianti e la pelle rosa shocking, e quelli di Fang Lijun, con i loro volti deformi e annoiati immortalati in frangenti di ordinaria quotidianità. Non mancano le opere di altri famosi esponenti del Realismo cinico, del Political pop e della Gaudy Art, le correnti artistiche sviluppatesi negli anni Novanta e connotate da una forte valenza ideologica e di denuncia sociale, abilmente commercializzate come prodotto artistico capace di assecondare in pieno il gusto del mercato occidentale.

Ma inserite nel percorso espositivo di questa mostra che si snoda seguendo una traccia temporale, molti di questi lavori perdono l’identità di opere-cliché che l’intera rete di sovrastrutture dell’arte – fatta di curatori, gallerie, fiere, mercanti e collezionisti – ha fatto loro acquisire e tornano ad essere espressione e testimonianza del clima culturale del dopo Tiananmen, quando l’idealismo e l’entusiasmo che avevano animato la ricerca artistica degli anni Ottanta si infransero contro il muro di gomma del potere e gli artisti furono costretti a prendere coscienza dell’impossibilità di farsi carico di un ruolo sociale e politico, adottando un atteggiamento ironicamente cinico come prospettiva da cui indagare l’esistenza.

«M+ Sigg Collection: Four Decades of Chinese Contemporary Art» ripercorre le tappe fondamentali dell’arte contemporanea cinese e ne racconta cosa l’ha resa così affascinante e, al contempo, così appetibile. Un’esposizione che, pur dando visibilità a quella che di fatto è divenuta la «superarte cinese», ha il merito di porre lo spettatore dinanzi al divenire temporale di un fenomeno troppo spesso eccessivamente semplificato, restituendogli la dovuta dignità storica.

[Foto credit: randian-online.com; westkowloon.hk]

* Elena Macrì ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Asia Orientale e Meridionale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, specializzandosi in storia dell’arte cinese moderna e contemporanea. Si interessa principalmente di teoria e tecnica della pittura a inchiostro, con particolare attenzione rivolta alla paesaggistica, ed ha studiato e condotto attività di ricerca presso l’Accademia di Belle Arti di Hangzhou e l’Accademia delle Arti di Nanchino. Dal 2009 al 2015 ha collaborato con la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte Cinese dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale, svolgendo attività didattica integrativa e tenendo laboratori tematici. Nel 2014 ha curato la mostra “The Remedy”, la prima personale in Italia della pittrice Zhang Yanzi (Napoli, PAN, 2014). Attualmente, lavora come studiosa indipendente e partecipa regolarmente a convegni, seminari e workshop, sviluppando un’intensa attività divulgativa attraverso conferenze e lezioni che tiene per diverse istituzioni accademiche e culturali.