Un’intervista con Mei Fong, giornalista sino-malese e premio Pulitzer 2007 che in un libro recente racconta la politica del figlio unico in Cina proposta dal Partito comunista nel 1980.
Chiunque sia stato in Cina, anche solo per qualche giorno, potrebbe avere sentito un cinese o una cinese affermare, di fronte a qualche malfunzionamento della macchina statale e burocratica, «in Cina c’è troppa gente». Tai duoren, una specie di mantra che ha finito per diventare una scusa valida per operare scelte drastiche: i cinesi sono tanti, quindi era giusto limitare le nascite. Mei Fong, giornalista sino-malese (oggi vive negli Stati uniti) e premio Pulitzer 2007 (come parte dello staff del Wall Street Journal in Cina premiato nella sezione «international reporting»), nel volume Figlio unico (Carbonio editore, pp 265, 17,50 euro) affronta uno dei temi più inquietanti e affascinanti della Cina, ovvero la politica del figlio unico. Decisa e inaugurata nel 1980 con lo scopo di diminuire la crescita della popolazione, in modo che non impedisse la crescita economica — si diceva che troppi figli avrebbero anche creato eccessivi costi — è stata abolita e riformata nel 2015 quando gli effetti di quella decisione del Partito comunista cinese erano apparsi in tutta la loro crudeltà: la popolazione cinese invecchia, manca forza lavoro, la società si prepara a essere dominata dalla generazione dei figli unici. E dire che questa scelta cinese, discutibile ma da più parti lodata, ha finito per essere accettata come una scelta «lungimirante» anche dalla stampa internazionale (dall’Economist per esempio).
Mei Fong sottolinea, attraverso la storia di tanti funzionari che nel tempo si sono occupati dell’argomento, che la decisione non era affatto ovvia, né tanto meno si può dire abbia funzionato. La crescita della popolazione prevista dai funzionari del Pcc — infatti — si basava su calcoli e considerazioni completamente sbagliate ed eseguite con metodi statistici piuttosto discutibili. In secondo luogo il successo della politica del figlio unico decantato dalla dirigenza comunista, attraverso il refrain secondo il quale «la Cina si sarebbe ritrovata con 400milioni di persone in più», sarebbe stata smentita da calcoli ben più moderni che attestano l’eventuale cifra intorno — al massimo — ai 200milioni. Le nascite non avrebbero dunque bloccato il processo di crescita, tenendo anche conto che i «risparmi» avuti dalla politica inciderebbero nel prodotto interno lordo cinese in minima parte e statisticamente irrilevante. Di questo e altro abbiamo parlato con l’autrice del volume.
Nel suo libro ricorda gli inviti, prima della legge, volti a diminuire le nascite. Perché alla fine la leadership cinese decise per una politica così estrema?
I nuovi leader cinesi, quelli che hanno assunto il comando dopo Mao, avevano basato la loro legittimità politica sulla crescita economica. A tal fine, Deng Xiaoping aveva stabilito un obiettivo economico del Pil pro capite di mille dollari entro il 2000, un indicatore comune. Ora, ci sono due modi per aumentare la produttività pro capite del Pil: incrementare la produttività, procedura molto complicata, o ridurre il numero di bocche. I pianificatori cinesi decisero che tutto ciò sarebbe stato possibile passando a una rigorosa pianificazione delle nascite. Quindi, in un certo senso, questa decisione doveva soddisfare un obiettivo arbitrario, senza tener conto delle circostanze particolari della popolazione cinese (l’adorazione dei figli, per esempio.)
I media occidentali hanno finito per supportare questa decisione, che pure non aveva solide basi sociologiche e demografiche. Il soft power cinese forse è stato più forte di quanto abbiamo pensato?
Per essere onesti, i media occidentali supportarono questa scelta molto prima che la Cina si fosse evoluta come potenza globale e avesse iniziato ad esportare il suo modello di «soft power». Grosso modo, la ragione per cui tanti erano favorevoli era la preoccupazione per l’eccesso di popolazione. Negli anni ’60 e ’70 erano molto in voga libri come «Club of Rome» e «Population Bomb», opere che davano forma all’opinione pubblica Quando poi venivano lanciate istituzioni come il «Fondo delle Nazioni unite per le attività demografiche», la paura allora era che la crescita della popolazione avrebbe travolto le risorse del pianeta. E, naturalmente, alla base di quella paura c’era la paura delle nazioni con le due maggiori popolazioni — India e Cina — ed è per questo che quando quei due paesi imposero restrizioni alla popolazione; l’Occidente non prestò attenzione a come erano imposte quelle restrizioni.
