Vendevano dati sensibili in cambio di importanti somme di denaro. E’ la trama dello scandalo che da alcuni mesi sta scuotendo Amazon. Secondo un articolo recentemente pubblicato dal Wall Street Journal, il colosso americano dell’e-commerce ha aperto una serie di accertamenti a livello internazionale per indagare sulla presunta vendita di informazioni riservate e dati di ricerca da parte di alcuni dipendenti a soggetti terzi. Nella truffa sarebbe inoltre coinvolta una fitta rete di intermediari che, su indicazione dei venditori e dei dipendenti Amazon, avrebbe cancellato recensioni negative e riattivato account precedentemente bloccati. Il tutto con lo scopo di assicurare ai commercianti-complici un vantaggio competitivo sui concorrenti.
L’indagine è cominciata lo scorso maggio, dopo che l’azienda statunitense ha ricevuto una soffiata in merito alle pratiche occulte, particolarmente pronunciate nel mercato cinese. D’altronde, l’ascesa di Amazon oltre la Muraglia non è mai stata esente da intoppi. Entrata in Cina nel 2004 in seguito all’acquisizione di Joyo.com, società specializzata nella vendita di libri online, la creatura di Jeff Bezos si è fatta strada nell’intricato mercato online cinese, il più grande al mondo e dominato da giganti di fama internazionale, tra cui Alibaba e JD. Agli inizi l’azienda americana si occupava principalmente di stoccaggio e imballaggio dei prodotti e, solo in un secondo momento, ha aperto la propria piattaforma online a fornitori esterni, che oggi contano per oltre il 40% delle vendite di Amazon in Cina.
L’inchiesta sulle mazzette sarebbe l’ultimo di tutta una serie di scandali che la compagnia di Jeff Bezos ha dovuto affrontare nel paese asiatico, tra cui la lotta contro recensioni false e la vendita di prodotti contraffatti. Dal 2015, Amazon ha intrapreso una lunga lista di azioni legali contro le frodi online e ha denunciato oltre 1000 entità collegate alla creazione di profili e recensioni fake sul sito.
Le truffe, in Cina, seguono in linea di massima sempre lo stesso schema: intermediari, al soldo di commercianti cinesi, si mettono in contatto con i dipendenti Amazon attraverso WeChat, popolare applicazione di messaggistica, proponendo loro pagamenti in contanti da un minimo di 70 dollari fino ad un massimo di 1700 dollari in cambio di dati sulle vendite e maggior visibilità sul sito. Fino a oggi il raggiro ha funzionato grazie alla coesistenza di due circostanze correlate: da un lato i salari troppo bassi hanno spinto alcuni dipendenti Amazon e fornitori terzi a infrangere il codice etico dell’azienda. Dall’altro, una sempre più agguerrita competizione nel mondo dell’e-commerce ha invogliato i commercianti a intraprendere pratiche illegali per rimanere a galla. [Ho solo Riformulato due frasi e messo un punto per rendere meno legnoso il periodo]
Nei primi 11 mesi del 2017 il numero dei venditori attivi sulla sua piattaforma Amazon ha raggiunto il milione, di cui un terzo nella sola Cina. Con una competizione così agguerrita, è frequente che i venditori non ricevano ordini per molti giorni consecutivi. E una bassa attività finisce per tradursi in un basso punteggio.
Sul fronte della tutela dei diritti dei lavoratori in Cina e non solo – lo testimoniano gli scioperi avvenuti in Europa la scorsa estate – Amazon è stata fortemente criticata a causa della scarsa supervisione dei propri fornitori. Un recente report rilasciato da China Labor Watch ha sottolineato come Jeff Bezos, CEO di Amazon, sia divenuto l’uomo più ricco al mondo grazie allo sfruttamento di lavoratori sottopagati, che nella Repubblica popolare sono per il 40% stagionali e spesso non adeguatamente addestrati. Il report, nato da un’indagine della durata di nove mesi condotta nell’azienda Hengyang Foxconn – dove Amazon produce alcuni dei suoi prodotti di punta -, ha concluso infatti che i dipendenti vengono costretti a estenuanti orari di lavoro per “arrotondare i bassi salari” e sistemati in dormitori spesso privi di adeguati sistemi antincendio. L’azienda si è immediatamente mossa per verificare che anche Foxconn rispetti il codice di condotta dei propri fornitori, promettendo maggiori controlli per garantire condizioni di lavoro più dignitose.