Come gli spaghetti, i fuochi d’artificio, la carta e la polvere da sparo, i cinesi reclamano ogrogliosi la paternità anche del calcio. Davide Vacatello, sinologo e amico di China Files, ha riassunto la tragicommedia del calcio in Cina. Per gentile concessione di Crampi Sportivi, in questo "uno-due" zemaniano, la trovate qui sotto.
Vi siete mai chiesti perché Holly e Benji non hanno mai affrontato la nazionale cinese? Chi ha buona memoria ricorda match leggendari contro la compagine thailandese o addirittura la nazionale del Guam, ma del “dragone” nemmeno l’ombra. Eppure la storia del calcio ha avuto i suoi natali proprio nella terra di mezzo, tra ciotole di riso, eserciti di terracotta e muraglie di tofu.
La storia dello sport in Cina è strettamente legata alla creazione di una forte identità nazionale. La cultura della cura del fisico e della salute ha forgiato la classe di rivoluzionari delle opposte fazioni che hanno costruito il moderno Stato-nazione cinese sulle ceneri del celeste impero. Nell’aprile del 1917 il prestigioso mensile Nuova Gioventù pubblica a Pechino il saggio Uno studio sull’educazione fisica, firmato da un giovane Mao Zedong; nel 1924, nella Repubblica di Cina dei “signori della guerra”, nasce la nazionale di calcio cinese.
Se l’obiettivo a lungo termine, pur nobile, era probabilmente quello di concentrare le emozioni dei milioni di appassionati sportivi attorno alle gesta calcistiche del colosso d’oriente, la squadra nazionale di calcio negli anni ha finito per incarnare il simbolo più evidente del fallimento degli sforzi cinesi nel tentativo di avere indietro quello status di potenza internazionale che le spettava di diritto nel periodo imperiale della “terra di mezzo”. Ma sui fasti del team della “grande muraglia”, nickname decisamente improprio considerate le scarse capacità difensive dell’undici in questione, torneremo più avanti.
Inghilterra? Brasile? Italia? I dribbling dell’imperatore
L’annosa questione sulle origini del fùtbol ha diviso famiglie e impegnato antropologi nel rincorrere un pallone che rotolava tra le maglie della storia. L’antenato più simile ad oggi conosciuto nasce in Cina tra il III e il II secolo avanti Cristo. Pare che il cuju (蹴鞠, pressappoco ‘calciare una palla imbottita’) fosse uno degli sport preferiti dell’imperatore della dinastia Song Taizu, anche se purtroppo non abbiamo notizie certe sulle sue effettive abilità nell’uno contro uno.
Nel kolossal cinese Red Cliff, il regista John Woo dedica un paio di minuti al gioco del cuju, mostrando le fasi di preparazione delle truppe del generale Cao Cao, lo “Special One” della guerra nel periodo dei “Tre Regni”. Mentre i soldati si producono in scambi e tiri a metà strada tra le arti marziali e il calcio totale olandese, il generale mostra una grande dose di sportività nel reiterare ai suoi uomini la legge più importante del fùtbol, quella che ci ricorda che “la palla è tonda”, per tutti (video).
Giochiamo a calcio come il Brasile gioca a ping pong
La millenaria tradizione calcistica cinese, purtroppo, non basta a garantire il successo della sua squadra nel competitivo ambiente del calcio moderno. Nel 2002, per la prima volta nella sua storia, la nazionale cinese si qualifica per la Coppa del mondo in Corea e Giappone. Il bilancio del girone è sconfortante: zero punti, zero gol segnati, nove gol subiti.
Quattro di quelle reti portano le firme eccellenti di Roberto Carlos, Rivaldo, Ronaldinho e Ronaldo, il fenomeno. Alla fine del match tra Cina e Brasile, arbitrato degnamente da Frisk senza ricevere in cambio alcuna monetina, il capitano Li Weifeng, veterano del gruppo cinese con oltre cento presenze in nazionale, dichiara sconsolato alla stampa: “Giochiamo a calcio come il Brasile gioca a ping pong” (中国足球水平相当于巴西的乒乓球水平).
Semplice ed esaustivo. Secondo alcuni, anche offensivo nei confronti degli atleti della rappresentativa brasiliana di ping pong. Subito dopo il mondiale, ad ogni modo, Li potrà trovare un’effimera consolazione grazie alle due presenze che colleziona con la maglia dell’Everton in Premier League, nell’ambito di un progetto di sponsorizzazione tra il team e il brand cinese Kejian.
