Le proteste di Ningbo della scorsa settimana hanno messo in luce la crescente consapevolezza dei cinesi riguardo alle questioni ambientali. Ora anche il Governo cinese tenta di trovare risposte ai continui appelli che salgono dalla società civile per una nuova legislazione in materia ambientale. Ningbo, nella provincia dello Zhejiang, Cina orientale, è ormai una città militarizzata. “Le strade sono piene di auto di sorveglianza della polizia,” dichiara un residente al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post.
La polizia, rivela oggi il quotidiano, ha arrestato ieri più di 50 persone in seguito alle violente proteste ambientaliste della scorsa settimana. Circa 10 mila persone ricorda oggi il quotidiano di Taiwan Want China Times, avrebbero preso parte a una delle più grandi manifestazioni ambientaliste della storia della Repubblica popolare cinese.
Molti cittadini di Ningbo hanno manifestato tutta la scorsa settimana contro il progetto di ampliamento di una raffineria nel distretto di Zhenhai. L’impianto è di proprietà della Sinopec, la più grande industria petrolchimica cinese.
Venerdì scorso la tensione ha raggiunto il suo apice. Si sono infatti registrati scontri tra polizia e manifestanti, con lanci di pietre verso le forze dell’ordine e auto rovesciate. Citando il quotidiano locale Ningbo Daily, il South China Morning Post specifica che il numero degli arrestati per gli eventi di venerdì è salito ieri a 51. Tredici di questi saranno con tutta probabilità processati in quanto “sospetti criminali”.
La polizia ha poi arrestato altri due residenti. Il primo per aver preso parte alla manifestazione di domenica scorsa in possesso di un coltello; la seconda per avere diffuso false voci sulla morte di uno studente universitario durante le proteste.
Ningbo è da giorni sotto il ferreo controllo della polizia. Le manifestazioni si sono calmate in seguito all’annuncio del governo di sospendere il progetto, ma la paura degli abitanti è che il governo cittadino non abbia intenzione di abbandonare totalmente l’idea che apporterebbe all’impianto un investimento totale di 55,9 miliardi di yuan (circa 6 miliardi di euro).
Il governo distrettuale di Zhenhai vuole inoltre proibire la produzione di paraxylene, sostanza ricavata dalla lavorazione del petrolio e usata nella produzione di bottiglie di plastica. Un annuncio che difficilmente verrà trasformato in atto, ma che in qualche misura dovrebbe servire da palliativo contro i venti di protesta.
Dalla vicenda un dato emerge chiaro: la società civile cinese è sempre più consapevole dei problemi relativi all’inquinamento ambientale e chiede di essere ascoltata dalla politica.
Oggi il Want China Times ricorda che le proteste a tema ambientalista sono aumentate negli ultimi anni. Una media del 29 per cento annuo: un dato di rilievo che però non rispecchia il gigantesco incremento (120 per cento) di casi di inquinamento ambientale registrati l’anno passato. Gli incidenti riguarderebbero soprattutto il settore dell’industria pesante, con il rilascio nell’ambiente di metalli pesanti e altre sostanze estremamente dannose.
Il solo Ministero della Protezione ambientale ha registrato 927 i casi di proteste di tipo ambientalista registrati dal dal 2005 a oggi. Ben 72 di questi casi sono stati conseguenza di incidenti ambientali “di grande rilevanza”.
Yang Chaofei, vice presidente della Società cinese per le scienze ambientali, rivela il quotidiano di Taiwan, ha portato i numeri di fronte al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, massimo organo legislativo della Repubblica popolare cinese. “Il nostro Paese,” ha detto Yang, “manca di canali adatti che permettano alla società civile di avere accesso ai dati sull’ambiente”. Inoltre, “le leggi sulla protezione ambientale non sono chiare”.
Conseguenza di questa indeguatezza della legislazione ambientale dell’ex Impero di mezzo è un crescente malcontento delle generazioni più giovani. Soprattutto i nati negli anni Novanta hanno ricevuto un’educazione tale da essere maggiormente sensibili nei confronti delle questioni “verdi”.
La soluzione, per Yang, è di dotare la Cina di un apparato legale sulla protezione ambientale maggiormente coerente e più severa sulla valutazione d’impatto ambientale per imprese e progetti infrastrutturali. Una volta fatto questo si fa necessaria una maggiore partecipazione della popolazione alle decisioni in materia ambientale.
L’idea di Yang è di creare veri e propri forum a livello locale attraverso i quali la società civile possa avere un canale diretto con le autorità.
[Scritto per Lettera43; foto credits: AP ]
*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.