A chi appartiene l’altra “metà del cielo”? Su Banbiantian (半边天 “metà del cielo”) raccontiamo le storie di chi in Asia orientale lotta per la giustizia di genere in tutte le sue declinazioni. In questa puntata proponiamo un’intervista a Henry Tse, attivista transgender di Hong Kong che ha vinto la battaglia legale per il riconoscimento del cambio di genere sul documento d’identità.
“Quando vai in banca e ti chiamano ‘miss’ quando è il tuo turno è come se ti facessero outing ogni volta. Ti chiamano con il pronome sbagliato e tutti ti fissano. Quando ti alzi puoi leggere negli occhi delle persone che si stanno chiedendo ‘perché chiamano questo ragazzo con il pronome femminile?’”.
Henry Edward Tse, attivista transgender originario di Hong Kong, ha trascorso gli ultimi sei anni tra tribunali e azioni di sensibilizzazione per cambiare quella cultura, anche giuridica, che gli impedisce di essere riconosciuto come uomo. La causa per il riconoscimento del cambio di genere sui documenti di identità di Hong Kong è arrivata fino alla Corte finale di appello, e a febbraio 2023 ha portato a casa la vittoria finale. Stringeva in una mano la bandierina blu, rosa e bianca della comunità trans e nell’altra un faichun – tipica decorazione usata durante il Capodanno lunare – con su scritto: “causa vinta!”. Grazie a Henry, l’intervento chirurgico completo non è più un requisito fondamentale. Ma tra la teoria e la pratica c’è sempre di mezzo la burocrazia: il Dipartimento per l’Immigrazione di Hong Kong non ha ancora approvato le richieste di modifica, 3 mesi dopo.
Dopo aver studiato nel Regno Unito e aver cambiato il suo passaporto una volta svolta la transizione “F-to-M”, anni fa, Henry ha deciso di tornare a Hong Kong accettando un’offerta di lavoro nella regione ad amministrazione speciale cinese. Il nuovo lavoro si svolgeva presso “un’organizzazione che ha una specie di policy LGBT+ friendly”, racconta, “quindi avrei avuto un certo tipo di protezione. Per questo ho deciso di tornare”. È ancora raro anche per le aziende avere un occhio di riguardo per le istanze della comunità queer. “Il lavoro era perfetto, mi piaceva, ho imparato molto. Ma fuori dal mio lavoro ho iniziato ad avere questi problemi legati al fatto che sono tornato uomo e non sono riuscito a cambiare la mia ID card”.
A Hong Kong occorre avere il documento di riconoscimento con sé per svolgere anche le più semplici attività quotidiane. “La polizia può controllarla in ogni momento, ti metti nei guai se non la hai con te. Non puoi usare nessun documento alternativo come la patente o il passaporto. Quindi non essere riuscito a fare il cambio di genere mi ha causato problemi”, racconta Henry. Per legge, tutti i residenti che abbiano compiuto 15 anni e chiunque soggiorni in città per più di 180 giorni è tenuto a richiedere la smart ID al Dipartimento Immigrazione. Il suo utilizzo è stato introdotto quando Hong Kong era ancora sotto il dominio britannico, per limitare il numero di persone che immigravano dalla Cina continentale. Oggi serve la carta d’identità per andare in banca e per accedere ad alcuni luoghi pubblici e ai servizi sanitari. Sul documento bisogna specificare il sesso, “M” o “F”. Un binarismo che ha effetti concreti sull’accesso delle persone transgender alla vita pubblica della città. “Non sono più andato in piscina, né in nessun altro luogo in cui il mio genere fosse messo in questione. Ho smesso in andare in banca, preferivo usare il bancomat”.
