Ottenere un permesso di lavoro in Cina non è mai stata cosa semplice, ma in tempi di pandemia la situazione è drasticamente peggiorata. E dopo aver testimoniato le restrizioni alla vita quotidiana imposta dal Covid, unitamente al sempre più stringente contesto lavorativo per gli stranieri in Cina, in molti si domandano quanti studenti e lavoratori avranno voglia di tornare una volta riaperti i confini.
Shanghai si risveglia dal lockdown degli ultimi mesi con meno expats. Il numero di stranieri residenti in Cina si è dimezzato negli ultimi due anni, una conseguenza delle continue chiusure e delle stringenti misure della politica Zero Covid, considerata da molti stranieri come “draconiana”. . Le statistiche dell’amministrazione nazionale cinese dell’immigrazione mostrano a proposito che il numero di arrivi e partenze dei cittadini stranieri nel 2021 è sceso a 4,53 milioni. Un calo del 4,6% rispetto alle statistiche del 2019.
Prima del Covid, il governo cinese aveva in cantiere delle importanti riforme migratorie, con regole volte ad avere una selezione più accurata dei lavoratori stranieri e un controllo più stringente dei così detti sān fēi (三非, tre illegali), vale a dire ingresso illegale, residenza illegale e lavoro illegale in Cina.
Il 28 Marzo 2020 è da considerarsi una data spartiacque per questa tipologia di normativa, considerato l’annullamento di numerosi visti e permessi per far fronte all’emergenza Covid. Ma è anche diventata un’occasione per implementare controlli più serrati e stanare i lavoratori non regolari.
Cina e riaperture: di emigrazione e immigrazione
L’aumento della migrazione da e verso la Repubblica Popolare Cinese è legata alle grandi riforme socio-economiche di Deng Xiaoping. Nel 1979 la Cina apriva le sue porte al mondo, e la gestione della presenza straniera sul suo territorio si è sempre concentrata sui benefici economici e meno sull’integrazione e sul controllo degli stranieri. In quel periodo,la migrazione interna e internazionale diventò un importante mezzo di mobilitazione economica. La liberalizzazione del mercato e l’apertura all’economia globale generarono una crescente domanda di manodopera, in gran parte soddisfatta dai lavoratori migranti cinesi provenienti dalle zone rurali. Al tempo stesso, nelle grandi città, aumentava la richiesta di personale qualificato che richiamò numerosi lavoratori e studenti dall’estero. In quegli anni molti cittadini cinesi partivano per formarsi fuori dalla Cina, mentre gli stranieri mettevano piede in una terra vergine, piena di opportunità e di manodopera a basso costo. Ad oggi, quasi un terzo degli immigrati stranieri vive nella provincia meridionale del Guangdong, la centrale manifatturiera dove Deng Xiaoping aveva lanciato le politiche di riforma economica.
La Cina “si è trasformata da a migrazione limitata in un paese per molti versi definito dalle sue interazioni globali”, scrivono Heidi Østbø Haugen, geografa umana dell’Università di Oslo, e Tabitha Speelman, ricercatrice dell’Università di Leiden, in una recente ricerca sulle politiche di immigrazione cinesi.
La caccia ai “tre illegali”
“Se si aprono le finestre per fare entrare aria fresca, è necessario aspettarsi che entrino alcune mosche”. La celebre frase di Deng Xiaoping all’epoca delle grandi riforme preannunciava checon le aperture, insieme all’aumento del flusso migratorio, sarebbero arrivati anche i problemi legati all’immigrazione illegale e i lavoratori non regolari.
Le campagne anti-sān fēi assumono espressioni diverse a seconda del gruppo di immigrati e del contesto locale. Ad esempio, i matrimoni tra cittadini cinesi e vietnamiti sono stati oggetto di pubblico scrutinio a causa del ruolo dei mediatori matrimoniali e, a volte, del traffico di esseri umani. Gli individui con visti turistici e studenteschi che lavorano informalmente come insegnanti di inglese sono passati dall’essere tollerati dalle autorità locali a essere perseguiti penalmente per lavoro illegale.
Nel 2021, la NIA ha trovato79.000 stranieri colpevoli di ingresso illegale, residenza illegale o impiego illegale nel paese. E da allor circa 44.000 di loro sono stati espulsi. Altri sono stati multati, ammoniti o detenuti. Non è la prima volta che la Cina si trova a chiudere i propri confini per periodi prolungati, o fa una selezione tra gli stranieri. I confini cinesi rimasero chiusi nel 2003 durante l’epidemia SARS. Nel 2008, invece, il governo fronteggiò una vera e propria pulizia di visti e di stranieri in vista delle Olimpiadi.
