I cercatori d’oro. Sul web.

In by Simone

«Odio i gold farmers con tutto me stesso. Da quando abbiamo lanciato WAR, abbiamo bannato un mare di questi bastardi come fosse niente; sabato sera eravamo già arrivati ad oltre 400 ban». Così si è sfogato sul suo blog Mark Jacobs, l’ex direttore dei Mythic Studios, dopo il lancio del loro nuovo gioco multiplayer, Warhammer Online. Lui odia i gold farmers, i quali, al contrario, non stanno a chiedersi perché qualche ricco occidentale sia disposto a pagarli in soldi veri, perché loro gli procurino soldi virtuali. E’ questo quello che fanno i gold farmers: smanettano, accumulano oro e ogni tipo di moneta virtuale necessari per avanzare in un gioco on line e lo vendono ai tanti giocatori incalliti, smaniosi di avere successo e disposti a tutto, a discapito di chi vuole giocare solo in modo ludico e senza trucchi. E alla faccia delle aziende produttrici dei giochi, poco propensi a tollerare la loro attività lucrativa, senza averne una fetta della torta. I gold farmers sono i moderni lavoratori delle miniere d’oro, on line e sono situati per lo più in Cina, sempre più Terra di Mezzo. E come nella caccia all’oro descritta da Steinbeck rappresentano una nuova categoria lavorativa nel passaggio post industriale delle metropoli cinesi: manuali cognitari, sospesi tra virtuale e fatica vera, organizzati mischiando tecniche manageriali contemporanee e logiche da catena di montaggio ottocentesche.

Chi li arma, organizza e quasi sempre sotto paga, come ha sostenuto Richard Heeks, autore di uno studio universitario in proposito, ha trovato una specie di uovo di Colombo tra il virtuale e il reale: «molti giochi online hanno un’economia virtuale ed una valuta interna. I gold farmers giocano e creano valuta, poi la vendono per denaro vero e proprio attraverso siti Internet con il sistema di pagamento PayPal ad altri giocatori in tutto il mondo». Semplice. Ed è ormai un’industria mondiale. L’Helsinki Insitute, in una recente ricerca, ha stimato il giro d’affari complessivo del gold farming in oltre 2 miliardi di dollari, solo nel 2007. Da un punto di vista lavorativo, ha ribadito Heeks, «il gold farming permette di creare posti di lavoro e specializzazione».

Giocare, lavorando.
Il primo gioco per computer è datato 1952, ma la vera novità è arrivata solo una decina di anni fa, con i MMORPG, ovvero Massive(ly) Multiplayer Online Role-Playing Game, giochi on line cui possono partecipare più persone. La svolta nel 2004 con la pubblicazione di World Of Warcraft, uno dei più famosi giochi di ruolo in rete. Funziona in questo modo: con 15 dollari si entra nel gioco, ci si crea il proprio avatar e si comincia la vita all’interno dell’universo alternativo. Per andare avanti nel gioco si ha bisogno di moneta virtuale, ed ecco arrivare, o cercare, i gold farmers. E il mondo dei giochi on line è un continente che non risulta in nessuna mappa ufficiale: oggi conta più di sei milioni di giocatori, tre dei quali sono sul suolo cinese.

Wang Yiwei ha due aziende di gold farming: «la maggioranza dei giocatori dei MMORPG sono colletti bianchi e studenti. Questa è gente che non ha tempo per stare lì a procacciarsi da soli i soldi virtuali che servono per andare avanti nel gioco. Allora ci pensiamo noi». Solitamente, con un dollaro si acquistano circa 100 monete virtuali, pare sia un prezzo buono e sicuramente i conti si fanno in modo semplice. Deng Shuojing ha 22 anni e ha ammesso di fare spesso uso dei servizi offerti dai gold farmers: «mi piace molto giocare a World of Warcraft, ma non ho tutto il tempo che necessita la ricerca dei soldi virtuali, così mi rivolgo a loro, mi pare un ottimo affare».

