L’uscita in libreria della raccolta dei discorsi dell’ex primo ministro Zhu Rongji ha riportato alla ribalta la figura dell’uomo che dieci anni fa traghettò la Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio. Le sue parole suonano come una critica all’attuale dirigenza.
Dopo il pensionamento è rimasto per anni dietro le quinte. Una costante per la dirigenza cinese con l’introduzione del limite temporale ai mandati delle più alte cariche dello Stato. L’uscita in libreria della raccolta dei discorsi dell’ex primo ministro Zhu Rongji, tomo di oltre duemila pagine, ha riportato alla ribalta la figura dell’uomo che dieci anni fa traghettò la Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio.
Il Partito comunista è alle prese con la definizione di nuovi equilibri di potere in vista del Congresso del prossimo anno, che ufficializzerà la successione al presidente Hu Jintao, e al premier Wen Jiabao. Un processo bizantino in cui vari passi del volume sono stati letti come un attacco all’attuale leadership, in particolare a Wen che negli anni ha comunque cercato di ricalcare le orme di Zhu.
“Se gli uomini di governo non sono altro che yes man, il popolo soffre”, si legge in un passaggio. O ancora: “Che razza di premier sarei se non mi interessassi dei bisogni della gente?”. I brani in questione, fanno parte delle anticipazioni pubblicate dal Nanfang Zhoumo all’inizio di settembre e sono tratti da due discorsi datati al 1998 e al 2003. Le pagine del settimanale che li ospitavano sono subito scomparse, almeno dalle copie in vendita a Pechino.
Il prossimo autunno non cancellerà né Hu né Wen dalla scena. Al contrario, come è già successo ai loro predecessori, continueranno ad agire tra i corridoi di Zhongnanhai per tutelare la loro eredità politica all’interno del Partito. Anche per questo l’attuale leadership è così sensibile alle critiche.
Nonostante un intero decennio incentrato a correggere le storture del rapido sviluppo cinese, nel paese serpeggia un malcontento diffuso, alimentato dalla corruzione dei funzionari, dall’inflazione che rende impossibile a molti il costo della vita e dai danni ambientali. Sono problemi questi, che affondano le radici negli anni in cui Zhu fu al potere (come vicepremier dal 1991 al 1998 e come primo ministro fino al 2003).
L’ex premier si distinse tuttavia per un profilo riformista, mostrandosi sempre trasparente, frugale, vicino alla gente e schierandosi apertamente contro gli abusi di potere. “Se c’è qualcuno che mi deve temere sono i funzionari corrotti, non il popolo”, è una delle sue frasi più significative.
Con queste credenziali già lo scorso aprile l’ottantaduenne esponente dell’ala “liberale” del Pcc tenne un discorso molto duro contro l’attuale politica cinese, per di più agli studenti dell’Università Tsinghua, fucina della classe dirigente del Paese.
Secondo i China watcher saranno sempre di più le voci della vecchia guardia a farsi sentire. Il palco delle eminenze grigie, scrive l’Economist, inizia a essere troppo affollato. Dal prossimo anno saranno almeno in quattro: Hu, Wen, Zhu e il conservatore Li Peng. Resta infine il fantasma dell’ex capo di Stato di Stato Jiang Zemin, assente dalle celebrazioni per il novantesimo della fondazione del Pcc e dato per morto dalle televisioni di Hong Kong a luglio. Anche se le voci sul decesso sono state subito messe a tacere.
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