“Il 2008 rappresenta un anno cruciale nella storia contemporanea cinese: la Cina si presentava al mondo, ma questa volta come crescente potenza economica. Doveva presentarsi perfetta al mondo. In quei mesi precedenti alle Olimpiadi numerosi colleghi stranieri furono chiamati a dimostrare le loro documenti e visti. Molti detenenti di visto business furono espulsi immediatamente dal paese” racconta Alberto Antinucci che all’epoca si trovava nella città di Guangzhou.
Le regole sui visti, introdotte nel 2008 senza molte spiegazioni, limitarono molti visitatori a soggiorni di 30 giorni, sostituendo i visti flessibili con ingressi multipli che consentivano di rimanere fino a un anno. Le nuove regole resero più difficile per gli stranieri vivere e lavorare a Pechino senza richiedere un permesso di residenza, spesso difficile da ottenere.
Stranieri non più così “speciali”
L’epoca in cui in cui bastava essere occidentale per trovare lavoro in Cina è finita.
Umberto Damasio, studente di Comunicazione e Giornalismo a Xiamen è rimasto nella Rpc nonostante il Covid per continuare gli studi. “L’unica cosa che mi spingerebbe ad andarmene sarebbe non trovare un lavoro per restare” racconta. Sulle principali applicazioni per la ricerca di tirocini universitari ha trovato solo proposte di lavoro per studenti cinesi che si sono formati all’estero. “ Sono loro i nuovi studenti internazionali”, dice.
Le nuove generazioni cinesi parlano perfettamente inglese, hanno frequentato le migliori università all’estero e sono altamente qualificati. A livello accademico, anche le università cinesi però sono diventate un’attrattiva interessante per gli stranieri in cerca di una buona formazione. “C’è più competizione di prima, è normale che la Cina sia più esigente nella selezione dei lavoratori provenienti dall’estero” conclude Umberto.
I confini riapriranno, ma gli stranieri torneranno?
“Shanghai è una città cosmopolita, come Parigi o New York. Negli ultimi mesi è stato come risvegliarsi in un posto totalmente diverso” racconta Martino Piccioli, architetto residente a Shanghai ed autore del libro Laowai, un pratese in Cina, riferendosi alla sensazione che ha provato negli ultimi mesi di lockdown. “La Cina è un posto in cui in generale lo straniero è destinato a sentirsi sempre come tale. E oggi questo lo percepisco più di prima” continua Martino.
Il numero di immigrati stranieri è aumentato negli anni, ma le politiche sull’immigrazione sono sempre rimaste le stesse. Questioni come l’integrazione degli stranieri in Cina o la diversità sociale sono difficilmente affrontate nelle leggi e nei regolamenti pertinenti. Al tempo stesso, i percorsi per la residenza permanente rimangono estremamente limitati, rendendo difficile per gli stranieri stabilirsi in Cina a lungo termine.
“Credo che sia molto cambiato l’atteggiamento nei confronti di noi lǎowài (老外, straniero). Non so se questa difficoltà nell’assumere personale straniero venga solamente dal sistema, ma credo sia più un cambiamento di mentalità. La figura dello straniero in Cina non è più vista come interessante o essenziale, a meno che non sia una figura di una certa levatura ed esperienza.” commenta Martino.
Il lockdown degli ultimi mesi ha fatto riflettere non solo gli stranieri, ma anche gran parte dei cittadini della classe media cinese: perché voglio rimanere in Cina?
“La Cina negli ultimi otto anni mi ha dato tantissimo. Andarmene nel 2020, alla prima difficoltà, come hanno fatto tanti stranieri, non mi è sembrato giusto” commenta Guido Tahra, filosofo e fashion designer residente a Guangzhou. E continua: “Alla Cina interessa l’espansione economica e commerciale, ma ha timore che le giovani generazioni troppo occidentalizzate diventino un ostacolo allo sviluppo armonico cinese.”
Una cosa è certa: il tempo degli insegnati d’inglese senza visto lavorativo e qualifiche è giunto al termine. Ma quando la Cina riaprirà i battenti, potrebbe entrare qualche mosca in meno.
Di Camilla Fatticcioni