Momento storico: per la prima volta un leader degli Stati Uniti entra nella sede centrale del Partito comunista vietnamita, accolto dal segretario generale Nguyen Phu Trong. Hanoi rafforza il rapporto con l’antico nemico, ma prova a rassicurare Russia e Cina
“Do un caloroso benvenuto al presidente Biden da parte di tutto il popolo del Vietnam”. È un momento storico: per la prima volta un leader degli Stati Uniti entra nella sede centrale del Partito comunista vietnamita, accolto dal segretario generale Nguyen Phu Trong. I due hanno elevato i rapporti bilaterali a partnership strategica globale. Al livello di Russia e Cina, una promozione doppia. Chi l’avrebbe detto, che dall’odore del napalm al mattino si sarebbe passati al suono dell’inno statunitense davanti ai palazzi del potere di Hanoi. Non lontane, le bancarelle con le magliette di Biden con occhiali da sole e pollice alzato di fianco a quelle di Ho Chi Minh. “Miracoli” della guerra in Ucraina, che ha portato il Vietnam a un’accelerazione sull’aggiornamento della propria rete di relazioni estere, a causa del percepito rischio di un crescente allineamento tra Cina e Russia. Da una parte il grande vicino e antico dominatore per circa un millennio, partner commerciale e ideologico ma rivale strategico con tanto di dispute territoriali aperte sul mar Cinese meridionale. Dall’altra il principale partner in materia di difesa e sicurezza, da cui acquista(va)no la stragrande maggioranza delle armi. Un problema, in tempi di sanzioni e di necessità più impellenti per Mosca. Il Vietnam, che ha sofferto forse più di tutti la devastazione calda della prima guerra fredda, cerca di cautelarsi di fronte a una possibile seconda.
Ed ecco allora Biden passeggiare nel quartier generale del vecchio nemico, rivendicare l’ennesimo accordo in Asia dopo quelli con Giappone, Corea del sud e Filippine. Nella sua conferenza stampa, Biden parla molto di Cina e (poco cavallerescamente) delle sue difficoltà economiche. Sostiene che la sua trasferta vietnamita non sia motivata da una strategia di contenimento e auspica un incontro con Xi Jinping.
Secondo i media cinesi, invece, la missione “nasconde l’ansia unilaterale degli Stati uniti di conquistare il Vietnam”, invitato a non diventare “una pedina geopolitica”. Hanoi non ne ha l’intenzione. Nguyen ha sottolineato l’autonomia della politica estera vietnamita e il principio di non interferenza negli affari interni degli altri paesi, amato dal Partito comunista cinese. Rivendicando la necessità di cooperare con più partner. D’altronde, gli Usa sono arrivati col carico anche sul fronte commerciale. Biden ha presenziato a un summit d’affari coi maggiori colossi digitali e tecnologici americani, che hanno chiuso accordi con controparti vietnamite in ambiti strategici. Per esempio l’intelligenza artificiale, nella collaborazione tra Nvidia, Vingroup (società madre del colosso delle auto elettriche Vinfast) e FPT, sviluppatore del primo chip made in Vietnam. Ma soprattutto semiconduttori con Intel, Marvell, Synopsys e Amkor, con nuovi impianti di assemblaggio e confezionamento. E poi Google col cloud computing e Vietnam Air che ha comprato 50 jet 737 Max di Boeing per 7,8 miliardi di dollari. Washington mira a rendere il Vietnam uno snodo tecnologico cruciale, anche in materia di chip, per favorire una parziale delocalizzazione dalla Cina.
Il Vietnam sarebbe già al lavoro per rassicurare Mosca e Pechino: secondo il New York Times sta trattando l’acquisto di nuove armi russe, mentre nelle prossime settimane non è esclusa una visita di Xi. Hanoi non vuole dare l’impressione di farsi arruolare. Al contrario di quanto avrebbero fatto le Filippine, con cui Pechino sta adottando una postura sempre più assertiva sugli atolli contesi. Ieri, mentre i jet cinesi (39 in circa 36 ore) aumentavano la portata delle manovre sullo Stretto di Taiwan in risposta al transito di navi canadesi e statunitensi del giorno prima, la portaerei Shandong e altre 8 navi da guerra sono transitate tra stretto di Miyako e canale di Bashi al largo di Giappone e Taipei. Entrando nel Pacifico occidentale, non lontano dalle Filippine. E, un po’ più in là, dal Vietnam.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato da il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.