Crediti per svariati giochi on line all’inizio si compravano anche su Ebay, ma chi ha visto nell’idea di guadagnare per altri i soldi virtuali, ha pensato a una cosa in grande stile, di massa e sempre a disposizione. Il gold farming all’inizio, fine anni 90, era praticato da alcuni geek in Europa e Usa, giusto per arrotondare. Dal 2002 circa sono entrati in scena i cinesi e il panorama è completamente cambiato, in poco tempo, tanto che negli ultimi anni è in corso una vera e propria battaglia, anche legale, contro questo fenomeno. Una panoramica è offerta da uno dei tanti insider che si lascia sfuggire qualcosa sui blog o nelle liste di discussione: «la compravendita di soldi virtuali deve ringraziare eBay e il sistema di pagamento di PayPal che ha reso possibile una gamma di soluzioni per le transizioni monetarie, favorendo il business. All’inizio era una industria fatta di tante botteghe, piccole, parlo del periodo che va dal 1995 al 2000 circa. Poi nel 2002 con la nascita di alcuni siti ad hoc, come Mysupersales.com, che hanno migliorato la sicurezza dello scambio monetario, contro frodi e fregature, il volume degli affari è aumentato vertiginosamente. Dal 2006 è diventato un mercato che fa girare miliardi di dollari».

E Wang Yiwei si gode il successo, non dimenticando le sue fatiche: «per fare il gold farmer non serve un alto livello di istruzione, bisogna soprattutto avere tempo. Quando ho iniziato guadagnavo meno di 100 euro al mese». Ora può permettersi di pagare i laureati di Shanghai che lavorano per lui anche 200 euro al mese. «Il problema è che la gente non accetta il nostro lavoro. Molte persone non riescono a considerare il fatto che giocare on line può diventare un lavoro. E ci sono molti rischi, perché le compagnie che producono i giochi on line ci fanno la guerra. Spesso un giocatore sospettato di avere comprato da noi soldi virtuali, può anche venire eliminato per sempre dal gioco. Siamo una cosa nuova, non esiste nessuna regolamentazione e il rischio è molto alto».

La frontiera cinese.
La Cina è la patria delle cosiddette grey areas, ovvero dei pertugi affaristici oscillanti tra legalità e illegalità. La mancanza di trasparenza in tanti settori, vedi la recente querelle relativa all’industria del ferro, crea meccanismi virtuosi in cui si inseriscono imprenditori, malavitosi, forze dell’ordine e spesso papaveri del partito. E questo crea sacche di corruzione che provocano profondi malumori popolari. Ma proprio grazie alla mancata regolamentazione di tanti settori economici, cinesi e stranieri in Cina, realizzano business inimmaginabili fino a poco tempo fa. Internet in particolare ha completamente sconvolto alcuni rivoli di socialità cinese, aprendo nuove possibilità. Wang è un ragazzo che lavora in una azienda cinese di designer. Come molti connazionali ha scelto la strada della grafica on line, visto il proliferare del settore. E quando naviga su internet, non è interessato più di tanto all’informazione. Per lui internet è in primo luogo svago: «cerco musica e gioco on line. Internet è un momento di relax al termine di una giornata lavorativa pesante».

Loretta Napoleoni, nel suo Economia Canaglia, ha dedicato un capitolo alle canaglie dell’on line, concludendo che «la Cina capisce meglio di ogni altro paese le attività e le economie virtuali. Secondo le stime oltre mezzo milione di cinesi si guadagna da vivere grazie all’economia virtuale, dai videogiochi ai mondi sintetici». Voglia di giocare e intraprendenza, anche ai limiti della legalità: non è un caso dunque se la maggioranza dei gold farmers nel mondo, l’85% secondo gli studi della Manchester University, sono cinesi (400 mila secondo alcune ricerche, un milione secondo Nick Ryan in un suo recente articolo per la rivista Eurogames). E in Cina questo genere di business è cresciuto parecchio negli ultimi tempi, creando un’industria dai numeri elevati, 146 milioni di dollari l’anno, con una crescita annuale del 20%, ma anche con uno sfruttamento lavorativo piuttosto consueto: turni di lavoro davanti a un computer di 12-14 ore, pranzi e cene in ufficio e possibilmente anche il sonno. Le aziende di gold farming, come tante altre aziende del Celeste Impero, sono famose per quello che i cinesi chiamano lo spirito del materasso, nomignolo affibbiato alle compagnie che dotano il lavoratore di un materasso, posto sotto la scrivania, per dormire direttamente nel posto di lavoro. Per chi ha scovato le gold farm, non deve essere stato troppo romantico vedere questi esploratori dell’oro virtuale ammassati in uffici simili ad alveari, con gli occhi arrossati e le mani fameliche sulla tastiera.

