Quando la Lituania ha deciso di aprire l’Ufficio di rappresentanza di Taiwan a Vilnius nel novembre 2021, difficilmente si aspettava un tale contraccolpo. Sebbene questi uffici rappresentino Taiwan e non soltanto la capitale Taipei, diventando di fatto ambasciate, la consuetudine vuole che ci si riferisca unicamente alla città e mai all’isola per non incorrere nelle ire cinesi. Pechino insiste che questa mossa si avvicina troppo al riconoscimento formale di Taiwan, violando la sua integrità territoriale, e non ha esitato a fare rappresaglie. Oltre al richiamo degli ambasciatori, la rivalsa cinese non ha soltanto bloccato gli import lituani di manzo, birra e latticini ma ha anche fatto pressione, tra le altre, sulle multinazionali tedesche del settore automobilistico affinché non utilizzassero le componenti baltiche. Il blocco delle importazioni è una tattica da manuale e che Pechino ha già utilizzato in tempi recenti con Canberra e Ottawa in risposta ad apparenti sgarbi politici; la pressione sulle catene di distribuzione globali è invece una strategia relativamente nuova e prende di mira uno dei settori più lucrativi della maggiore economia europea, per colpire dove l’Unione è più debole.
Negli ultimi anni la Germania è infatti stata spesso accusata di aver ostacolato una politica europea più decisa e coesa nei confronti della Cina proprio a causa della sua forte dipendenza economica dalla Repubblica Popolare. Impaurita dalle possibili ripercussioni commerciali, Berlino si è mossa sempre con cautela evitando di prendere posizioni non gradite a Pechino su temi di politica estera. Con le scorse elezioni, l’addio alla politica della Cancelliera Merkel e la formazione di una Ampfelkoalition, il governo tedesco ha ora toni meno amichevoli. La nuova ministra degli Esteri Baerbock ha subito chiarito che ci sono “differenze sostanziali” tra la Germania e la Cina sui diritti umani, appoggiando la proposta di embargo alle importazioni di prodotti collegati al lavoro forzato uiguro.
Baerbock non nasconde le sue remore per Pechino e non tollera che gli Stati membri siano “messi l’uno contro l’altro”, dichiarando piena solidarietà a Vilnius. Il nuovo Cancelliere Scholz invece non sembra essere dello stesso parere. Il leader del Partito Socialdemocratico teme una reazione a catena e sembra che stia lavorando dietro le quinte per ridurre la pressione sulla Cina e placare gli animi europei “troppo aggressivi”. Diverse opinioni riguardo la coercizione economica cinese ci sono anche nella stessa Lituania, dove il capo di stato Nauseda ha apertamente ha definito la decisione del governo di aprire l’ufficio di rappresentanza sotto il nome di Taiwan “un errore”, dichiarando di non essere stato consultato a riguardo.
Le prospettive di un contrattacco sono scarse e Bruxelles ha deciso di ricorrere all’Organizzazione Mondiale del Commercio in attesa di ultimare il suo strumento anti-coercizione per bloccare i ricatti economici che vogliono estorcere concessioni politiche. Alle consultazioni con la Cina hanno chiesto di partecipare anche Australia, Giappone, Taiwan, Stati Uniti, Canada e Regno Unito, perché il caso lituano desta preoccupazione anche fuori dai confini europei.
Sebbene Pechino insista che politica e commercio debbano rimanere separate, l’uso strumentale che Pechino fa di questa interdipendenza economica ha messo in luce le vulnerabilità dell’Ue, che cerca di difendersi su più fronti e prevenire dove possibile. In questa ottica, la nuova legge europea sui semiconduttori ha come obiettivo quello di ridurre la dipendenza dai chip progettati in Cina, in assenza di una robusta produzione europea. Anche Taiwan vuole intervenire: con la creazione di un fondo di investimenti da 200 milioni di dollari in Lituania e una task force proprio sui semiconduttori che potrebbe espandersi al resto d’Europa e fornire a Bruxelles il know-how fondamentale per sviluppare il suo settore.
Le relazioni bilaterali rimangono tese, ma l’Unione Europea sembra aver capito quale direzione prendere. Navigare i rapporti con il suo “rivale sistemico” e “competitore economico” vuol dire innanzitutto cercare un’autonomia strategica che protegga gli interessi europei in un mondo sempre più interdipendente.