Il concetto di sicurezza nazionale è ormai entrato in tutti i gangli della vita politica, civile e culturale di Hong Kong. Compreso il cinema. Il quattordicesimo piano quinquennale 2021-2025 della Repubblica Popolare contiene nuove linee guida anche per l’industria cinematografica. In particolare, si chiede la produzione di un maggior numero di opere patriottiche, che sostengano “valori corretti” e “trasmettano lo spirito rivoluzionario”. L’articolo di Lorenzo Lamperti pubblicato in collaborazione con Gariwo
Un tempo Hong Kong era in the mood for love. Ma a poco più di due decenni di distanza dall’uscita del celebre capolavoro di Wong Kar-wai il porto profumato (significato letterale del nome della città in mandarino, Xiānggǎng) sembra in vena solo di chiusure. Sicurezza nazionale: è questa la nuova parola chiave che domina la vita dell’ex colonia britannica. A partire dall’entrata in vigore, il 30 giugno 2020, dell’omonima legge che ha di fatto prepensionato il modello “un paese, due sistemi”, che ufficialmente governa Hong Kong fino al 2047. Quando, nel 1984, Margaret Thatcher e Deng Xiaoping raggiunsero l’accordo per l’handover, poi compiutosi nel 1997, il mondo guardava con entusiasmo alla stagione di riforma e apertura lanciata dal “piccolo timoniere”.
Ma ora la Repubblica Popolare ha un nuovo timoniere che nella risoluzione storica del sesto plenum del 19esimo Comitato centrale del Partito comunista cinese, conclusosi nei giorni scorsi, viene lodato proprio per aver risolto la questione di Hong Kong dopo il caos causato delle proteste di massa del 2019. Con la pandemia di Covid-19, Xi Jinping ha intravisto una finestra di opportunità e non l’ha lasciata chiudere prima di accelerare una tendenza in realtà già in atto da tempo: la normalizzazione della regione amministrativa speciale.
La legge entrata in vigore nel giugno 2020 punisce coloro che si rendono responsabili di atti ritenuti di secessione, sedizione e sovversione. A luglio, il 24enne Tong Ying-kit è diventato il primo cittadino di Hong Kong a essere condannato sulla base della legge sulla sicurezza nazionale per le accuse di terrorismo e incitamento alla secessione dopo aver esposto una bandiera con la scritta “liberate Hong Kong, rivoluzione dei nostri tempi” alla guida di una motocicletta. La riforma elettorale ha colpito invece l’opposizione parlamentare. In poco più di un anno è calata la scure su una lunga serie di associazioni e gruppi indipendenti. A luglio sono stati arrestati cinque membri del sindacato dei logopedisti perché accusati di aver pubblicato libri per bambini “sediziosi“. Ad agosto si è sciolto l’Hong Kong Professional Teachers’ Union, che rappresentava l’80% degli insegnanti. Stessa sorte toccata all’ente organizzatore della veglia annuale per Tian’anmen, con la polizia locale che ha che ordinato la rimozione dei contenuti online dai profili degli attivisti dell’evento che solitamente si tiene, o meglio teneva, il 4 giugno. Centinaia di copie dell’ultimo numero della rivista dell’unione degli studenti del Politecnico di Hong Kong sono state ritirate dagli scaffali del campus perché presentavano contenuti che riportavano alcuni slogan delle proteste. E Amnesty International ha annunciato la chiusura dei suoi uffici sul territorio dell’ex colonia britannica. Le conseguenze si sentono anche sulla libertà di stampa. Secondo un sondaggio del Foreign Correspondents Club, l’84% dei giornalisti intervistati ha affermato che le condizioni di lavoro nella regione sono peggiorate, mentre il 56% ha confessato di essersi autocensurato nel proprio lavoro a partire dalla promulgazione della legge sulla sicurezza nazionale. Il noto quotidiano Apple Daily è stato costretto a chiudere e molti reporter hanno lasciato o stanno meditando di andarsene. Nei giorni scorsi non è stato rinnovato il visto alla corrispondente dell’Economist Sue-Lin Wong.
Il concetto di sicurezza nazionale è ormai entrato in tutti i gangli della vita politica, civile e culturale di Hong Kong. Compreso il cinema. Il quattordicesimo piano quinquennale 2021-2025 della Repubblica Popolare contiene nuove linee guida anche per l’industria cinematografica. In particolare, si chiede la produzione di un maggior numero di opere patriottiche, che sostengano “valori corretti” e “trasmettano lo spirito rivoluzionario”. Un esempio considerato virtuoso dalle autorità è quello del film “La battaglia del lago Changjin”, che racconta le vicende di soldati dell’Esercito popolare di liberazioni intenti a combattere le truppe statunitensi durante la guerra di Corea. Film che ha realizzato il record di incassi mondiali per il 2021, con quasi 900 milioni di dollari di introiti al botteghino cinese.
Gli stessi principi andranno applicati a Hong Kong, dopo che lo scorso 27 ottobre il consiglio legislativo ha approvato la nuova legge sulla sicurezza cinematografica. La nuova norma prevede che ogni film debba ottenere il via libera di un’autorità censoria chiamata a verificare che le opere non contengano elementi che possano mettere a rischio la sicurezza nazionale. I censori potranno revocare la licenza di distribuzione di qualsiasi pellicola che si ritiene violi la legge, mentre le sale cinematografiche o i luoghi nei quali verranno proiettati titoli ritenuti “contrari agli interessi della sicurezza nazionale”. Gli esercenti rischiano una pena massima di tre anni di carcere e multe fino a un milione di dollari di Hong Kong, circa 110 mila euro. Opporsi alle misure per via giudiziaria sarà possibile ma con un percorso lungo e irto di ostacoli. Per fare appello non si potranno, infatti, utilizzare i canali consueti ma si dovrà passare ma si dovrà avviare un riesame giudiziario con una costosa procedura legale. Il regista Kiwi Chow, che lo scorso anno ha presentato al Festival di Cannes un documentario sulle proteste del 2019, sostiene che la nuova legge non aumenterà la sicurezza nazionale, come sostengono le autorità, ma solo “l’autocensura e la paura tra i filmmakers“.
Non è tutto. Le misure si applicano anche sui film già usciti. Ciò significa che servirà un’approvazione per proiettare pubblicamente una delle pellicole del passato. Un passato a dir poco glorioso per la cinematografia di Hong Kong, che ha spesso dato vita a tendenze che hanno conquistato il cinema a livello globale. Dalle arti marziali di Bruce Lee a quelle di Jackie Chan, dai thriller di John Woo e Tsui Hark fino alla narrazione non lineare di Wong Kar-wai, il cinema di Hong Kong ha alle spalle un vasto patrimonio di registi, stili, generi, atmosfere. Il rischio è che il futuro possa essere lontano dal titolo della celeberrima saga avviata proprio da Woo negli anni Ottanta: A Better Tomorrow.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.