Nell’incertezza politica italiana tra fronte Atlantico e avvicinamento alla Cina, complice la visita di Mike Pompeo a Roma, i principali quotidiani italiani si piegano ben felici alla propaganda americana.
Tralasciando il direttore di Repubblica le cui analisi geopolitiche sono da sempre schierate e rientrano in ogni caso nelle valutazioni personali circa le opportune alleanze politiche del paese, ieri sul Corriere della Sera Milena Gabanelli e Luigi Offeddu hanno ammantato la loro analisi contro la Cina di «dati».
Come se i numeri fossero neutri e non inseriti in un contesto (omesso naturalmente) o non possano essere scelti da un rosario di dati disponibili: se ne scelgono alcuni, se ne dimenticano altri.
È propaganda cinese se si ricordano i milioni di poveri sollevati dalla povertà nel corso di due decenni o l’annuncio di emissioni zero entro il 2060; sono invece «dati» quelli secondo i quali la Cina avrebbe nascosto la pandemia, ad esempio. A questo proposito per altro, a meno di non credere al «Chinese virus» trumpiano, alla Cina non viene neanche concessa l’attenuante di essere stato il primo paese a confrontarsi con qualcosa di sconosciuto.
Ci sono stati ritardi nelle decisioni sul lockdown, certo, ma le comunicazioni all’Oms sono arrivate, per una volta, tempestive. In questo senso la Cina è lo specchio orrorifico che solleva i nostri ritardi, le nostre incertezze, a meno di non considerare perfetta, trasparente ed efficace la risposta di Europa e Stati uniti.
Nessuno nega le storture del sistema cinese – su queste pagine non siamo certi stati teneri nei confronti delle politiche cinesi in Xinjiang (a proposito, “scoprire” lo Xinjiang nel 2020 quando da almeno 20 anni la regione è teatro di politiche repressive di Pechino contro la comunità uigura è bizzarro…peserà che in altri tempi essere musulmani non era granché ben visto da certi «dati»?) o Hong Kong – ma che vogliamo fare con questo strambo animale politico cinese?
Come ripete spesso il professor Kerry Brown, un miliardo e passa di popolazione è lì, in Cina: speriamo scompaiano all’improvviso o si chiudano in una specie di bolla storica o ne teniamo conto provando a trattare la Cina come gli altri paesi ad esempio contestualizzando la storia di un paese che ha buona memoria e al contrario nostro non dimentica le umiliazioni patite dall’Occidente per oltre un secolo?
Se l’informazione ha il compito di orientare – o almeno si spera – anche la politica, come si può sperare di avere una classe dirigente lucida nelle sue scelte strategiche quando si descrive un paese, seconda potenza economica e ormai centrale nei consessi internazionali, oscillando in continuazione tra Satana e Paradiso?
La Cina è un grande laboratorio politico il cui peso sarà sempre più centrale nelle nostre vite tanto vale prenderla seriamente o – almeno – trattarla come tutti gli altri paesi.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.