La Borsa di Hong Kong ha lanciato un’offerta di acquisto per il London Stock Exchange, il listino di Londra che controlla anche Piazza Affari. La proposta è di circa 32 miliardi di sterline (36 miliardi di euro) e include debito, contanti e azioni. La Borsa di Hong Kong è tenuta a fare un’offerta vincolante entro il 9 ottobre. A Londra dicono che analizzeranno «tutto ciò che ha implicazioni per la sicurezza nazionale».
E così sembra volersi muovere Roma; secondo Milano Finanza, l’Italia sarebbe intenzionata ad attivare il golden power, quell’insieme di poteri speciali che un governo può utilizzare in settori considerati fondamentali per la sicurezza nazionale.
La notizia è destinata a fare parlare, ad aprire nuovi scenari, a scatenare le più imprevedibili suggestioni non solo sui mercati finanziari, ma anche nelle strategie geopolitiche che vedono sempre più connesse Asia ed Europa. C’entra la Cina, ovviamente – e quando mai non c’entra – e le recenti proteste di Hong Kong, la presentazione da parte di Pechino della Greater Bay Area all’interno della quale si prevede una crescita vistosa di Shenzhen come hub finanziario a discapito, dicitur, proprio dell’ex colonia britannica.
E c’entrano i capitalisti di Hong Kong che – al di là delle proteste – vedono da tempo arretrare il proprio peso e dunque i propri profitti. La crisi politica e gli effetti collaterali dello scontro commerciale tra Cina e Usa hanno finito per pesare sull’economia della città. Il primo settembre 2019 Il Sole 24 ore scriveva che «se nel 2018 era stato il primo mercato al mondo nelle Ipo, quest’anno è praticamente in secca: di recente, è spiccato il rinvio del collocamento di Alibaba».
L’offerta per comprarsi «la City», dunque, potrebbe essere letta in modi differenti, a seconda di come si consideri, oggi, Hong Kong. Secondo il Financial Times, ad esempio, la proposta sarebbe un tentativo disperato dei «plutocrati» dell’ex colonia di riguadagnare terreno e importanza: «questa offerta a sorpresa – ha scritto il quotidiano britannico – ha tutti i tratti distintivi di un tentativo di salvare la città dalla distruzione imminente».
Certo, difficilmente la Borsa di Hong Kong – di cui il maggior azionista è il governo della città che nomina 6 dei suoi 13 membri – può concretizzare un passo di questo genere senza l’assenso di Pechino.
E questa constatazione apre a diverse possibilità. Intanto l’offerta potrebbe dirci quale grado di autonomia i capitalisti di Hong Kong hanno ancora rispetto al controllo di Pechino. Ma c’è naturalmente un’altra possibilità, che si basa su alcuni particolari di questa vicenda.
Uno di questi ha un nome, Laura Cha, presidente della società che controlla la borsa di Hong Kong, già deputata all’assemblea nazionale di Pechino; insomma la mossa potrebbe essere stata fatta non tanto contro Pechino, quanto con l’assenso della Cina cui potrebbe interessare e non poco la possibilità di piazzare aziende con meno problematiche del passato sul mercato azionario britannico.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.