Hong Kong riconosce il cambio di genere solo se ci si sottopone a un intervento chirurgico che annulli la capacità riproduttiva delle persone transgender. “L’evidenza medica è sempre stata obbligatoria, ma il requisito di sterilizzazione completa è stato aggiunto solo 11 anni fa, quando il caso W era in corso”. Henry racconta che se si accede alle statistiche sulle persone che hanno cambiato il documento di riconoscimento in questo senso, ci si accorge gli uomini transgender che sono riusciti a rispettare questi requisiti eccezionali sono forse una o due. Queste normative sono molto rigide. “Chiedono la sterilizzazione completa e addirittura la costruzione di un pene artificiale”.
La nuova decisione della cort di Hong Kong è importante perché altri Paesi potrebbe seguirne l’esempio. Ad esempio, il tribunale amministrativo di Taiwan ha preso una decisione simile su una specifica donna trans nel 2021, anche se la sentenza non è applicabile ad altre persone trans. La vittoria di Henry, comunque, potrebbe rappresentare un precedente di inestimabile valore.
La strada per una legge sul riconoscimento di genere coerente e omnicomprensiva è ancora lontana. “Costringere le presone trans ad affrontare tutte questi problemi per il riconoscimento di genere è faticoso, una tortura inumana”. Secondo Henry il governo si oppone perché sostiene che l’autorizzazione a usare un genere diverso creerebbe “caos” nella società. In una delle sentenze dei tribunali di grado inferiore è stato menzionato il caso estremo del rischio nucleare. “In questo caso la politica corrente prevede uomini e donne sono si dividano, si spoglino nudi e si lavino via le scorie nucleari radioattive. Quindi se non hai fatto l’intervento chirurgico, puoi causare confusione”.
La comunità queer di Hong Kong è già stata coinvolta in un altro caso che riguardava il riconoscimento della transizione di genere. Dieci anni fa si è concluso il W case sui matrimoni intersessuali, che secondo Henry è stato fondamentale affinché lui potesse ottenere la sua vittoria finale lo scorso febbraio Si trattava, in realtà, di un matrimonio eterosessuale tra una donna transessuale che si era sottoposta ad intervento chirurgico e il suo fidanzato di allora. In seguito a questo caso, nella regione ad amministrazione speciale era stato istituito un Gruppo di alvoro interdipartimentale sul riconoscimento di genere, ma secondo Tse lavora a rilento e non sembra davvero intenzionato a trovare una soluzione nel breve tempo. “È solo una coltre di fumo”, dice, “per ritardare ulteriormente l’azione sulla scottante questione della legislazione sul riconoscimento del genere”.
L’attivismo è ormai parte integrante della vita di Tse. La battaglia che ha ingaggiato per vedersi riconosciuti i suoi diritti moltiplicherà i suoi benefici per tutte le persone transgender di Hong Kong. Nel 2020 ha creato la sua organizzazione “Transgender Equality in Hong Kong”, che si occupa di sensibilizzazione e mobilitazione sul tema dei diritti delle persone transgender. Ha anche lavorato alla pubblicazione dell’opuscolo Transmen in Hong Kong: Visibility vs. Invisibility. “Adesso continuiamo ad andare avanti. Non posso rivelarti tutti i miei piani, ma li vedrai presto”.
Durante il Transgedner Visibility Day, a marzo, ha organizzato un mini raduno (poiché le grandi manifestazioni pubbliche sono sostanzialmente vietate ora nella a Hong Kong) fuori dal Dipartimento per l’immigrazione. Le persone chiedevano al governo di attenersi alla sentenza del tribunale della sua causa. “Continueremo a lavorare sulla questione”, ha detto, “sentirete ancora parlare di noi”.
[Articolo modificato il 6 maggio 2023]
A cura di Agnese Ranaldi
Laureata in Relazioni internazionali e poi in China&Global studies, si interessa di ambiente, giustizia sociale e femminismi con un focus su Cina e Sud-est asiatico. Su China Files cura la rubrica “Banbiantian” sulla giustizia di genere in Asia orientale. A volte è anche su La Stampa, il manifesto, Associazione Italia-Asean.