Nel 2018 la State Grid Zhejiang Electric Power dichiarò un aumento dei profitti di due miliardi di yuan (circa 300 milioni di euro) dall’introduzione di questa tecnologia nel 2014.
Nello stesso anno Deayea, una società di Shanghai, dichiarò che i suoi dispositivi di monitoraggio celebrale, capaci di diramare allarmi anche in caso di sonnolenza, venivano indossati regolarmente dai macchinisti della linea ferroviaria Pechino-Shanghai. Secondo il South China Morning Post a utilizzare tali strumenti sviluppati nell’ambito del Neuro Cap, un progetto di sorveglianza celebrale dell’Università di Ningbo finanziato dal governo centrale ci sarebbero più di una dozzina di aziende, oltre che l’esercito cinese. Nel 2019 agli operatori ecologici di Nanchino fu richiesto di indossare degli smartwatch con localizzatore GPS. In caso di inattività prolungata il dispositivo suonava «jiayou!» (dai!) e il sistema di controllo attivava un allarme notificato in tempo reale ai manager di linea. Lo stesso a seguire è avvenuto per gli operatori di Chengdu, Hangzhou, Guangzhou e Qingdao. Contestata su Weibo, la faccenda è stata presentata dall’agenzia di stampa Xinhua come un’opportunità per monitorare la salute dei lavoratori e allertare i servizi di emergenza in caso di anomalie.
Introdurre un sistema di controllo giustificandolo come monitoraggio sanitario è proprio una delle strategie con cui i wearables, i dispositivi indossabili interconnessi, si stanno riservando un posto sempre più pervasivo in una realtà da «biopolitica datificata», definita dagli autori di Die Gesellschaft der Wearables (Nicolai, Berlino, 2019) Anna-Verena Nosthoff e Felix Maschewski come «l’ottimizzazione ad opera dello Stato e/o di compagnie private di un più grande corpo sociale attraverso l’installazione di dispositivi tecnici in grado di influenzare i comportamenti umani». In tale direzione sperimenta il settore assicurativo: Nosthoff sottolinea che «molte compagnie sanitarie hanno integrato fitness tracker nei propri programmi bonus per indirizzare i clienti verso uno stile di vita più sano. La John Hancock è la più radicale, avendo recentemente reso obbligatorio un braccialetto fitness per ogni nuovo assicurato. In un sistema a punti, con una buona performance puoi abbassare la tua tariffa del 15% e tenere il wearable quasi gratuitamente, ma se i dati mostrano pigrizia, paghi di più e saldi anche l’accessorio».
Maschewski precisa che «tale approccio è definito “behavioral underwriting”: il costo dell’assicurazione sanitaria dipende dal tuo stile di vita, monitorato appunto dai dispositivi». Uno scenario di ingegneria sociale che ricorda le punizioni e le ricompense del sistema dei crediti sociali cinese e che sfrutta l’attrattività di elementi quali quantified-self, punteggi e premi in una modalità che anche il sociologo David Lyon definisce «gamification».
Anche l’app Attain, sviluppata da Apple in collaborazione con la compagnia assicurativa Aetna, utilizzando i dati degli Apple Watch premia gli utenti con stili di vita più salutari. La «Coefficient Insurance della Verily Life Sciences» (gruppo Alphabet) valuta invece l’esposizione al rischio dei propri clienti sfruttando i dati raccolti da Google, che nel 2019 ha acquisito FitBit, colosso dei wearables. Persino la Roche si serve dei wearables per ottenere «real-world data» da soggetti affetti da patologie per cui la nota casa farmaceutica intende sviluppare farmaci di precisione e soluzioni mirate.
Con la retorica di raccogliere dati «al servizio del bene» (data for good), usata anche durante la pandemia per giustificare il contact tracing, la quotidianità diventa esperimento di misurazione smart in cui, con il pretesto di migliorare salute, sicurezza o produttività, si collezionano dati per sviluppare nuovi prodotti e servizi. Core business restano però controllo e sorveglianza, con annessa capacità di influenzare il comportamento e le azioni di chi è connesso al sistema. Ne è esempio il «Live Healthy SG» della Singapore’s Smart Nation Initiative: i cittadini possono registrarsi per un coaching di salute individuale, ricevendo gratuitamente un dispositivo Fitbit. Ma come insegna The Social Dilemma (Netflix, 2020): «Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu» (ossia i tuoi dati). Infatti, lo scopo del programma è ottenere informazioni approfondite sulla salute della popolazione, migliorare e gestire i livelli di attività, dieta, igiene e sonno con consigli personalizzati e tecniche di influenza comportamentale: le fondamenta per plasmare la cittadinanza delle future smart cities.
Mentre Nosthoff e Maschewski richiamano alla consapevolezza e rimarcano la non-neutralità delle tecnologie digitali, esplorando le derive distopiche dei dispositivi indossabili lo storico Yusuf Noah Harari scrive: «Se puoi monitorare cosa succede alla mia temperatura, pressione sanguigna e battito cardiaco mentre guardo un videoclip, puoi sapere cosa mi fa ridere, piangere e davvero, davvero arrabbiare. Se i governi iniziano a raccogliere i nostri dati biometrici in massa possono non solo prevedere i nostri sentimenti, ma anche manipolarli e venderci tutto ciò che vogliono, che si tratti di un prodotto o di un politico. Immaginiamo la Corea del Nord nel 2030, dove ogni cittadino deve indossare un braccialetto biometrico 24 ore al giorno. Se ascolti un discorso del Grande Leader e il braccialetto coglie i segni rivelatori della rabbia, sei finito».
[Pubblicato su il manifesto]Laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, con specializzazione sulla Cina, presso l’Università L’Orientale di Napoli. Appassionata di relazioni internazionali e diplomazia scientifica, Fabrizia lavora a progetti di internazionalizzazione per startup e PMI di ambito scientifico-tecnologico. Ama viaggiare, scrivere e sperimentare le chinoiseries più stravaganti.