Hong Kong in crisi di identità

In by Simone

Hong Kong e la Cina continentale sono sempre più unite eppure sempre più diverse. Un conflitto che si ripercuote sull’educazione e sul modo di vivere e che fa pensare che la città stia attraversando una vera crisi di identità. Intervista con Chan Ho Kei autore di Duplice delitto a Hong Kong

All’inizio dell’anno furono le locuste, termine con cui un quotidiano di Hong Kong denigrò le cinesi che andavano a partorire nell’ex colonia britannica per aggirare i limiti della pianificazione familiare e usufruire di migliori servizi.

Di contro, per parte dei nazionalisti cinesi, gli hongkonghesi sono stati definiti “cani bastardi”, incapaci di parlare il mandarino. A coniare il termine in televisione un professore in risposta a un video pubblicato su Youtube di un litigio sulla metro di Hong Kong tra cinesi che mangiavano sui vagoni e locali indignati per la mancanza di rispetto.

Trascorsi 15 anni dal ritorno alla Cina il rapporto con l’ex colonia continua a essere problematico. L’ultimo episodio in ordine di tempo è la protesta contro l‘istruzione patriottica, ossia il progetto che avrebbe dovuto introdurre nelle scuole programmi di educazione nazionale e morale per avvicinare i giovani alla Cina.

Hong Kong città a metà, con diverse identità quindi. Un tema che ricorre in Duplice delitto a Hong Kong (edizioni Metropoli d’Asia) noir cui l’ex colonia fa da sfondo. China Files ne ha parlato con l’autore, Chan Ho Kei, in una conversazione che ha cercato di spigare i rapporti tra la città e il Continente.

Soprattutto nella prima parte del libro si fa riferimento allo sviluppo di Hong Kong? Com’è cambiata la città in questi anni?

 
Lo sviluppo recente di Hong Kong è troppo veloce. Non contesto le nuove infrastrutture come le linee ad alta velocità o i nuovi palazzi governativi. Penso tuttavia che lo sviluppo debba essere il risultato di una pianificazione che ora non c’è.

In Cina sia il governo sia la popolazione puntano a uno sviluppo che rifletta i successi del Paese, ma senza considerate sicurezza e questioni ambientali. L’incidente ferroviario di Wenzhou a luglio del 2011 o le alluvioni a Pechino lo scorso luglio sono soltanto degli esempi. Questi disastri si sarebbero potuti evitare se lo sviluppo avesse seguito una logica.

Temo che Hong Kong si troverà ad affrontare problemi simili, non soltanto di sicurezza, anche culturali e di vita. Nell’ultimo decennio la città è cambiata. Abbiamo avuto battute d’arresto come l’epidemia di Sars del 2003 e la crisi finanziaria del 2008. I capitali cinesi hanno aiutato Hong Kong a risollevarsi. Tuttavia il risultato ha un sapore agrodolce.

Con il massiccio afflusso di turisti dal Continente i negozi di lusso fanno profitti, i prezzi salgono e i piccoli commercianti sono costretti a lasciare diversi quartieri. Lo stesso vale per gli affitti degli appartamenti, saliti alle stelle.

Il coefficiente di Gini ha toccato un livello mai raggiunto in precedenza. In passato gli hongkonghesi erano convinti che lavorare duramente sarebbe stato sufficiente per un buona carriera e migliori condizioni di vita. Ma ora il costo della vita continua a salire e iniziano a nutrire dubbi sul proprio futuro.

Certo abbiamo il vantaggio di vivere in una città ricca, pulita, bella, ordinata e funzionale, ma il morale dei cittadini è basso. Vorremo riforme. Personalmente non sono troppo ottimista, ma il tempo ci darà le risposte.

Nel libro si fa riferimento alla canzone The man who sold the world di David Bowie. Il testo parla di doppie personalità. Forse un po’ come quella degli hongkonghesi stretti tra la propria storia di autogoverno della città e i rapporti con il Continente. Esiste questo fenomeno?

 
Non userei il termine “doppia personalità, parlerei invece di crisi d’identità. Si può vivere con due personalità. Penso a Bruce Wayne che è sia Batman sia un milionario allo stesso tempo. I problemi emergono soltanto quando le identità sono in conflitto.

La cultura del Continente è totalmente diversa da quella di Hong Kong. Non si tratta semplicemente di Oriente contro Occidente. Si tratta di due differenti modi di pensare. Nel Continente le persone pensano sia loro dovere amare il Paese e sostenere il governo. Ad Hong Kong che sia indispensabile sottolineare ciò che non va, così che gli errori si possano correggere.

Il governo ha allo studio l’imposizione dell’istruzione nazionale e morale fin dalla scuola elementare affinché i bambini imparino i valori positivi dell’essere cinese. Per molti cittadini di Hong Kong questo porterà i propri figli a perdere il senso critico.

Vogliamo conservare la nostra identità di honkonghesi, ma allo stesso tempo confrontarci con la nostra identità cinese. Il conflitto non si fermerà. Si ripete in diverse forme: con il mandarino contrapposto al cantonese, con i caratteri tradizionali contrapposti a quelli semplificati, con il confronto tra immigranti e locali.

Lo scorso luglio è stato celebrato il 15esimo anniversario del ritorno di Hong Kong alla Cina. Come vedi questi anni, quali cambiamenti ci sono stati?

 
Penso che il cambiamento principale sia il sempre maggiore interesse delle persone per la politica. Non credo che a Pechino ci si aspettasse questo, ma lo ritengo un buon segno. La politica di “un Paese, due sistemi” prevede che Hong Kong abbia una forma di autogoverno dove i cittadini hanno il proprio ruolo. Se nessuno se ne interessa chi governerà? Nonostante le dispute penso che Pechino continuerà con questa politica.

Negli ultimi 15 anni soltanto una parte dei cambiamenti è però dovuta al ritorno alla Cina. Anche senza ci sarebbero state la Sars e la crisi finanziaria. Certo la Cina aumenterà la propria influenza qui come nel resto del mondo, ma non tutto però dipende da quel luglio di 15 anni fa. Dopo tutto Hong Kong resta una città strana e affascinante con tutte le sue diverse culture mescolate tra di loro.