Negli anni le fortune della nazionale cinese continuano ad essere altalenanti. Nel 2005 e nel 2010 la Cina si laurea campione della “Coppa dell’Asia Orientale”, ma in competizioni più importanti viene periodicamente sconfitta da formazioni minori, quali la nazionale di Singapore, dell’Uzbekistan, del Qatar e dell’Iraq, senza più qualificarsi per la Coppa del mondo.
Dopo un breve periodo di ottimismo nel 2009, quando la Cina blocca la Germania di Mario Gomez e Podolski sull’uno pari in una gara amichevole internazionale, il ciclo dell’allenatore Gao Hongbo si conclude in un completo disastro, con l’eliminazione dal girone della coppa d’Asia l’anno seguente.
Negli stessi giorni il signor Zhang, proprietario a Jinan di uno stand di chou doufu, una varietà particolarmente puzzolente (chou) del tipico piatto orientale ricavato dai semi di soia (tofu), decide di chiamare il suo negozio guozu chou doufu (国足臭豆腐, ‘Chou tofu della nazionale’). Lo stand diventa in breve famosissimo online e fa le fortune del suo proprietario, che dileggia senza alcun pudore la squadra cinese.
Interrogato in proposito, Zhang afferma: “Non temo affatto che il nome del mio stand possa offendere la nazionale cinese, attualmente la squadra gioca in maniera talmente “chou” (臭, ‘puzzolente’ in senso stretto, proprio come il tofu, ma in questo caso sarebbe più adatto tradurre ‘pietoso’) che non c’è alcun bisogno di insultarla. In più, il mio stand è diventato molto famoso ma nessun membro della nazionale è ancora passato di qua, spero che qualcuno si faccia vedere per parlarci un po’ e magari dargli qualche consiglio”.
Porci della nazione
Il nickname della nazionale in cinese, guo zu (国足, ‘squadra di calcio nazionale’) viene presto storpiato in guo zhu (国猪, ‘porci della nazione’), a imperitura memoria delle “gloriose” gesta dei calciatori della terra di mezzo. Nell’agosto 2011 la federazione decide dunque di affidare a José Antonio Camacho la panchina della nazionale cinese, ma anche l’ex stella spagnola fallisce nell’ardua missione e viene esonerato nel giugno 2013, dopo una pesante sconfitta per cinque reti a uno contro la modesta compagine Thailandese.
Il pubblico cinese sembra aver perso ogni speranza nelle sorti della propria rappresentativa, producendosi alle volte in manifestazioni di orgoglio nazionale che sono sfociate in veri e propri cortei di protesta, come accaduto nel 1986 a causa della sconfitta contro Hong Kong o nel 2004, in seguito alla bruciante sconfitta in finale di Coppa d’Asia contro gli acerrimi rivali, calcistici e non solo, del Giappone.
Tra le ragioni di tanti insuccessi, secondo alcuni opinionisti, sarebbe da elencare l’endemica corruzione del calcio locale, i cui protagonisti guadagnano alle volte cifre ancora più folli dei loro colleghi europei, se proporzionate ai guadagni medi della popolazione della RPC.
Il nazionalismo cinese, anche per quanto riguarda il calcio, è considerato un’arma a doppio taglio per il governo del Pcc. Da una parte, lo sport ha sempre fatto parte di una strategia politica di avvicinamento al contesto internazionale, come avvenuto per la “diplomazia del ping pong” nel 1971. Fu infatti un semplice scambio di visite tra le squadre di ping pong cinesi e statunitensi a servire come primo passo verso la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra USA e RPC.
D’altro canto, l’eccessiva dimostrazione di orgoglio nazionale da parte della popolazione potrebbe implicare l’espressione di velate critiche al governo cinese, incapace di reagire ed evitare l’umiliazione della propria popolazione nel contesto internazionale. Sarà compito dei giovani calciatori cinesi riscattare l’orgoglio patriottico e portare la Cina sulle vette del mondo, rinforzando quella che purtroppo, per adesso, dà tutta l’impressione di essere poco più che una “grande muraglia di tofu”.
*Davide Vacatello. Sinologo e musicista, ha dedicato tesi triennale e magistrale a Zdenek Zeman. Nasconde riviste sportive tra libroni di comunicazione e nuovi media cinesi, mentre sorseggia baijiu al gusto di benzina.
**Crampi Sportivi è una rivista online di approfondimento sportivo. Ripudia la retorica, il buonismo, l’ingiustizia, la discriminazione razziale e la Difesa a 3. Ripudia gli scarpini troppo colorati, i nostalgici dei bei tempi andati, i centrocampisti che non tirano mai e i tennisti che non scendono a rete. Ama uno sport raccontato dal divano, ma anche analizzato dalla scrivania. Il tentativo è quello di portare Zinedine Zidane e Dennis Rodman a cena dal professor Heidegger.
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