La stretta sui social media stranieri promossa dal presidente Modi negli ultimi mesi ha silenziato l’opposizione e dato segnali di distacco alla Cina. Ma ha anche dato vita a una serie di app e social media locali che promuovono la biodiversità linguistica indiana
La riforma agraria lanciata dal governo Modi nel 2020 incontrò un largo dissenso non solo da parte dei contadini, ma anche di attivisti e civili che si mobilitarono per manifestare e protestare contro la nuova normativa. Allora la notizia trapelò anche all’estero, occupando le prime pagine dei giornali internazionali che in modo unanime si espressero a sostegno degli agricoltori. Lo scorso novembre, dopo oltre un anno di proteste, il PM indiano Modi fu costretto a rinunciare alla tanto voluta riforma agraria, ritirandola a pochi mesi dalle elezioni in Uttar Pradesh.
In questo lungo e sofferto periodo di crisi, il PM indiano Narendra Modi ha sfruttato l’occasione per agire su più fronti: silenziare l’opposizione dando al tempo stesso un netto segnale alla Cina.
A maggio 2020, il governo indiano accusò oltre 50 app cinesi di violare la privacy degli utenti, di promuovere la fuga di notizie false e di incitare i cittadini alla protesta. Il governo Modi affermò che le app cinesi in questione raccoglievano dati illegalmente e utilizzavano deliberatamente le informazioni degli utenti quando queste venivano scaricate sui loro telefoni. Tik Tok, come altre app cinesi, vennero di conseguenza bandite dal Paese per “questioni di sicurezza nazionale”.
Dopo il suo lancio nel 2016, TikTok, la popolare app che permette agli utenti di realizzare e condividere brevi video, era diventata una delle piattaforme più utilizzate in India dopo WhatsApp, Facebook e Twitter. A giugno 2020, l’app fu vietata poiché accusata di “minacciare la sovranità e l’integrità dell‘India”, secondo la Sezione 69 dell’Information Technology Act. Dopo poco più di sei mesi, TikTok chiuse i propri stabilimenti licenziando 2.000 dipendenti. Per la società che possiede l’app, ByteDance, questa decisione fu sicuramente un duro colpo dal momento che l’India era il più grande mercato internazionale dopo la Cina con circa 200 milioni di utenti attivi al mese.
TikTok non è l’unica app ad essere finita nel mirino dell’amministrazione indiana. Nel bel mezzo delle manifestazioni contro la riforma agraria, il governo Modi chiese a Twitter di esercitare un maggiore controllo sui contenuti pubblicati dai suoi utenti, minacciando nuovamente di bandire la piattaforma. Dopo qualche pressione, Twitter annunciò di aver bloccato più di 500 account che, secondo il governo indiano, erano responsabili di diffondere notizie false ed infamatorie riguardo lo stesso premier ed il partito al potere (BJP), oltre ad incoraggiare ed incitare i cittadini alla protesta. Modi, attento ad eliminare il pubblico dissenso sui social media, ebbe la meglio ed i profili Twitter di migliaia di giornalisti ed attivisti indiani furono bloccati.
Gli imprenditori indiani colsero questo momento per lanciare una serie di nuove app, come Koo, Moj Lite e Josh, proprio pensate per sostituire le piattaforme cinesi appena vietate nel Paese. Koo, di proprietà della Bombinate Technologies Pvt Ltd, fu fondata i primi mesi del 2020 da Aprameya Radhakrishna e Mayank Bidwatka (che potete ascoltare in questa intervista realizzata dal Financial Express Online). La piattaforma, che sfoggia un uccellino giallo come icona, è un social network che permette agli utenti di postare, condividere immagini e video anche con persone sconosciute. Originariamente in lingua kannada, ora l’app è disponibile anche in inglese, hindi, tamil, telugu, assamese, gujarati, bangla e marathi.