100, 150 euro al mese per gli smanettoni più fortunati, 10 euro ogni tre giorni per i più sfruttati. Uno di loro ha confessato on line: «è un lavoro duro, ma rispetto ad altri impieghi è buono. In più il mio lavoro è giocare». Altri invece hanno denunciato situazioni al limite. Lou Wen studia medicina e in due mesi, durante le vacanze estive, ha deciso di mettere su qualche soldo scovando oro virtuale. Ha affermato di avere guadagnato circa 100 euro lavorando come gold farmers, in condizioni non facili: «lavoravo più di dieci ore al giorno. In alcune giornate non dormivo e non mangiavo, figurarsi se riuscivo a studiare».

Non solo lavoratori sottopagati, perché alcune gold farm hanno vere e proprie strutture manageriali con stipendi da colletti bianchi cinesi: i laureati vengono impiegati a seguire i clienti, per lo più dagli Usa, come se il gold farming fosse un’attività simile a quella dei broker. Esistono anche le divisioni di studio del mercato, potenzialità: tutto molto organizzato ed efficiente. E’ un lavoro.
Eva Yuan, ad esempio: 26 anni, parla tre lingue. Ogni giorno aiuta almeno 100 clienti della Wow7gold, una delle tante aziende impegnate nel settore. I clienti sono quasi tutti statunitensi: «la più grande transazione che ho gestito, ha affermato, è stata di circa 5mila euro, per me sono un sacco di soldi, per questi clienti invece sono spiccioli». La Wow7gold è il tipico esempio di moderna fabbrica di gold farming: 130 persone, di cui almeno una trentina impegnate a giocare on line e fare spamming via mail, altri 5 o 6 si occupano della parte tecnica, il resto è diviso tra customer service e amministrazione. Solitamente il personale amministrativo è femminile, mentre i giocatori, sono quasi sempre maschi, spesso pagati a seconda di quanto oro virtuale ammassano nelle casse della società.

La guerra al gold farming
L’impennata di affari del gold farming però, rischia di crollare sotto i colpi del rischio insito nella propria attività. Formalmente è illegale e per questo c’è chi sta provando, di comune accordo con i publishers dei giochi, di regolamentarlo. E’ il caso di livegamer.com dove la compravendita di oro virtuale, passerebbe attraverso meccanismi trasparenti. In pratica si tratterebbe di trasformare le transazioni in qualcosa di legale, attraverso un riconoscimento unico concordato con i produttori dei giochi: c’è già l’acronimo, R.M.T., ovvero Real Money Trading. In questo caso anche le case che creano i giochi on line, avrebbero una percentuale sugli scambi di soldi, veri. L’incognita è vedere quanti di loro accetteranno questo sistema, che secondo molti giocatori rischia di portare ad un divertimento on line riservato solo ai ricchi, a chi può permettersi di comprare quello che altri cercano di guadagnare mettendoci tempo, impegno e divertimento. Nel frattempo però il settore rimane ancora nella zona grigia. Per questo il governo cinese nel giugno di quest’anno ha annunciato, un po’ a sorpresa, che le transizioni di moneta virtuale sono da considerarsi illegali.

La notizia è stata subito letta come un tentativo da parte del governo di porre un freno ai gold farmers, arginandone sfruttamento e illegalità. In realtà non è propriamente corretta questa interpretazione: la Cina ha vietato semplicemente il commercio di cyber moneta utilizzata da molti software come ad esempio QQ, il Messenger cinese. In un paese in cui dilagano le carte di debito, la moneta virtuale è diventata un volano per attività illegali che prolificano su Internet. La direttiva del governo di Pechino ha un impeto che prova ad arginare meccanismi di truffe on line decisamente frequenti in Cina.

Al momento quindi, per i gold farmers c’è ancora da setacciare le miniere virtuali: gli immigrati che si spaccavano la schiena negli Usa negli anni ’40 erano famosi per avere sempre un materasso sopra la propria auto, i nuovi cercatori d’oro cinesi lo hanno sotto la scrivania. L’importante, è trovare l’oro.

[Pubblicato su Diario, settembre 2009]