Mentre per la prima volta negli ultimi dieci anni Hong Kong entra in recessione economica, è giunta la notizia della seconda vittima del clima di tensione che si è creato nell’ex colonia britannica. Dopo lo studente di 22 anni deceduto a seguito di una caduta dal terzo piano di un parcheggio per sfuggire ai lacrimogeni della polizia, è morto anche il 70enne ferito da un mattone lanciato da un manifestante mercoledì. E sullo sfondo della situazione che pare inestricabile (le scuole sono ancora chiuse, solo ieri ci sono stati 86 arresti, mentre molti studenti stranieri hanno cominciato ad abbandonare le università divenuti nuovi campi di battaglia tra polizia e manifestanti), è arrivato il monito del presidente cinese Xi Jinping da Brasilia, dove a margine della riunione dei Brics ha nominato per la prima volta Hong Kong, avvertendo sulla volontà cinese di ripristinare l’ordine il prima possibile e di non tollerare alcuna ingerenza che metta a rischio la dottrina “un paese due sistemi”.
In attesa di nuove manifestazioni l’aria a Hong Kong si è fatta più pesante, se possibile, delle settimane precedenti. La fiducia confermata da Xi nei confronti di Carrie Lam e della polizia dell’ex colonia britannica, non sembrano propriamente un invito a dialogare con i manifestanti, ormai considerati da Pechino alla stregua di rivoltosi. Nel succedersi delle notizie e dei rumors, ieri il Global Times, quotidiano nazionalista di Pechino, aveva lanciato un tweet sulla possibilità che a Hong Kong venisse stabilito il coprifuoco. L’editor in chief del quotidiano, sempre su Twitter, si è poi spiegato dicendo che in realtà si trattava di una notizia non verificata: per questo, ha twittato, il tweet precedente del giornale era stato eliminato.
Ma se non sarà coprifuoco, di sicuro dopo le parole di Xi Jinping la polizia di Hong Kong non avrà certo problemi a continuare sulla china intrapresa, una repressione pesante nei confronti dell’ala più dura dei manifestanti che tiene ancora in scacco parecchie zone della città nel momento in cui decide di agire.
La crisi economica
La situazione di Hong Kong è poi ulteriormente complicata dai dati economici: la crescita si sarebbe ridotta del 3,2 per cento tra luglio e settembre, proprio in concomitanza con l’inizio e l’intensificarsi delle proteste e il prodotto interno lordo (Pil) si è contratto per il secondo trimestre consecutivo, trascinando l’ex colonia britannica in quella che viene definita tecnicamente recessione. Senza vedere una fine alle proteste in corso, gli analisti – come riportato da Agenzia Nova – avvertono che il centro finanziario e commerciale rischia potenzialmente un crollo più lungo e più profondo rispetto alla crisi finanziaria globale nel 2008-2009 e a quello dell’epidemia Sars nel 2003. Secondo i dati, rispetto all’anno precedente, l’economia si è contratta del 2,9 per cento.
“La domanda interna è peggiorata in modo significativo nel terzo trimestre, poiché gli incidenti sociali locali hanno pesato pesantemente gravato sulle attività legate al consumo e le deboli prospettive economiche hanno pesato sui consumi e sulla fiducia degli investimenti”, ha affermato il governo in una nota. Situazione ancora più complicata se si pensa che Pechino sembra ormai aver deciso di affidare tutte le risorse economiche e finanziarie a Shenzhen, nonostante XI Jinping abbia sottolineato, senza mai nominare l’ex colonia, la necessità di occuparsi del benessere anche di quell’area. È evidente che la crisi non fa che acuire le ragioni della protesta, specie di quella parte dei manifestanti che hanno rivendicazioni di natura più sociale che non solo politica e “indipendentista”.
Le parole di Xi
“Continueremo a sostenere fermamente il capo esecutivo nel guidare il governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong a governare in conformità con la legge, a sostenere fermamente la polizia nel far rispettare rigorosamente la legge e gli organi giudiziari nel punire severamente i criminali secondo la legge”, ha detto Xi Jinping, secondo quanto riportato dalle agenzia di stampa statali cinesi a Brasilia. Il presidente ha affermato che il governo cinese è deciso a proteggere la sovranità nazionale e gli interessi in materia di sicurezza e sviluppo, oltre ad attuare la politica “Un paese, due sistemi” e opporsi a qualsiasi forza esterna che interferisca negli affari di Hong Kong. Si tratta della prima volta che Xi nomina direttamente Hong Kong e le sue parole non sembrano proprio l’invito a un dialogo.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.