Argentina, Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Iran, Egitto ed Etiopia. Prevale la voglia cinese di espandere il gruppo. Più che raddoppiato il peso del gruppo sul fronte della produzione di petrolio
Sembrava destinato a restare un passaggio interlocutorio, in attesa di tempi migliori. Anche perché durante il suo svolgimento è successo un po’ di tutto. Prima l’allunaggio della navicella indiana, puntuale successo per Narendra Modi, poi lo schianto di Evgenij Prigozhin. E invece il summit dei Brics di Johannesburg ha partorito la montagna: il gruppo si allarga. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica accoglieranno dal 1° gennaio 2024 sei nuovi membri: Argentina, Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Iran, Egitto ed Etiopia. Una costellazione di paesi variegata, la cui effettiva unità d’intenti è tutta da dimostrare. La loro individuazione tra i 23 candidati è frutto di un compromesso tra la Cina, che spingeva da tempo per espandere il gruppo senza troppi tentennamenti, e gli altri membri. Una spinta aumentata col salto di qualità nella competizione con gli Stati uniti. Dopo la guerra in Ucraina, anche la Russia ha intensificato la pressione per ammettere nuovi paesi, per mostrare di non essere isolata. Obiettivo almeno formalmente riuscito. E peraltro il summit del 2024, il primo a 11, si svolgerà proprio in Russia, a Kazan. India, Brasile e Sudafrica hanno rapporti fluidi con l’occidente e avevano sin qui rallentato per non lasciare intravedere nei Brics una proiezione geopolitica o strategica che finora non hanno avuto.
Ne è nata una lista che in ogni caso rende più forte l’organizzazione soprattutto dal punto di vista energetico, vista l’inclusione di Riad, Abu Dhabi e Teheran. Con loro tre, il gruppo arriva a contare il 42% della produzione globale di petrolio. Più che raddoppiato, dunque, il circa 20% attuale. Si tratta dei tre ingressi più rilevanti dal punto di vista economico e diplomatico, viste le questioni irrisolte tra Stati uniti e Iran. La contemporanea entrata con l’Arabia saudita assicura peraltro alla Cina un successo simbolico: tradizionalmente più vicina all’Iran, Pechino si è molto avvicinata negli ultimi anni anche al paese del Golfo. Processo suggellato dalla visita di Xi Jinping dello scorso dicembre, ma anche dal ruolo giocato nel riavvio dei rapporti diplomatici tra i due (ex?) rivali regionali. Arabia saudita ed Emirati arabi uniti potrebbero inoltre garantire un inserimento di ricchezza di non poco conto per la Banca di sviluppo, guidata dall’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff. Sia Egitto sia Etiopia hanno ottimi rapporti con Cina e Russia, ma il loro coinvolgimento può essere rivendicato a livello continentale dal Sudafrica come un successo diplomatico. L’Argentina è stata invece fortemente voluta dal presidente brasiliano Lula, che nei giorni scorsi l’aveva definita “soffocata” dai prestiti del Fondo monetario internazionale. Ci si attendeva anche l’Indonesia, uno dei paesi su cui puntava di più la Cina, ma alla fine sarebbe stata la stessa Giacarta a chiedere tempo per discuterne coi partner del Sud-Est asiatico al prossimo summit Asean.
L’allargamento verrà senz’altro presentato dalla Cina come una sua vittoria. Già ieri, subito dopo l’annuncio del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, Xi ha definito l’espansione un passaggio “storico”. Pur se il suo impatto sulla percentuale di Pil e commercio globali è piuttosto limitato, pur se l’obiettivo della dedollarizzazione resta complesso e la creazione di una moneta comune sembra ancora un miraggio, aggiungere lettere all’acronimo dei Brics rafforza la rivendicazione cinese di leadership del cosiddetto Sud globale. Non a caso, in questi giorni Xi ha svolto una lunga serie di bilaterali coi leader dei paesi africani. C’è stato anche un breve scambio con Modi. Un primo segnale, dopo che i due non si parlavano ufficialmente da oltre tre anni coi i due paesi hanno vari dossier delicati da gestire. A partire da quello del confine conteso.
In diversi passaggi del comunicato finale del summit emerge un’impronta cinese. A partire dalla ostentata reiterazione del concetto di “multilateralismo inclusivo” alla condanna del terrorismo “in tutte le sue forme”, fino alla sottolineatura dell’importanza del G20. Forum di cui il pallino resterà in mano ai Brics per ben tre anni consecutivi: dopo l’India, infatti, la presidenza di turno toccherà a Brasile prima e Sudafrica poi. Forte accento anche sulla sicurezza alimentare. Elemento non secondario se si considera che il gruppo produce il 40% del fabbisogno mondiale di grano. Resta complicato che il gruppo possa essere pienamente in grado di svolgere un’azione comune e coordinata nei vari palcoscenici internazionali. “Non consideriamo i Brics come una sorta di rivale geopolitico degli Stati uniti o di chiunque altro”, ha dichiarato nei giorni scorsi il consigliere per la sicurezza nazionale americano Jake Sullivan. Ma intanto il “mondo che non vediamo” diventa un po’ più grande.
Di Lorenzo Lamperti e Simone Pieranni
[Pubblicato su il Manifesto]