La politica del figlio unico ha finito per avere implicazioni sociali pesanti. Quale secondo lei è la peggiore?
Quello più tangibile ed evidente sarà l’impatto sociale dell’invecchiamento. Anche l’economia sarà un enorme problema, con meno lavoratori e più pensionati con conseguenti problemi legati alla salute pubblica. C’è un detto comune in Cina: «saremo vecchi, prima di diventare ricchi».
Lei parla dei «piccoli imperatori», i figli unici ultra viziati. Ma che paese sarà la Cina quando al potere arriveranno proprio i «piccoli imperatori»?
Questa è una domanda interessante, e — a questo punto — è ancora teorica dato che i figli unici attualmente hanno circa 35 anni. Ci sono tanti studi sociali fatti sulla generazione del figlio unico in Cina, e per la maggior parte sono inconcludenti. Uno studio famoso di economisti australiani sostiene che i figli unici tendono a essere meno generosi e più pessimisti. Sarà interessante vedere come queste caratteristiche, se sono vere, si manifesteranno nella futura generazione di leader cinesi. Certamente l’attuale generazione di leader cinesi non si sta assumendo rischi, si concentra sulla stabilità a tutti i costi. E continueranno così dato che il principale spettro per il Pcc è il collasso dell’Urss.
Quanto ha lavorato al suo libro e come è arrivata a scegliere di raccontare la legge attraverso le persone (vittime e protagonisti) sullo sfondo della storia della Repubblica popolare?
La maggior parte delle storie nel libro sono storie di persone: sarebbe stato facile, ma noioso, scrivere un libro basato su articoli accademici e proiezioni della Banca Mondiale, ma nessuno avrebbe voglia di leggerlo. Quello che volevo documentare era l’impatto che la politica aveva sulle persone: i figli della generazione del figlio unico, i loro genitori, gli «esecutori» della politica, i pianificatori — per lo più uomini, ovviamente e perfino scienziati spaziali- i vincitori e i perdenti.
Cosa pensa dell’attuale leadership cinese: c’è spazio per una vera dialettica per decisioni future del paese?
La politica del figlio unico, e tutte le sue sfortunate conseguenze, dimostrano cosa succede quando le politiche vengono prese senza un contributo sufficiente da parte delle persone le cui vite ne sono maggiormente colpite. Le persone che hanno ideato la politica erano per lo più uomini, focalizzati sulla crescita economica a tutti i costi; sono stati gli scienziati spaziali che hanno fatto calcoli sulla fertilità delle persone come se stessero impostando traiettorie di razzi: demografi, economisti, specialisti di genere, sociologi non hanno avuto alcun input sull’intero processo. Le decisioni future devono essere prese con maggiori contributi, ma non sono sicura che la leadership cinese, che è quasi ancora in gran parte maschile, sarà in grado di fare scelte intelligenti, specialmente negli ambiti che coinvolgono le donne.
È di questi giorni la notizia che la Cina potrebbe abbandonare del tutto la politica del controllo delle nascite (ora prevede due figli)…
Rottamare la politica ora non annullerà i danni. Anche se — e questo è un grande «se» — ci sarà un aumento significativo delle nascite, quei bambini impiegheranno vent’anni per diventare lavoratori.
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SCHEDA:
Nel 1980 il Partito comunista cinese ha adottato ufficialmente la politica del figlio unico per arginare la crescita demografica e rilanciare l’economia del Paese. Nel 2015 il Pcc ha deciso di tornare sui suoi passi, consentendo alle famiglie di avere anche due figli (per le minoranze etniche e in alcune zone del paese erano già consentiti più figli, in altri casi un figlio in più significava una salata multa). Di recente però la Cina sta pensando di abbandonare ogni tipo di pianificazione: la popolazione è invecchiata, il sistema pensionistico e di welfare sanitario comincia a essere gigantesco, comincia a mancare la forza lavoro. Il cambio della legge nel 2015 non ha comportato gli effetti sperati, tanto che non pochi in Cina credono che il governo, oltre ad annullare la pianificazione, finirà anche per arrivare a offrire incentivi per avere figli.
di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]