Il reddito aumenta e il 56% dei teenager sogna di diventare influencer, ma il governo è preoccupato.
L’apparenza non è tutto. Vallo a spiegare a Zhao Hongshan che a 33 anni ha già speso 80.000 yuan (11.335 dollari) per migliorare il proprio viso. Ha cominciato quattro anni fa con un’iniezione di filler dermico per attenuare le rughe, poi è passato alle palpebre per correggere quel taglio d’occhi così marcatamente cinese. Per Zhao, proprietario di una palestra di Pechino, “la chirurgia estetica è come il body building”: serve ad aumentare l’autostima. Non è l’unico a pensarlo.
Secondo l’app specializzata Gengmei, il 15% dei cinesi a ricorrere agli interventi di bellezza è composto da uomini. Se si prendono in considerazioni alcuni settori, come le operazioni dermatologiche, le stime superano addirittura il 20%. A trainare l’insolito boom sono i “Jiulinghou”, i nati negli anni ’90. Non star della tv, non modelli o artisti, semplicemente ragazzi come tanti. Non capita troppo di rado siano adolescenti a optare per la chirurgia plastica, in Cina, legale fino ai 16 anni. Questo spiega perché la domanda aumenta verso la fine dell’anno, subito prima degli esami. A volte sono i genitori a insistere, sperando che un naso all’insù e occhi più grandi possano aiutare il figlio ad avere successo nella vita.
Infatti, mentre una decina di anni fa, a finire sotto i ferri erano principalmente uomini dello spettacolo o persone affette da deformità facciali congenite, oggi la medicina estetica è piuttosto diffusa anche tra i colletti bianchi e tra i giovani benestanti della classe media urbana. “Le pressioni sociali per entrambi i sessi sono ormai le stesse”, spiega sulla piattaforma Sohu il direttore di un istituto medico di Pechino, “i difetti fisici compromettono la competitività e la fiducia in sé stessi”.
Ma se le motivazioni e le finalità di chi si avvale dei ritocchi non cambiano in base al genere, gli uomini tuttavia si differenziano per l’approccio adottato: sono più discreti, evitano di presentarsi nelle ore di punta e nascondono la loro identità dietro mascherine e berretti con la visiera. Sanno bene cosa vogliono e non amano dare spiegazioni: la fase di consultazione che precede gli interventi richiede almeno 30 minuti per le donne, laddove i clienti di sesso maschile normalmente finiscono in 10 minuti.
In Cina, la moda della chirurgia estetica ha preso piede con la diffusione del live-streaming e di canoni di bellezza standardizzati, importati da Occidente. Secondo una ricerca di Morning Consult, nel 2019, il 56% dei millennial cinesi sognava di diventare un influencer, professione che impone una particolare cura del corpo. Il fattore economico ha ugualmente influito. Dal 2010 a oggi, oltre la Muraglia il reddito medio disponibile è più che raddoppiato, così che per molti ragazzi togliersi qualche sfizio non è più un grande problema.
Il mercato cinese della chirurgia estetica vale ormai 197 miliardi di yuan, rispetto agli appena 64,8 milioni del 2015. Un trend in crescita accompagnato da una corrispettiva popolarità dell’industria della bellezza nelle sue forme meno invasive. Con un tasso di crescita annuo del 6,6%, il mercato dei cosmetici per uomo ci si attende abbia raggiunto i 18 miliardi nel 2021, tanto che – stando alla società di ricerca Mintel – lo scorso anno in media gli uomini cinesi hanno utilizzato ciascuno almeno due prodotti per il viso, contando per circa un quarto degli 800 miliardi di yuan spesi complessivamente per la “medicina estetica”, comparto che comprende anche le procedure non chirurgiche.
La crescente attenzione degli uomini cinesi per il proprio aspetto vede popolazione e governo mantenere posizioni opposte. Mentre, secondo un sondaggio della all’agenzia di stampa Xinhua, il 77% dell’opinione pubblica si dice favorevole, la nuova tendenza preoccupa le autorità, impegnate a correggere quella che viene percepita una minacciosa crisi di virilità: l’eccessiva attenzione alla cura del corpo non sembra adattarsi all’austerità propagandata da una leadership, che punta sulla forza fisica e metafore machiste per restituire lustro al paese dopo le umiliazioni militari inferte dall’Occidente nell’ ‘800.
A ciò si aggiungono preoccupazioni “unisex”. Nel 2017, la Commissione sanitaria nazionale ha ricevuto 2.700 lamentele relative alla chirurgia estetica. Lo scorso luglio l’influencer Xiaoran è morta a 33 anni di setticemia dopo un intervento di liposuzione, mentre pochi mesi prima all’attrice Gao Liu era andato in necrosi il naso a causa di un’operazione finita male. Regolamentare il settore è diventata una priorità per Pechino. Dietro i numeri da capogiro si nascondono infatti gravi lacune normative. Stando a uno studio di iResearch, nel Paese di Mezzo circa 80.000 cliniche di bellezza operano del tutto illegalmente rispetto alle appena 13.000 in possesso di una regolare licenza.
A settembre la stampa statale si è scagliata contro i messaggi pubblicitari ingannevoli. “Dai manifesti appesi alle fermate degli autobus e nella metropolitana, dalle pubblicità nei film e nei varietà televisivi alle promozioni dei live-streamer, le pubblicità della medicina estetica sono eccessivamente pervasive”, tuonava il quotidiano ufficiale People’s Daily. Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda i servizi di credito, a cui si rivolgono i più giovani per far fronte ai costosi interventi, attirati dalla falsa promessa di prestiti a tassi agevolati. La stretta sul fintech – che nell’ultimo anno ha colpito duramente il gruppo Alibaba – comincia a lambire anche l’industria della bellezza.
Che si tratti di uomini o donne, l’espansione della “medicina estetica” in Cina è verosimilmente destinata a rallentare.
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su Esquire]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.