Malinconico e avvincente, La città indelebile di Louisa Lim (Add Editore, 2023) racconta la storia di Hong Kong: dall’occupazione britannica nel 1841 fino all’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale nel giugno 2020. Un libro a metà tra il memoir e il racconto giornalistico. Ma anche una ricostruzione storica puntuale della battaglia intrapresa da Hong Kong per sfuggire a un destino quasi segnato.
Ex colonia britannica, regione amministrativa speciale, Porto Profumato, capitale finanziaria d’Asia. C’è persino chi la chiama erroneamente “città-stato”. Crocevia di culture a cavallo tra Oriente e Occidente, Hong Kong è per sua natura sfuggente. Descriverla non è cosa semplice. Ci è riuscita magistralmente Louisa Lim, giornalista e autrice di La città indelebile, portato in Italia da Add Editore. Un libro a metà tra il memoir e il racconto giornalistico. Ma anche una ricostruzione storica puntuale della battaglia intrapresa da Hong Kong per sfuggire a un destino quasi segnato: quello che la vuole trasformare da simbolo di dinamismo e modernità asiatica in una città cinese come tante. Proprio mentre Shenzhen, la “Silicon Valley” cinese, si erge vibrante al di là del mare.
Malinconico e avvincente, il volume attraversa un secolo e mezzo di stravolgimenti: dall’occupazione britannica nel 1841 fino all’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale nel giugno 2020. Un secolo che ha visto il popolo hongkonghese venire travolto dagli eventi. Un secolo e mezzo in cui la storia dell’isola è stata scritta e riscritta più volte: anticamente raffigurata nelle mappe cinesi come “quattro scogli aguzzi”, in epoca coloniale Hong Kong è diventata la città immaginaria dei britannici tutta scuole, ospedali, polizia e decoro. Oggi è “la città sottratta con le armi dagli inglesi”, come la vuole Pechino: una Hong Kong “che non è mai stata uno scoglio, bensì da sempre un deposito di tradizione cinese secolare”.
Lim infatti è molto equa nel distribuire le responsabilità del lento declino di Hong Kong, annessa dalla Corona come trofeo di guerra per una scelta quasi casuale. Se al termine delle guerre dell’oppio gli abitanti di Hong Kong furono solo “sommariamente informati che la loro nazionalità era cambiata”, con la stessa incuria – cento anni dopo – gli inglesi non si diedero alcuna premura di coinvolgere la popolazione locale nei negoziati per il ritorno della città alla Cina. Piuttosto presero per buone le evanescenti promesse di Deng Xiaoping a favore di un’autonomia a lunga scadenza: trascorsi quarant’anni “un paese, due sistemi” è diventato solo uno slogan, mentre il suffragio universale resta una chimera.
Intrecciando passato e presente, l’autrice dà voce a calligrafi ribelli, archeologi in protesta, attivisti e manifestanti. I caratteri sbilenchi con cui il “Re di Kowloon” sfidò i colonizzatori negli anni ‘80 rivivono nei post-it affissi in strada durante le più recenti proteste pro-democrazia. Proprio il lato umano del racconto è una delle caratteristiche più preziose del libro. Anche per le forti connotazioni autobiografiche.
Nata in Inghilterra da padre cinese, ma cresciuta a Hong Kong, la giornalista vive sulla propria pelle il tema dell’appartenenza. Lim ammette che la neutralità professionale abbia più volte vacillato nel vedere sgretolarsi quel mondo a lei così familiare. Non solo perché l’ascesa economica della Cina ha messo in crisi le vecchie certezze degli hongkonghesi, “da sempre abituati a considerarsi più ricchi, più moderni, più tecnologicamente all’avanguardia della gente del continente”. Dal ventre delle proteste pro-democrazia è nato un movimento localista – hongkonghese doc – che mal tollera persino i “mezzosangue” come lei. Serviranno i fumogeni e le cariche della polizia per capire che essere hongkonghese ormai non vuol dire più identificarsi dentro precisi confini etnici o geografici: vuol dire appartenere a una comunità politica, nata dall’immaginazione e unita dalle avversità. Uno stato d’animo che nemmeno l’esilio volontario potrà cambiare.
Di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.