Go East – La teoria del caos

In Go East, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Sono passate poco più di due settimane da quando sono stati scoperti i primi due focolai di COVID-19 in Italia, ma sembra passata un’era geologica. Due settimane in cui è successo di tutto. Si è passati con grande rapidità dal panico alla sottovalutazione. Per tornare di nuovo al panico, dopo che la sequenza dei numeri di contagi e vittime (qui l’ultimo bollettino disponibile e qui un confronto tra il contagio in Italia e in Cina) si è dimostrata (al momento) inarrestabile. Negli ultimi giorni si è probabilmente compresa la portata di un’epidemia che sta mettendo a dura prova l’Italia, a tutti i livelli: sanitario, politico, economico, sociale. E la discussione si sta spostando sulla possibilità o meno di replicare le misure di contenimento messe in campo dalla Cina, impresa non semplice in un sistema democratico.

CAOS SANITARIO

Già da giorni, gli esperti chiedevano misure molto più coraggiose di quelle adottate inizialmente. Il governo Conte, dopo aver delimitato due zone rosse e altre arancioni, si era iniziato a concentrare sulle misure economiche di sostegno alle imprese, mentre a livello locale e non solo si invitava l’Italia a non fermarsi. Eppure, lo scorso 2 marzo, l’epidemiologo Pierluigi Lopalco traccia un parallelo con la Cina, sostenendo che Wuhan (città dalla storia affascinante) equivalga al nord est e la provincia dello Hubei (la più colpita) a tutta Italia. Massimo Galli, primario infettivologo dell’ ospedale Sacco di Milano, parla di “situazione senza precedenti” e avverte che le strutture sanitarie sono sotto una pressione senza precedenti. I rianimatori definiscono il momento “drammatico”, mentre secondo alcuni studi il contagio in Italia è solo all’inizio e in fase di crescita esponenziale. Il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, parla di “settimana decisiva” e lancia un appello per l’aiuto degli italiani. “Se entro i prossimi sette giorni i contagi scenderanno vuol dire che le chiusure e le misure prese hanno funzionato”, dice Brusaferro. Non è andata così. In pochi giorni si arriva ad avere terapie intensive anche nei corridoi, con gli anestesisti che chiedono regole certe per decidere chi curare. A Bergamo si parla di situazioni “da guerra” mentre si registra un picco di contagi tra il personale sanitario, spesso sprovvisto di mascherine.

Il tutto mentre il governo chiede flessibilità all’Unione europea e la Lega attacca per le misure economiche messe in piedi dall’esecutivo, ritenute non sufficienti. Il governo e le Regioni litigano per il decreto che divide sostanzialmente l’Italia in tre zone. E litigano anche sul nuovo decreto, quello che “chiude” la Lombardia e 14 province e che prevede l’arresto per chi viola i divieti, anche se per viaggiare basta un’autocertificazione. L’Oms loda le iniziative dell’Italia ma, nel frattempo, la diffusione di una bozza del decreto spinge diverse persone a fuggire da Milano. E’ proprio quel decreto a segnare un punto di svolta: sia dal punto di vista delle misure, come scrive Luca Ricolfi (che solo pochi giorni prima aveva duramente criticato il governo sul tema), sia dal punto di vista (forse) della consapevolezza di essere in “guerra”, come ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in. Dopo che ancora sabato i luoghi della “movida” e dello shopping di Milano erano stati presi d’assalto, domenica 8 marzo sembra essere tutto cambiato.

ORA E’ L’ITALIA CHE FA PAURA

Incredibile ma vero, ora non è più l’Italia ad avere paura della Cina, ma è la Cina ad avere paura dell’Italia (e non solo la Cina, visto il numero crescente di paesi che impone restrizioni a chi arriva dal nostro paese). Non solo perché il nostro paese è diventato il secondo per numero di vittime. Il Global Times spiega che i cittadini cinesi in Italia hanno paura per le “misure lassiste” del governo e per la scarsa consapevolezza degli italiani, restii a indossare le mascherine o a cambiare le proprie abitudini di vita (basti pensare alle feste abusive scoperte nei giorni scorsi dalle forze dell’ordine). Il South China Morning Post parla invece di “caos” dopo che l’ultimo decreto del governo è arrivato sui giornali prima di essere ufficiale. Una testimonianza raccolta da Cina in Italia paragona il nord Italia a Wuhan nel momento di maggiore crisi. Il ristorante di Sonia Zhou, simbolo della comunità cinese di Roma, ha chiuso fino a fine aprile. In molti pensano allora di tornare in Cina, anche se la direttrice di Cina in Italia invita a “restare a combattere” al fianco degli italiani.

