Vittoria netta alle elezioni locali di Hong Kong delle forze anti-governative, capaci di strappare la quasi totalità dei seggi distrettuali alle forze «filo-Pechino» nell’unica chance a suffragio universale prevista dalla Basic Law, la costituzione dell’ex colonia britannica.
Si tratta di un risultato ottenuto dopo qualche giorno di tranquillità – seguito a settimane di intensi scontri tra polizia e manifestanti e mesi di proteste – e che apre nuovi scenari politici nel confronto tra Cina, governo locale e manifestanti.
Bisogna infatti ricordare che le elezioni distrettuali, in passato, comprese le ultime nel 2015, quando votò poco più di un milione di persone, erano state snobbate dalla popolazione di Hong Kong.
Ma quelle svoltesi domenica nell’ex colonia assumono un significato e risvolti del tutto nuovi. Le urne non dovevano solo farci capire un generale «sentimento» nei confronti delle proteste, perché c’era de votare per i seggi dei collegi distrettuali, fino a ieri tutti in mano alle forze politiche «pro-Pechino»; le attività dei consiglieri sono decisamente locali e pratiche e hanno a che fare con la gestione quotidiana del territorio, la viabilità, la spazzatura, ma il «peso» politico diventerà più incisivo quando ci saranno le «elezioni» del nuovo capo di governo dell’ex colonia: tra i 1.200 che compongono il «comitato elettorale», 117 sono proprio i consiglieri distrettuali.
ECCO CHE LA TORNATA elettorale assume dunque un significato che può proiettarsi nel futuro politico di Hong Kong, oltre che sul presente: le elezioni del nuovo chief executive, a meno di sorprese in arrivo da Pechino, si svolgeranno nel 2022. E nel 2020 sarà la volta del Consiglio legislativo, solo parzialmente eletto a suffragio universale. Naturalmente il voto di domenica serviva primariamente a misurare la forza elettorale delle proteste in corso da cinque mesi, ma questa proiezione in avanti sulla funzione dei consiglieri, rende più chiaro perché il voto di ieri non riguardava soltanto il presente della città.
LA VITTORIA del fronte anti-governativo è stata schiacciante e inesorabile (17 distretti su 18, 396 seggi su 452; il blocco pro-establishment ha mantenuto i restanti 56 seggi): dopo mesi di proteste, con momenti di scontri violenti tra manifestanti e polizia, la cittadinanza chiamata al voto, circa 3 milioni di persone su un totale di 8 milioni di abitanti, dunque una percentuale importante, ha deciso di punire il governo di Hong Kong e – di rimbalzo – la politica cinese nell’ex colonia.
IN NON POCHI RITENEVANO che la popolazione di Hong Kong avrebbe votato per le forze di governo stanca di disagi e confusione, non tenendo conto però di un fattore fondamentale: le ultime elezioni distrettuali c’erano state nel 2015, in questi 4 anni la protesta del 2014 – quella «degli ombrelli» – ha covato, attivato cittadini, comitati e più in generale aizzato un sentimento anti-cinese molto forte soprattutto tra i giovani, molti dei quali nel 2015 non votarono.
Il risultato infatti va considerato non solo come una vittoria del fronte «democratico», ma come una generale «riattivazione» di una parte della popolazione che non andava votare e che, considerando la repressione della polizia e le istanze dei tanti giovani in piazza, ha deciso di prendere parte, anche solo attraverso il voto (senza dimenticare che oltre il 40% dei votanti è compresa tra 20 e 29 anni).
LE REAZIONI, naturalmente, non si sono fatte attendere. Il capo esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, ha dichiarato subito dopo l’ufficialità dei risultati che la sua amministrazione «ascolterà con umiltà» le istanze dell’opinione pubblica: «Il governo ascolterà certamente con umiltà l’istanza dei cittadini e rifletterà a fondo su di esse», ha detto Carrie Lam, ormai esautorata e completamente senza la fiducia della popolazione di Hong Kong, tramite una nota ufficiale diffusa dal governo della regione speciale cinese.
LA CINA HA PARLATO per bocca del ministro degli esteri Wang Yi: «Hong Kong è parte integrante della Cina qualunque cosa accada» e ieri mattina attraverso il portavoce del ministero degli esteri cinesi: «Fermare la violenza e ripristinare l’ordine è il compito fondamentale di Hong Kong al momento», ha specificato Geng Shuang, in richiesta a un commento sui risultati delle elezioni del consiglio distrettuale nell’ex colonia britannica.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.