La stessa azienda, Bombinate Technologies Pvt Ltd, lanciò la versione indiana di Quora (Q&A), Vokal. Questa, come Quora, permette di fare domande su qualsiasi tema e chiunque può rispondere ai quesiti postati nella piattaforma. Fondata dagli stessi ideatori di Koo, Vokal è attualmente disponibile in 15 lingue, dando voce a quella parte della popolazione indiana che non conosce l‘inglese. Ma l’applicazione fa fronte anche ad un altro problema, quello dell’analfabetizzazione. Gli utenti possono infatti registrare la domanda con un messaggio vocale o un video senza la necessità di scriverla. Il business si è rilevato molto proficuo, nel 2019 l‘app registrava già due milioni di utenti al mese. Lo stesso vale per Koo, che ha recentemente superato la soglia dei 15 milioni.
Il divieto di utilizzo più di 50 app da parte del governo indiano è indice di una chiara presa di posizione nei confronti delle aziende cinesi presenti nel Paese. Secondo Modi, l’India del futuro è autonoma, autosufficiente e “libera” dall’egemonia cinese, anche quando si parla di realtà virtuale e social network. Piattaforme come Koo, Josh e Vokal si inseriscono perfettamente in questo schema. By Indians for Indians, queste applicazioni hanno ricevuto tutto il supporto del governo indiano e del suo PM, Narendra Modi, che ha utilizzato la sua popolarità sul web (come altri politici) per incoraggiare i cittadini a scaricare la nuova app.
Se si lascia un attimo da parte la preoccupante influenza e controllo di Modi sui media nazionali ed internazionali, bisogna ammettere che queste piattaforme sono accurate, sensibili e modellate sulle esigenze e specificità indiane. Un caso simpatico è rappresentato dal folle amore degli indiani per il cricket, che in Koo costituisce una categoria a parte.
Costruite su misura per soddisfare ed essere utilizzate da una delle popolazioni più multilingue al mondo, queste app sono anche pronte a rispondere e “risolvere“ la sfida tecnologica dettata dal multilinguismo, tratto caratteristico del Paese. Infatti, Koo, Vokal, ShareChat, Josh sono disponibili in diverse lingue regionali riconosciute dalla Costituzione indiana, tra cui kannada, marathi, tamil, telegu, gujarati, bangla, assamese. I fondatori di Koo e Vokal hanno confermato che pian piano saranno aggiunte tutte le maggiori lingue indiane, permettendo alla popolazione che non conosce l’inglese o lo hindi (assai frequente soprattutto nel sud del Paese) di poter comunicare nella propria lingua nativa.
A parte la disponibilità delle app in più lingue, gli sviluppatori indiani hanno tenuto conto del bi/multi-linguismo degli utenti anche nell’ideare funzionalità utili a favorire una sorta di comunicazione “multi-direzionale”. Grazie a queste app di ultima generazione, gli utenti sono in grado di scrivere, pubblicare e condividere contenuti in più lingue indiane e/o in inglese scegliendo tra le seguenti opzioni: scrivere manualmente, dettare tramite un audio o utilizzare un traduttore automatico suggerito dalla piattaforma. Ecco una prova di come la tecnologia possa aiutare a proteggere e salvaguardare le lingue regionali e locali promuovendo una comunicazione multilingue senza dover limitare o influenzare l’utente.
Il largo successo riscontrato da queste applicazioni “regionali” fa ben sperare per lo sviluppo e la presenza delle lingue vernacolari indiane nel web. Colossi internazionali come Google e Microsoft si stanno già adoperando per tradurre e sviluppare contenuti in diverse lingue dell’India, per raggiungere ed attirare sempre più utenti di un paese che, con una popolazione di un miliardo e 391 milioni, rappresenta un allettante mercato in continua crescita. Nonostante sia il business il motore trainante di questa riscoperta attenzione per la biodiversità linguistica, piattaforme come Koo, Josh e Vokal sono un segno di speranza per il mantenimento della ricca diversità linguistica dell’India.
Di Maria Casadei*
*Laureata Magistrale in Lingue e Culture Orientali con specializzazione hindi e urdu. Attualmente è dottoranda in sociolinguistica a Cracovia, in Polonia. Appassionata di Asia, lingue, cinema e letteratura, scrive per myindia e VeNews, per il quale si occupa delle recensioni di film indiani/dell’Asia meridionale in concorso alla Biennale di Venezia.