Le contraddizioni di un sistema che cerca di rimanere in equilibrio tra spinte verso il futuro e la volontà di mantenere lo status quo, non vengono riservate solo alla popolazione, ma anche ai leader. Il numero uno cinese, Xi Jinping, di recente ha chiesto una maggiore tolleranza delle critiche con «buone intenzioni» che vengono fatte on-line contro i funzionari e le attività di governo. Una minima apertura dopo aver chiesto a tutta la stampa nazionale una «fedeltà» assoluta al Partito.«Il governo dovrebbe prendere consigli costruttivi dai cittadini della rete, aiutare coloro che sono in difficoltà e spiegare a coloro che non capiscono la situazione», avrebbe detto Xi.
«I reclami dei netizen dovrebbero essere affrontati in modo rapido, e gli atteggiamenti on-line sbagliati devono essere corretti».
Le parole di Xi, però, sono state censurate. Eccesso di zelo? Xi aveva anche promesso «di accettare le critiche on line verso il partito comunista, il governo e i funzionari fino a quando queste sono «ben intenzionate», indipendentemente da quanto sgradevoli possano essere da sentire».
Ore dopo queste dichiarazioni la Xinhua ha iniziato a postare i punti salienti del discorso sul suo account Weibo, «ma ai lettori che cliccavano sulla sezione commenti del post veniva mostrato un messaggio che diceva: «Questo post è chiuso per i commenti – racconta il quotidiano di Hong Kong, South China Morning Post – Il post è stato condiviso oltre 5.000 volte, ma aveva solo 16 commenti. Tra questi, solo due erano autorizzati a essere visualizzati».
Non si tratta della prima volta per questo tipo di cortocircuiti della censura cinese.
Anni fa Wen Jiabao, allora premier del governo cinese, si era recato negli Stati uniti e aveva fatto un accenno alle vicende del 1989, lasciando presagire qualche apertura riguardo quegli eventi da parte del Partito comunista. Anche in quel caso le sue dichiarazioni all’estero, vennero clamorosamente censurate in patria.
Nel frattempo Xi Jinping si è nuovamente segnalato per un’iniziativa da considerarsi all’interno della creazione del suo «mito contemporaneo».
Xi Jinping è andato a fare visita a un distaccamento militare e per la prima volta nel corso della sua presidenza si è fatto riprendere e immortalare vestito in tuta mimetica. Da sempre Xi Jinping viene dato molto vicino agli ambienti militari, una classica eredità dei figli dei Padri della patria quale è l’attuale numero uno cinese. La Cctv lo ha quindi definito nei suoi servizi «commander in chief».
Si tratta di una non notizia ripresa da tutti i media mondiali, giusto per sottolineare la deferenza e l’attenzione alla personalità del numero uno cinese che fin dal momento della sua nomina, oltre ad essere segretario del Partito e presidente della Repubblica popolare è anche a capo della Commissione centrale militare, ruolo equivalente a quello del «commander in chief».
Con la visita e la passerella in mimetica però Xi Jinping ha di sicuro voluto mandare messaggi trasversali.
Agli Stati uniti e agli altri paesi asiatici che conti nuano a mandare proprie navi in acque che considerano internazionali e che Pechino considera invece sue. Xi fa capire di essere attento, come già ampiamente dimostrato, agli «affari militari». Attenzione ribadita dalla recente visita.
Ma è un messaggio anche interno: la famosa lettera con cui venivano chieste le sue dimissioni sembrava attaccare anche la sua politica estera troppo energica. Il numero uno cinese è parso voler dimostrare che questa strategia scelta dal Partito non sembra essere in alcun modo posta in discussione dalla leadership.
[Scritto per Eastonline; foto credit: nbcnews.com]