Lo scorso 2 aprile circa un centinaio di giovani compresi tra i 20 e i 30 anni si sono riuniti in un piccolo teatro per ammirare l’esibizione della poco conosciuta arte del shibari-kinbaku. Giusto un assaggio di quanto seguirà nei prossimi giorni e che – dopo le esibizioni danzerecce della coreografa francese Alice Rensy – dovrebbe culminare il prossimo 14 maggio nella proiezione di una pellicola a luci rosse per cui è attesa la presenza di circa 1000 persone. La location è segretissima, il costo: 200 dollari di Hong Kong, di cui metà da devolvere alla ricerca contro l’AIDS.
«Chi ha detto che i film che trattano di sesso non sono dei buoni film? È arrivato il momento di aprire il dibattito sul sesso», si legge nel comunicato di apertura dell’evento. Nei piani di Goooood Secrets, il festival punta a restituire dignità al cinema erotico asiatico. «Negli anni ’90 la nudità sullo schermo non faceva tanto clamore, ma oggi i film di categoria III (ovvero vietati ai minori) sono considerati scandalosi», racconta Tracy al South China Morning Post, sottolineando che lo scopo dell’evento è sopratutto quello di spostare la fruizione del porno dal solitario smanettamento su internet al dibattito pubblico. Hong Kong è molto meno aperta di quanto non sembri, spiega.
Secondo le leggi locali, la pornografia è illegale solo quando venduta a o condivisa con minori di 18 anni, se mostrata in pubblico (eccezion fatta per l’esposizione in gallerie e musei), o se commerciata senza richiami «facilmente visibili» a contenuti offensivi e non distribuibili ai minori. Lo scorso luglio, 75mila dvd a luci rosse sono stati triturati dagli pneumatici dei blindati della polizia hongkonghese in «un’esecuzione pubblica» ripresa dall’Associated Press.
Nonostante la portata quasi «storica» che gli organizzatori attribuiscono all’evento, l’Orgasmo Festival sarebbe tranquillamente potuto rimanere relegato nelle colonnine dei rotocalchi locali se non avesse attirato l’attenzione di tal Wei Xi, giornalista del Global Times, spinoff del Quotidiano del Popolo, la testata che più di ogni altra viene considerata bocca, lingua e gola del Partito comunista cinese. Un giornale che viene spesso associato alle invettive caustiche contro l’Occidente e ai suoi elogi sperticati delle politiche firmate Xi Jinping, anche quando caratterizzate da sottili sfumature liberticide e spinte conservatrici. Strano, dunque, che il tabloid stavolta si sia astenuto dai consueti giudizi tranchant per dare invece voce alle aspirazioni «pornorivoluzionarie» di Goooood Secrets. Lo ha fatto con sobrietà, ma l’ha fatto.
Intendiamoci, la Cina è tutt’altro che un Paese puritano come vorrebbero i suoi leader. O meglio, lo è in superficie, mentre dietro le quinte si nasconde una società che fatica a conciliare la sfera pubblica, dominata dalla ferrea disciplina confuciana, con quella privata, in cui prevale la celebrazione taoista degli impulsi naturali, della fisicità e dell’irrazionale.
A livello pratico troviamo da una parte il rigore delle istituzioni, con le cicliche campagne di pulizia informatica che lo scorso febbraio hanno portato alla chiusura di 200 siti e oltre 6000 account per pornografia, terrorismo e altre attività ritenute illegali; un rigore che riscuote consensi a livello famigliare (la famiglia è la colonna portante della società, diceva Confucio), come dimostra il progetto Mum Judges, sito gestito da mamme-sentinelle incaricate di riportare alle autorità i contenuti osceni rilevati sulla base delle segnalazioni online dei netizen.
Dall’altra, c’è la trasgressione del privato. È lontano dai riflettori che avviene la riscoperta del «Tao», nei club delle megalopoli dove luci basse e alcol di scarsa qualità ispirano intrecci di lingue, baci saffici, palpate e tutto ciò che meno ci si aspetterebbe di vedere nell’ex patria dell’erotismo come patologia della «decadenza borghese e capitalista» (Mao Zedong).
Perché malgrado tutto, la Cina della censura spietata e della campagna antistravaganze è anche quella che vede decollare dating app quali Momo, 100 milioni di utenti nel 2014 di cui buona parte animati da desideri di natura scopereccia. È la «fabbrica del mondo» che con oltre 1.000 stabilimenti operanti su suolo nazionale conta per l’80 per cento della produzione mondiale di sex toy e annovera una serie di iniziative imprenditoriali «piccanti» tutte rigorosamente al femminile.
Se fino al 1997 il sesso prima del matrimonio veniva ritenuto illegale, una ricerca condotta dalla sessuologa Li Yinhe dimostra che il numero dei ragazzi ad aver fatto esperienze prima delle nozze è salito dal 15,5 per cento del 1989 al 71 per cento di due anni fa.
L’anno di partenza non è casuale. C’è tutta una scuola di pensiero che individua nel massacro di Tian’anmen una data spartiacque per la liberalizzazione dei costumi, in coincidenza con la necessità avvertita dalla leadership di trovare un più indolore sfiatatoio davanti alle crescenti richieste delle nuove generazioni. Quelle che sulla scia delle riforme e dell’apertura cominciavano ad ambire alle stesse libertà dei loro coetanei occidentali. A reclamare una rivalutazione del corpo inteso non più come la parte più infima dell’Io, ma come la diretta espressione dell’individuo dopo decenni di collettivismo maoista. Sino agli anni ’80 la pubblicazione di contenuti pornografici poteva facilmente costare la pena capitale, ora male che va si finisce con le manette ai polsi. È già qualcosa (si scherza).
Ma torniamo al Global Times. Nella Repubblica popolare la stampa, pur essendo strettamente controllata dall’alto, non di rado riesce a prendere vie traverse spingendo il dibattito pubblico ai limiti del consentito. D’altronde, se l’omosessualità – rubricata tra le malattie mentali fino al 2001- risulta ormai un topic di cui si può parlare persino in una corte di giustizia, lo dobbiamo proprio grazie al lavoro portato avanti in questi anni dai mass media. Nel 2011 era stato il China Daily ha prodursi con un pezzo bonario sul Gay Pride. Magari il Global Times ha già inconsapevolmente creato un precedente per le tematiche osé. O magari, come spesso accade, nel giro di qualche ora ogni traccia dell’Orgasmo Festival verrà ripulita dal web cinese come se nulla fosse.
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.