L’Ambasciata di Pechino in Italia ha espresso a più riprese solidarietà e sostegno, con la comunità cinese (e aziende come Xiaomi) che sta donando mascherine e altro materiale sanitario un po’ a tutte le latitudini, da Milano a Palermo. Il presidente dell’Inter, Steven Zhang, ha donato centomila euro all’ospedale Sacco. Xinhua ha sottolineato la collaborazione tra i medici dei due paesi, mentre il Corriere della Sera ha incontrato un’azienda che produce tamponi utilizzati anche a Wuhan. L’artista e regista Ai WeiWei si è invece lasciato andare a una battuta molto criticata sul coronavirus e l’Italia. Nel frattempo Pechino, così come altre municipalità cinesi, ha annunciato ufficialmente la misura della quarantena per chi arriva dall’Italia (in realtà in vigore già dalla settimana precedente), con già diversi casi di contagi “di rientro”. Giorgia Meloni ne ha approfittato per attaccare il governo: “Quando chiedevamo di mettere in quarantena chi rientrava dalla Cina, avevamo tutta la sinistra italiana che andava a mangiare nei ristoranti cinesi, ad abbracciare cinesi, perché noi eravamo razzisti. Il presidente cinese andrà a mangiare in una pizzeria per solidarietà con gli italiani?”, si è chiesta la leader di Fratelli d’Italia. Luigi Di Maio, invece, se l’è presa con una mappa della CNN e con le “discriminazioni” per gli italiani.

La quarantena è prevista anche per chi arriva dalla Cina in Italia, ma Filippo Santelli su Repubblica racconta che il suo rientro a Roma da Pechino è avvenuto senza “nessun (vero) controllo”. Niccolò, il 17enne di Grado rientrato da Wuhan, dice che tornerà in Cina e sostiene che il virus “più pericoloso” sia quello del razzismo. Si è registrato un primo caso positivo a Prato, sede di una vasta comunità cinese.

L’Italia, improvvisamente al centro della scena internazionale, è finita preda di diverse fake news in materia di coronavirus. Pagella Politica ne fa una carrellata, da Hong Kong a Taiwan, nella quale resta coinvolto anche Pierluigi Bersani, utilizzato per accreditare la teoria (che sta trovando ampio spazio sui media di Pechino) secondo la quale il virus potrebbe non essere nato in Cina.

Nel frattempo, la Cina sembra ripartire: sul fronte sanitario, si ritiene che da metà marzo potrebbero sostanzialmente azzerarsi i nuovi contagi al di fuori dello Hubei, mentre a Wuhan è stato chiuso il primo ospedale di emergenza. Sul fronte economico, la borsa di Shanghai ha cancellato le perdite dovute al coronavirus, mentre ora preoccupano Europa e Stati Uniti. Non mancano, comunque le tante

SOLUZIONE CINESE?

I cinesi, e gli asiatici in generale, sembrano più preparati ad affrontare un’epidemia (avendone vissute altre di recente) e dunque più inclini ad accettare misure drastiche. In molti, dall’Italia, chiedono di prendere esempio dalla Cina. Lo fanno, tra gli altri, Urbano Cairo, il manager italiano di Venchi a Hong Kong, il presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei Giorgio Parisi e persino un rapporto dell’Oms.

Ora l’Italia sta provando a seguire la Cina, nonostante c’è chi ritiene che una democrazia non potrebbe mai adottare le stesse misure prese dalla Cina per contenere l’epidemia. La sensazione è che l’Italia stia provando ad adottare una “soluzione cinese”, ma senza l‘apparato tecnologico che sostiene il funzionamento dell’approccio cinese, in grado di garantire un controllo capillare (e invasivo) che l’Italia non si può permettere. Su Il Manifesto, Simone Pieranni racconta benissimo anche la componente culturale che sorregge l’azione di Pechino.

Secondo Giulio Tremonti, il coronavirus “mostra la crisi della globalizzazione”. L’ex ministro dell’Economia sostiene che la Cina “è cresciuta troppo rapidamente” e “ora il suo ruolo è a rischio”. Ma il tema sta diventando quello di una riflessione sulla risposta di fronte alle emergenze delle democrazie occidentali, tra l’Italia è stata la prima a dover fare i conti con la diffusione del contagio (ma non sarà l’unica). In un lungo editoriale, The Atlantic si interroga sugli effetti del virus sul modello democratico.

