Dopo le visite diplomatiche e le iniziative legislative, Washington riprende il dialogo con Taipei con un occhio sui semiconduttori. Pechino protesta e il presidente cinese riappare a Jinzhou, la città da cui partì la vittoria sul Guomindang
Jinzhou occupa un posto speciale nella storia della Repubblica popolare cinese. È da questa città, oggi parte della provincia nord orientale del Liaoning, che la guerra civile si incanalò verso la vittoria del Partito comunista.
Qui i nazionalisti di Chiang Kai-shek subirono una sconfitta decisiva nella campagna di Liaoshen del 1948, quando il Guomindang perse anche Changchun e Shenyang.
E PROPRIO QUI, al memoriale di Liaoshen, è riapparso Xi Jinping al termine del raduno a porte chiuse di Beidaihe. Li Keqiang ha scelto il porto di Yantian e Shenzhen, città simbolo della stagione di riforma e apertura lanciata da Deng Xiaoping. Il premier si è recato a porgere omaggio a una statua del piccolo timoniere.
Con Jinzhou il nuovo timoniere ha invece operato una scelta dall’alto contenuto simbolico, col pensiero a Taiwan. La sua prima apparizione pubblica dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei e le imponenti esercitazioni militari di Pechino intorno all’isola. Le tensioni non accennano a diminuire.
Ieri gli Stati Uniti hanno annunciato di aver avviato il dialogo con Taiwan per il raggiungimento di un accordo commerciale di ampio respiro. L’obiettivo dichiarato è «approfondire le relazioni commerciali sulla base dei valori condivisi e promuovere l’innovazione», ha dichiarato la vice rappresentante per il commercio, Sarah Bianchi.
TAIPEI ha presentato l’avvio dei negoziati, fissato per ottobre, come un modo per attrarre maggiori investimenti americani e aprire la strada all’ingresso in accordi multilaterali come il Cptpp.
Non sono comprese per ora discussioni sui dazi e non sarebbe dunque in vista un vero e proprio accordo di libero scambio. L’iniziativa comune per il commercio del XXI secolo, com’è stata definita, è nata dopo l’esclusione di Taipei dall’Indo-Pacific Economic Framework di Biden e sembra destinata a dare vantaggi all’isola in cambio di aiuto sui semiconduttori nell’ambito del Chips Act.
Pechino ha ovviamente criticato l’annuncio: «Ci opponiamo sempre a qualsiasi forma di scambio ufficiale tra qualsiasi paese e Taiwan, compresi i negoziati e la firma di accordi con connotazioni sovrane o di natura ufficiale», ha detto Shu Jueting, portavoce del ministero del Commercio.
Wang Wenbin del ministero degli Esteri ha invece chiesto agli Usa di annullare i negoziati, spiegando che la Cina li considera «azioni a sostegno dei separatisti taiwanesi».
A GIUGNO, quando era stata menzionata per la prima volta l’iniziativa commerciale, Pechino aveva bloccato le importazioni di cernie taiwanesi. Non è escluso ci possano essere altre azioni in tal senso nei prossimi giorni e settimane, dopo che in risposta alla visita di Pelosi sono stati già fermati oltre cento prodotti agroalimentari.
Prodromi di trade war. Sul piano militare, invece, ieri il ministero della Difesa taiwanese ha detto di aver rilevato sullo Stretto sei navi e 51 aerei da guerra dell’Esercito popolare di liberazione. 25 jet avrebbero oltrepassato la linea mediana, il «confine» non riconosciuto ma solitamente rispettato da Pechino prima che i recenti test militari cambiassero le regole del gioco avvicinando sempre di più le incursioni alle coste taiwanesi.
Secondo Daniel Kritenbrink, principale inviato di Washington per l’Asia orientale, la Repubblica popolare «aumenterà la pressione» su Taiwan. Anche perché gli Usa sembrano intenzionati a proseguire quella che nella prospettiva di Pechino è una escalation diplomatica.
Tra visite, iniziative commerciali e azioni normative come il Taiwan Policy Act che verrà discusso nelle prossime settimane.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su Il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.