Esiste però anche un altro modello, diverso da quello cinese, che sembra aver cominciato a funzionare: è quello della Corea del Sud, raccontato su Il Foglio da Giulia Pompili (che qui, invece, ci porta alla scoperta dei wet market asiatici).

NON SOLO VIRUS

Continua il ripensamento delle relazioni diplomatiche con la Cina. Il governo si è diviso (ancora una volta) in materia di politica estera, questa volta sulla Wipo (World Intellectual Property Organization). Il premier voleva votare il candidato sostenuto dagli Stati Uniti, Di Maio per quello cinese. Alla fine ha vinto il primo dei due, anche se l’Italia non ha annunciato la sua preferenza (comunque andata al nome indicato da Washington).

Gunter Pauli, imprenditore belga e nuovo consigliere economico di Conte, ha un debole per la Cina.

La relazione annuale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) ha riportato l’attenzione sul tema del 5G, pur senza citare apertamente le aziende cinesi operanti in Italia. Gennaro Vecchione ha ricevuto alcune critiche e il presidente del Copasir, il leghista Raffaele Volpi, ha preannunciato una nuova audizione in materia del premier Conte.

La cinese Wanbao lascia la fabbrica produttrice di compressori per frigo nella provincia di Belluno, nonostante i sindacati sostengono che stesse andando bene.

Continua il dibattito sulla manovra di avvicinamento della Santa Sede a Pechino. Il vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Zen, dubita della “profonda sintonia” fra i pontefici e chiede di vedere le prove della firma di Benedetto XVI all’accordo provvisorio con la Cina, difeso dal nuovo decano del Collegio cardinalizio, il cardinale Re, secondo il quale c’è “profonda sintonia” tra Ratzinger e Bergoglio in materia. Secondo Asia News, che chiede di trovare una posizione comune, nella Chiesa vi sono due partiti impermeabili fra loro: pro-Cina e anti-Cina, pro-Bergoglio e anti-Bergoglio.

Il 3 marzo è uscito in libreria “Nella testa del Dragone“, un bellissimo saggio di Giada Messetti che racconta identità e ambizioni della nuova Cina (lo si può acquistare qui).

L’Indiscreto ha ripubblicato un articolo, già uscito su Linus, a firma di Ivan Carozzi che racconta la storia dell’unica italiana in Cina nel 1949, nel momento della nascita della Repubblica Popolare.

Lorenzo Riccardi, manager italiano che vive e lavora a Shanghai, ha completato il più grande viaggio d’affari intorno al mondo.

NON SOLO CINA

Le restrizioni per gli italiani si moltiplicano in gran parte dei paesi dell’Asia, mettendo talvolta a dura prova le relazioni diplomatiche. In India sono stati trovati dei turisti italiani positivi al coronavirus. Altri sette, negativi, sono già rientrati in Italia, mentre loro hanno deciso di rimanere in India: “Staremo qui a finire la quarantena, dove stiamo sicuramente meglio che in un ospedale militare in Italia”, ha dichiarato uno di loro all’Ansa.

A proposito di India, Reenat Sandhu, Ambasciatrice di Nuova Dehli in Italia e San Marino, ha visitato i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’INFN, in una visita che si inserisce nell’ambito degli accordi bilaterali Italia – India.

Anche Maldive e Singapore hanno introdotto misure restrittive per chi arriva dall’Italia.

Qualche segnale di speranza arriva da Taiwan. La compagnia privata Eva Air ha riprogrammato il lancio del collegamento diretto Taipei-Malpensa al prossimo 7 luglio, dopo che il blocco dei voli ordinato dal governo Conte lo scorso 31 gennaio aveva costretto al rinvio dell’inaugurazione, prevista inizialmente per il 18 febbraio.

Le nazionali di tennis di Italia e Corea del Sud si sono affrontate per la Coppa Davis a porte chiuse.

Di Lorenzo Lamperti*

**Giornalista responsabile della sezione “Esteri” del quotidiano online Affaritaliani.it. Si occupa di politica internazionale, con particolare attenzione per le dinamiche geopolitiche di Cina e Asia orientale, anche in relazione all’Italia